sabato 31 agosto 2013

Miguel Concha: La Escuelita zapatista

 

La Escuelita zapatista

Miguel Concha

La Escuelita zapatista è stata colma di esperienze, saperi e speranze confermate. Sono stati momenti per generare nuovi stimoli in un'epoca che sembra perdere riferimenti di lotta e trasformazione. La vita in comunità ed il lavoro collettivo hanno permesso a 1.700 persone, venute da diverse parti della Repubblica e del mondo, di riconoscersi nel forte desiderio di collaborare nella costruzione di un mondo dove stiano tutti i mondi.

L'invito fatto al Centro dei Diritti Umani Fray Francisco de Vitoria OP AC, ed il vissuto di due giovani compagni di questa organizzazione, esortano a diffondere alcune riflessioni al riguardo. Innanzitutto si ringraziano gli zapatisti per l'invito a un così importante esercizio di riflessione e formativo. E si ringraziano le migliaia di famiglie zapatiste che hanno accolto gli allievi. Si riconosce inoltre che questa convocazione è arrivata in un momento in cui i movimenti, collettivi ed organizzazioni sociali hanno bisogno di intessere le rispettive conoscenze con quelle dei popoli che resistono di fronte ad un sistema di morte che sfrutta ed esclude. Lo zapatismo è la dimostrazione che un altro mondo è possibile e, contrariamente a quello che il malgoverno dice, è un riferimento che ispira a continuare nelle lotte per un mondo più degno e giusto. Da quando i popoli zapatisti sono riapparsi il 21 dicembre scorso, si era percepito che c'era un messaggio profondo per il paese e per il mondo. Nei primi mesi dell'anno hanno poi invitato ad incontrarli. E così si è potuto condividere quello che hanno costruito in questi quasi 20 anni, e come lo hanno fatto. Una settimana di incontri è servita affinché i partecipanti si rendessero conto che la lotta zapatista non è mai stata endogamica, ma è partecipata con tutti i popoli del mondo, perché come ben dicono, per tutti tutto, per noi niente.

La pedagogia impiegata è stata quella dell'accompagnamento, dell'attenzione e dell'umiltà. Ogni partecipante è sempre stato accompagnato da una persona che lo ha guidato nella comunità e gli ha comunicato le sue conoscenze sullo zapatismo: il Votán. I popoli zapatisti li hanno accolti con amore, speranza e senza distinzione alcuna. Fin dal primo momento si sentiva l'allegria e il giubilo non solo dei nuovi arrivati, ma anche di tutte le persone che vivono nel territorio autonomo. Al mattino si condividevano il caffè, il mais ed i fagioli che le stesse comunità producono per la loro alimentazione. Poi si stava insieme a svolgere le attività quotidiane nella comunità: pulire la piantagione di caffè, fare tortillas, mettere i fagioli a cuocere, mietere mais tenero per i tamales, andare per legna o fare il pane. Tutto in maniera collettiva. Ed era durante queste attività che si imparava quello che le comunità zapatiste volevano insegnare. Mentre si era nella milpa, o si macinava il mais per le tortillas, erano chiaramente spiegati i sette principi dello zapatismo e le forme di organizzazione dei caracol. Gli allievi hanno compreso cosa implica il comandare ubbidendo, e stando in comunità, con domande ricorrenti, col passare dei giorni hanno conosciuto la libertà secondo gli zapatisti. A poco a poco si sono sentiti parte di quel processo di autonomia e liberazione. Gli zapatisti hanno raccontato come il malgoverno li attacca ripetutamente, ed hanno ascoltato le esperienze degli allievi, quello che il malgoverno fa nei luoghi da dove sono arrivati. Sono stati momenti propizi per capire che le esperienze del basso sono sorelle, perché hanno uno stesso nemico da sconfiggere: il potere oppressore, capitalista, coloniale e patriarcale. Nel pomeriggio tutti si partecipava ad una riunione per chiarire i dubbi.

Le domande si facevano in castigliano; le risposte erano in tzeltal o tzotzil. Tutta la comunità partecipava, e dopo un cenno i Votán spiegavano agli allievi le risposte della comunità. Il Votán era individuale, ma anche collettivo; cioè, tutta la comunità ha insegnato ed accompagnato in maniera unita. Non ci sono mai stati discorsi complicati o discussioni ideologiche. Ha predominato la conversazione amichevole: uno scambio di prospettive ed esperienze.

