martedì 6 agosto 2013

SupMarcos: Votán IV - Meno 7 Giorni (2/2)


 Consigli oziosi (perché so che non mi darete retta).

Su scacchi e incubi.

Se, per esempio, vi tocca la scuola nella zona del Caracol di La Realidad. Dopo una giornata convulsa, con le fiacche su mani e piedi, ma con quel piacevole dolore che solo dà l'apprendere, sedetevi fuori dalla capanna. Accendetevi una sigaretta ed osservate come la luce del pomeriggio cede alle ombre della sera. Guardate come tutto intorno a voi sembra muoversi al rallentatore. Cala il silenzio sulla giornata quotidiana, cosa che ora vi permette di apprezzare l'ostinato frinire dei grilli, la lucina giocosa delle lucciole, lo zzzzzzzzz delle zanzare. Allora decidete di tirare fuori la vostra scacchiera portatile. State sistemando i pezzi, quando si avvicina un bambino o una bambina (calcolate: tra gli 8 e i 10 anni) che vi si siede accanto, coccoloni. Il bambino-bambina guarda con curiosità quello che state facendo e vi chiede, con un'innocenza al di sopra di ogni sospetto: "cos'è quello?" Vi sentite lusingati di avere l'opportunità di insegnare qualcosa, soprattutto dopo che da quando siete arrivati non ricevete altro che correzioni dal vostro Votán e dalla famiglia con la quale ora vivete. Quindi, tirate una boccata dalla sigaretta e dite: "Ah, è un gioco, si chiama scacchi". E qui arriva il momento decisivo. Avete la tentazione di dire quello che non dovete dire. Pensate che, dopo tutto, è solo un bambino-bambina e che sarà divertente insegnargli quel gioco misterioso di intelligenza, tattica e strategia. Allora dite le parole maledette: "Vuoi che ti insegni a giocare?". Già. La vostra sorte è segnata. Il bambino-bambina dirà con innocenza, "va bene, vediamo se riesco". Poi: l'incubo. Dopo le prime spiegazioni"questo si chiama pedone", "questo alfiere", "questo cavallo" e così via, il bambino-bambina, si siederà davanti a voi. Passerete tutta la sera e parte della notte a sentirvi ripetere "scaccomatto". Più tardi, poco prima che il sogno sognato occupi il posto del sogno reale, vi direte: "Maledetto Sup, dovevo dargli retta". Io, vicino e lontano, accenderò la pipa, attingerò al mio pacchetto di biscotti a forma di animaletti e penserò: "odio dire che l'avevo detto, ma l'avevo detto". Ho sentito maledire in decine di lingue diverse i "maestri" di scacchi bastonati da@ bambin@ della zona di La Realidad. Dopo tutto, mica per niente questo posto è chiamato "La Realidad", no?Su scacchi e incubi.

Sul Calcio.

Se, per esempio, vi tocca la zona del Caracol di La Garrucha. Stessa situazione della precedente. Adesso è un bambino che giocherella con le mani con un pallone. Vi dice-domanda-sfida con un "Nel villaggio da dove vieni sapete giocare a calcio?". Sentite subito scorrervi nelle vene Pelé e Garrincha, Maradona e Cruyff, Ronaldo e Messi (non in una Table Dance, si capisce), Puskas e Di Stéfano (sono andato troppo indietro nel calendario?), o chi vi piace nella vostra geografia e calendario. Io vi consiglio solo di sorridere e di mettervi a discorrere del tempo o di altro, ma… cominciate a vedere rosso e, beh, ho sempre pensato che lo sciovinismo sportivo sia ben tollerato perfino nella sinistra più radicale, cosicché, senza ascoltare il mio consiglio, vi sistemate gli stivali-anfibi-scarpe da tennis-pantofole-dita, vi alzate con un "Se sappiamo giocare a calcio nel villaggio da dove vengo? Adesso vedi. Andiamo". La notte, quando sarete nel dormiveglia del buon riposo, farete la conta dei danni e vi direte che ha sbagliato il portiere, la difesa, il mediano, l'attaccante, l'arbitro, il campo impervio, il fango e la cacca del bestiame, che dopo tutto i gol subiti non erano tanto male, che ci sarà la rivincita. Ma, con l'ultimo sbadiglio, vi direte: "Maledetto Sup, dovevo dargli retta". Io, vicino e lontano, accenderò la pipa e rilassandomi penserò: "odio dire che l'avevo detto, ma l'avevo detto". Ho visto squadre internazionali di autentici "assi" del calcio soccombere sui "campi di calcio" del Caracol di La Garrucha. In quella zona, perfino le mucche conoscono la magia del pallone.