Questo è stato la Escuelita zapatista, un vissuto molto particolare per chi vi ha partecipato. Verso la fine della settimana sono stati tutti festeggiamenti. Le comunità hanno salutato gli allievi con musica e cibo, con balli e sorrisi. Dopo aver imparato, non restava che ringraziare per la vita e la speranza dei popoli zapatisti. Trent'anni dalla clandestinità e 20 dall'insurrezione sono sufficienti per comprendere le forti radici presenti nel territorio autonomo. Ma, a loro dire, ne mancano ancora molti, fino a che tutte e tutti siano liberi. Dai villaggi, gli allievi sono tornati nei caracol. Le conversazioni tra le e gli allievi al loro rientro erano piene di emozione: erano frastornati da tutto quello che il cuore della comunità aveva dato loro. Le autorità zapatiste hanno spiegato i particolari della loro organizzazione politica ed economica. Hanno descritto cosa e come è organizzata la struttura delle giunte di buon governo e dei municipi autonomi, e com'è che rendono concreto che il popolo comandi ed il governo ubbidisca. Si è esortato a tornare nei luoghi di origine e condividere quanto appreso, ma anche che è dalle proprie azioni che si costruiscono la libertà e l'autonomia. E si cambia il malgoverno. Dai caracol, gli allievi sono tornati al Cideci. Lì si è svolta la cattedra Tata Juan Chávez Alonso. Più di 200 delegati dei popoli indigeni si sono incontrati per condividere le loro lotte. All'unisono hanno denunciato il saccheggio dei loro territori ed i modi in cui il governo e le multinazionali distruggono la vita, la storia e la cultura. Ed hanno riconosciuto ed incoraggiato le lotte per l'autonomia e la libera determinazione dei popoli indigeni che formano il Congresso Nazionale Indigeno. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/31/opinion/017a2pol

(Traduzione "Marbel" - Bergamo)

venerdì 30 agosto 2013

Gilberto López y Rivas: Appunti del corso La libertà Secondo l@s Zapatistas

 

Gilberto López y Rivas
E' stato un privilegio assistere come alunno al corso di primo grado La Libertà Secondo l@s Zapatistas che si è svolto parallelamente in diversi territori dei governi autonomi, e nel Centro Indigeno di Formazione Integrale - Unitierra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dal 12 al 17 agosto. 
Per i suoi molteplici significati politici, strategici, programmatici e tattici nella tragica attualità di un paese devastato dal governo di tradimento nazionale e da suoi soci corporativo-repressivi (includendo il crimine organizzato), il corso impartito da indigeni delle diverse etnie che formano i governi autonomi zapatisti costituisce un appello urgente alla coscienza nazionale, agli uomini e alle donne con dignità e interezza ad organizzarsi, resistere e lottare per un mondo migliore dove si comandi ubbidendo ai popoli a partire da sette principi: 1. Servire e non servirsi. 2. Rappresentare e non sostituire. 3. Costruire e non distruggere. 4. Ubbidire e non comandare. 5. Proporre e non imporre. 6. Convincere e non vincere. 7. Scendere e non salire; e sulla base della massima etica che guida l'EZLN: Per tutti, tutto, per noi, niente, è questo il codice di condotta opposto a quello con cui agisce la classe politica messicana.
In questa settimana memorabile, accompagnati dal nostro Votán, il tutore o cuore-guardiano del popolo e della terra, e dei nostri libri di testo di lettura-consultazione-discussione, noi allievi ci siamo addentrati nello studio della storia del governo autonomo. Si sono ricordati gli anni difficili della clandestinità, con l'arrivo delle Forze di Liberazione Nazionale nella selva Lacandona, il 17 novembre 1983; i 10 anni di preparazione che precedono la dichiarazione di guerra; il processo lento ma diffuso di presa di coscienza sul ruolo da giocare quando ogni tanto sorgono uomini e donne che pensano agli altri, che si ribellano per esigere terra e libertà.
Si è ricordato l'insediamento dei 38 municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez), una volta consumato l'inadempimento degli accordi di San Andrés e, successivamente, i maestri e le maestre hanno descritto le condizioni ed i problemi che hanno portato alla creazione delle cinque giunte di buon governo, l'8 agosto 2003. Noi allievi abbiamo imparato come si organizza il governo negli ambiti comunitari, municipali e zonali. Con giri linguistici ed una grande capacità di sintesi e concettualizzazione, i nostri mentori hanno illustrato il percorso di costruzione e rinvigorimento della loro autonomia attraverso la pratica collettiva di uomini, donne, bambini ed anziani, con successi ed errori, scartando quello che non funziona e cambiando il necessario. Se qualcosa viene male, noi lo miglioriamo, sono passati solo 19 anni da quando abbiamo cominciato a costruire la nostra autonomia, contro 520 anni di oppressione!
Nella conduzione, partecipazione e contenuto tematico del corso, si sono evidenziate le conquiste delle donne nei governi autonomi, nelle commissioni di educazione, salute, progetti produttivi, nei cambiamenti nella quotidianità, nei lavori domestici e nella cura dei figli, come nello sport e negli eventi pubblici. Anche qui le maestre hanno ricordato come nella clandestinità sia iniziata l'integrazione delle donne nelle milizie, nelle file degli insorti, rendendo manifesto la parità di genere attuale nei tre livelli di governo. I maschilisti, ce ne sono, si scontrano ora con le autorità autonome, con le assemblee e col diritto delle donne di denunciare qualunque maltrattamento. Se la donna ricopre un incarico, il compagno deve prendersi cura dei figli, cucinare, fare il bucato, mi diceva il mio Votán.
Un altro tema importante delle lezioni è stato la resistenza, perché il malgoverno non ha lasciato in pace gli zapatisti un solo giorno. Sanno bene che i media sono potenti strumenti di propaganda che mentono sempre; per questo hanno creato i propri mezzi di comunicazione. Definiscono i partiti politici di ogni colore come strumenti di divisione e manipolazione che promuovono gli attacchi contro i popoli zapatisti ed i loro governi. Ma in questo conflitto gli zapatisti adottano una politica di non scontro che è tornata a loro beneficio: abbiamo cercato di non alterarci per evitare la violenza. Non alterandoci, ne siamo usciti vincitori. Con la nostra pazienza, siamo riusciti a risolvere molti problemi. La nostra forza è la nostra organizzazione, senza aggredire chi ci fa del male. I maestri raccontano che i fratelli dei partiti sono diventati dipendenti da aiuti e programmi governativi, che abbandonano i lavori produttivi e vendono la terra, mentre gli zapatisti, in maniera collettiva, lavorano nei terreni recuperati e contano sulle proprie risorse e risparmi. Paradossalmente, molti aderenti ai partiti finiscono per chiedere aiuto agli zapatisti, vengono nelle loro cliniche, dove li trattano come esseri umani, e ricorrono ai loro governi per l'applicazione della giustizia e risoluzione rapida dei conflitti. La resistenza ci ha dato ci ha dato la forza di costruire l'autonomia. Dal 1994 il malgoverno ci ha sempre attaccato; ha tentato tutti i modi per attaccarci, ma oggi, siamo qui! Fa la sua politica e noi ci organizziamo e lottiamo per tutti. Così, i nostri educatori ci hanno mostrato come resistono nell'ambito ideologico, economico,  politico, culturale, che è il modo di vivere; hanno dimostrato che né eserciti né paramilitari hanno impedito lo sviluppo delle loro autonomie". 
Sono stati trattati molti altri argomenti, tutti con profondità, senso dell'umorismo e franchezza, con orgoglio per le conquiste, ma con modestia. Al termine del corso è arrivato il momento di salutare maestr@ e Votán, con un nodo alla gola e pianto aperto di molti. Per gli egresados della escuelita, il mondo non potrà più essere lo stesso. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/30/opinion/019a1pol

Neil Harvey: Principi e modi zapatisti

 