Il Pozol Agrio.

In qualunque zona vi toccherà di ognuno dei 5 Caracoles. "C'è festa!" sentite che dicono. Vi alzate, anche se tutto il corpo vi duole come se aveste passato tutto il giorno a cercare di prendere un autobus nell'ora di punta della vostra geografia. Vi avvicinate alla folla. Allora sentite che gridano con giubilo "pozol agrio!". Ascoltatemi: girate sui tacchi e tornate nella vostra capanna. Se qualcuno ve lo offre, scusatevi con un "grazie, ma sono pieno" e toccatevi la pancia con soddisfatta enfasi. Ma, due a uno che forse vi direte "Beh, sono venuto per condividere, quindi devo condividere anche l'allegria che sembra provocare quello che chiamano pozol agrio", e ne chiedete un bicchiere-tazza. Mentre passerete l'intera notte alla latrina, sentirete il bisogno di accendere una sigaretta, anche se non fumate, e alla debole luce dell'accendino penserete: "Maledetto Sup, dovevo dargli retta". Io, non tanto vicino ma sì lontano, accenderò la pipa e mentre mi dirò "odio dire che l'avevo detto, ma l'avevo detto", mi allontanerò ancora di più perché, credetemi, non c'è tabacco che copra quella puzza.

Il Cibo.

Se pensate che qualcosa può farvi male, o sapete che vi fa male, o non vi va, non lo mangiate. Non sentitevi obbligati a mangiare quello che non riuscite. Non vi guarderanno male, né sarete espulsi dalla scuola, né vi criticheranno, niente di tutto questo. Invece vi daranno medicinali per la pancia e vi domanderanno che cosa potete mangiare che non vi faccia male. Perché noi sappiamo bene che ciò che rallegra e nutre del cibo, è la parola che lo condisce. E sì, potete portare quello che vi piace mangiare, a patto che lo condividiate.

E non mi riferisco al fatto di darne una porzione a ciascuno, ma di condividere come si prepara, come si mangia, qual'è la sua storia. E no, condividere il mal di pancia non fa parte della vita comunitaria.

Il Tempo Libero.

Sì, potete portare un pallone, una chitarra, un'opera teatrale, un film, una storia da raccontare. Ricordate solo: tutto collettivo. No, non il collettivo col quale arrivate, ma il vostro collettivo qua: la vostra famiglia ed il vostro Votán. Se sentite qualcuno che dice "che allegra quella tonelada", non pensate che si riferisca al peso della catasta di legna o del bidone d'acqua. È solo una di quelle bizzarre traduzioni che qua abbondano: con "tonelada" vogliono dire "tonada"[canzonetta - n.d.t.]. Di niente.

Gli slogan.

"Abbandonate ogni speranza di rima", dovrebbe essere scritto all'ingresso di una comunità zapatista. Se vicino a voi qualcuno sta cercando di comporre uno"slogan" per la festa di benvenuto o di fine corso, e sentite che dice "non che no, sì che sì, siamo tanti e vinceremo". Non vi venga in mente di dire che così non va o che manca la rima, perché sarete sommersi da una valanga di "perché? forse non siamo tanti? forse non vinceremo?". E infine, un "ma si capisce, no?"

-*-

Bene. E non dimenticate di portarvi tre cose importanti: qualcosa per il freddo, qualcosa per la pioggia e qualcosa in cui far tesoro della memoria.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
SupMarcos
Messico, Agosto 2013

——————————————

Di Alí Primera, la classica "Non basta pregare" cantata da uno zapatista al Festival della Digna Rabia, in Chiapas, Messico.http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0WtBVZ5tobY


Gruppo musicale di compas zapatisti degli Altos del Chiapas.http://www.youtube.com/watch?v=vhR3HEy0i3c&feature=player_embedded


Ballo regionale interpretato da bambine zapatiste in Chiapas, al Festival della Digna Rabia. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=oYdUDTThyU0


(Traduzione "Maribel" – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/04/votan-iv-dia-menos-7/


Inviato dal mio telefono Huawei