Neil Harvey *
La escuelita zapatista che si è svolta in Chiapas tra il 12 e 16 agosto ha avuto una doppia funzione: da una parte, si è rivolta agli studenti arrivati da fuori come parte di una nuova iniziativa politica dell'EZLN iniziata con la marcia silenziosa del 21 dicembre 2012. La scuola è lo sforzo degli zapatisti di fare conoscere, dalla loro stessa analisi e testimonianza, la loro esperienza nella costruzione dell'autonomia comunitaria, municipale e di zona, allo scopo che queste lezioni possano essere utili in altri spazi.
Rappresenta in parte la continuazione delle relazioni presentate nell'Incontro dei Popoli Zapatisti con i Popoli del Mondo, del 2007, ma con maggiore profondità e con nuovi metodi di organizzazione. L'assegnazione di un uomo o una donna delle basi di appoggio ad ogni studente come propri custodi, ha fatto sì che l'interazione fosse più diretta ed arricchente, mentre le presentazioni e sessioni di domande e risposte hanno dimostrato la disponibilità di condividere non solo i progressi, ma anche limitazioni, errori e, soprattutto, nuovi modi di correggerli.
Nello stesso tempo, la escuelita ha avuto impatto all'interno delle comunità zapatiste promuovendo la discussione e l'elaborazione di quattro libri e due dvd sui governi autonomi, l'autonomia e le donne, e la resistenza, lasciando a disposizione un importante strumento per l'educazione autonoma e la nuova generazione di giovani zapatisti. Nel processo si va consolidando la centralità dei sette principi di governo zapatista: ubbidire e non comandare; rappresentare e non sostituire; scendere e non salire; servire e non servirsi; convincere e non vincere; costruire e non distruggere, e proporre e non imporre.
La scuola dunque è uno spazio di dialogo, un'opportunità per conoscere e condividere non unicamente i principi zapatisti, ma anche le sue pratiche o modi. Ma, che cosa sono i modi zapatisti? Sebbene resistano alla definizione, è possibile valutare il modo in cui questi sono espressi nelle decisioni e nelle azioni dei membri dell'EZLN.
Detti modi si manifestano nella pratica, cioè, nella capacità di rispondere in maniera includente e creativa ai problemi che si presentano. Attraverso la loro pratica, gli zapatisti danno significato ai sette principi già menzionati.
Durante la escuelita sono stati affrontati cinque temis: governo autonomo, donne, resistenza, giustizia e democrazia. In ognuno, le pratiche rivelano diversi processi di analisi, consultazione e riflessione che sostentano questo modo zapatista di rispondere a nuove sfide e problemi. 
Per esempio, la creazione delle giunte di buon governo (JBG) su scala regionale ha risposto ai problemi di squilibrio tra i municipi autonomi che si erano presentati alla fine del 1994. Il risultato di questa riorganizzazione, è una migliore distribuzione di aiuti solidali tra tutte le comunità e municipi zapatisti.
In quanto alla partecipazione delle donne, nelle JBG si è conseguita una rappresentanza più equa (per esempio, la composizione della JBG di La Realidad è passata da una a 12 donne tra il 2003 e il 2011), pur tuttavia esistono limitazioni dovute al machismo in molte comunità, che non permettono la partecipazione piena del settore femminile nelle attività organizzative. Gli zapatisti stanno tentando di cambiare questo atteggiamento insegnando che il machismo non viene dalla cultura indigena, bensì dai colonizzatori, e che furono i padroni ed i finqueros ad imporre l'idea che la donna non ha gli stessi diritti degli uomini, di modo che ora sconfiggere il machismo non implica andare contro i costumi indigeni, ma combattere insieme, uomini e donne, contro questo tipo di dominazione e costruire nuove forme di convivenza.
L'autonomia si costruisce anche nella resistenza alle molte strategie contrainsurgentes scatenate in Chiapas. Esempi notevoli sono la decisione di ricostruire cinque Aguascalientes dopo la distruzione dell'Aguascalientes di Guadalupe Tepeyac da parte dell'Esercito nel 1995, ed il modo in cui si affrontano i problemi economici attuali attraverso la creazione di nuove banche zapatiste che permettono di far fronte ad elevate spese mediche ad un tasso di interesse del 2 percento, o promuovere nuove attività collettive che permettono ai giovani di rimanere nelle proprie comunità e così evitare l'emigrazione.
In quanto alla giustizia, gli zapatisti prevedono la riabilitazione come miglior modo di stabilire condizioni reali di maggior sicurezza ed impedire la corruzione associata al pagamento di multe, come avviene nel sistema ufficiale. La riabilitazione molte volte si consegue col lavoro collettivo e l'apprendimento di un mestiere che permette la reintegrazione nella comunità invece della continuazione dei reati. È importante anche segnalare che le autorità zapatiste vogliono che le parti in conflitto giungano ad accordi per evitare problemi più grandi. 
Infine, il modo zapatista di praticare la democrazia persegue la più ampia partecipazione possibile. Per esempio, la JBG di La Garrucha conta su 24 autorità elette con voto segreto. Il suo mandato è di tre anni, ma il lavoro si spartisce tra tre gruppi di otto persone che si alternano ogni 10 giorni. La democrazia non si limita alle elezioni, ma è qualcosa che si promuove in ogni spazio e tempo. Per esempio, le proposte delle JBG per implementare qualsiasi progetto devono essere presentate e discusse nelle assemblee di ogni comunità della zona. Lì si possono modificare le proposte ed includere altre considerazioni.
I modi zapatisti si manifestano così nei modi di governare e creare alternative vitali. Sono le pratiche quelle che mantengono aperti gli spazi necessari affinché tutti possano partecipare come uguagli nella discussione e nell'applicazione dei diversi progetti, e così continuare a costruire, correggere e progredire. Questi sono i modi zapatisti.
 
*Professore-ricercatore dell'Università Statale del New México, campus Las Cruces
 

giovedì 29 agosto 2013

Rischio di massacro.

 

La Jornada – Giovedì 29 agosto 2013
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 agosto. I membri dell'organizzazione della società civile Las Abejas, della colonia Yaxgemel (municipio di Chenalhó), ritengono pericolosa la tardiva presenza della polizia nella colonia Puebla, dove la situazione è allarmante, e citarono le parole di Javier Hernández Cruz, aggressore del parroco di Chenalhó la settimana scorsa, che avrebbe detto: È necessario  far prendere aria e scaldare le munizioni, perché sono chiuse da da anni e si sono raffreddate, in riferimento alle armi che lui e tutti i paramilitari di Puebla hanno conservato dopo il massacro di Acteal.
Lo stesso individuo ha minacciato di morte un catechista di Yaxgemel, mentre altri elementi hanno minacciato uno degli autisti che hanno portato gli sfollati a San Cristóbal de las Casas.
Pronunciandosi contro la violenza sistematica nella località vicina, affermano: 
"A noi che abbiamo subito nella carne lo sgombero forzato del 1997, indigna e deprime psicologicamente lo sfollamento dei nostri fratelli e familiari di Puebla, perché il modo in cui si è sviluppato questo conflitto e la violenza sono identici al processo che portò alla guerra sporca". Nella colonia Puebla sono nati i primi paramilitari che estesero il conflitto ed incitarono al paramilitarismo in varie comunità di Chenalhó nel 1997.
La nuova violenza è iniziata pretestuosamente come un problema religioso ma è la strategia ed il mascheramento dei malgoverni, ed in fondo un attacco diretto ai nostri compagni, affermano Jacobo Hernández Gómez, Diego Guzmán Gómez e Lázaro Arias Gómez. Il modo in cui si è sviluppato il problema è di carattere contrainsurgente, l'abbiamo già vissuto e sappiamo riconoscere la natura dei conflitti. 
La violenza avrebbe potuto essere risolta senza sgomberi se le autorità avessero la volontà e la capacità di fornire una soluzione pacifica e immediata. Tuttavia, è stato il contrario, come logico, perché tutte le autorità competenti fanno parte degli artefici del conflitto.
Complicità del governo
La complicità dei governi è stata confermata quando nel pomeriggio del giorno 22 gli ora esiliati, rinchiusi e minacciati di morte, hanno chiesto la protezione della forza pubblica per andarsene, ma è stata loro negata. Ciò nonostante, quando le persone minacciate erano già andate via, le autorità della colonia Puebla, i responsabili delle aggressioni, hanno chiesto l'intervento della forza pubblica, che gli è stato concesso. Ora, la polizia si è insediata lì insieme ai responsabili della violenza. 
La presenza della polizia a Puebla sarebbe per fornire protezione, ma in realtà serve a militarizzare le nostre comunità, sostengono i rappresentanti tzotzil. Temiamo un altro massacro; sappiamo che i poliziotti possono addestrare i paramilitari, che sono attivi, e la violenza estendersi ad altre comunità. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/29/politica/022n1pol
 

Permetteremo un altro massacro come ad Acteal?


Mercoledì 28 agosto 2013 21:51
 
Il massacro di Acteal nel 1997 ebbe come preludio una serie di provocazioni identiche a quella di oggi nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove ci sono già centinaia di persone sfollate.  I responsabili delle provocazioni di oggi sono i figli dei paramilitari del 1997.
 
San Cristóbal de las Casas, Chiapas, 28 agosto 2013.- C'è chi ancora ricorda che l'escalation che portò al massacro di Acteal dove furono assassinate 45 persone, tra le quali bambini, bambine e donne incinta, cominciò con provocazioni ed aggressioni come quelle viste in questi giorni nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove già centinaia di persone sono sfollate. Malgrado nella memoria collettiva rimangano frasi come "Mai più Acteal", oggi chi lotta ed il pubblico in generale reagiscono poco di fronte alla nuova escalation che può finire in un nuovo massacro. Mentre alcune cronache sui media liberi in questi giorni raggiungono livelli di lettura storici, le notizie sulla escalation delle aggressioni hanno pochissime letture, e la raccolta di viveri a San Cristóbal del las Casas è insignificante. Come società civile nazionale e internazionale e come persone impegnate, permetteremo un altro Acteal a Chenalhó, Chiapas?
La colonia Puebla a Chenalhó, Chiapas, è uno dei due luoghi da dove partirono i paramilitari che eseguirono il massacro di Acteal, salvo un'autorità, il resto degli autori materiali non andò mai in prigione, diversamente dai paramilitari dell'altro luogo da dove partirono: Los Chorros, che furono processati ed imprigionati e che poco tempo fa sono stati rilasciati dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione. Dopo la liberazione di questi ultimi, e di fronte all'impunità chiamata giustizia è iniziata l'escalation a Puebla, Chenalhó. Se un gruppo può assassinare impunemente 45 persone, e la Corte Suprema di Giustizia della Nazione lo libera, vuol dire che l'impunità si è fatta legge, la massima legge della nazione. Le famiglie paramilitari della zona agiscono di conseguenza e mandano i loro figli, molti dei quali bambini, a minacciare, perseguitare e lapidare le famiglie non affiliate. Ripetutamente le autorità municipali e statali hanno negato le misure cautelari chieste dalle organizzazioni dei diritti umani in favore delle famiglie minacciate ed aggredite, oggi molte di loro sfollate.
I pretesti per queste aggressioni sono stati diversi e puramente inventati. In questi giorni diverse cronache e notizie riassumono la situazione, qui ne indichiamo quattro:
 
·        Cronaca: "Desplazamiento Forzado de Compañer@s de Ejido Puebla (Chenalvo'o, Chiapas) de la Sociedad Civil Las Abejas de Acteal"
 
Invitiamo a vigilare e seguire le informazioni, a fare memoria storica, a non permettere un altro Acteal, ad appoggiare con contributi e provviste e a non permettere che l'impunità prenda il nome di Giustizia ancora una volta di fronte al silenzio della società civile e di chi lotta.
 
 
E se volete fare memoria e ricordare i meccanismi di contrainsurgencia in Chiapas ancora attuali, qui ci sono gli articoli di Bellinghausen con il racconto dei precedenti ed il contesto del massacro di Acteal pubblicato nel 2007, poi diventato un libro: A (quince) diez años de Acteal
 
 


Hermann Bellinghausen: La falsa battaglia di Puebla


Hermann Bellinghausen
 
Un dejá vú. È il 2013, non il 1997. Quello che accade nell'ejido (già colonia) Puebla, ai confini di Chenalhó, in Chiapas, che si è voluto presentare come un conflitto religioso, in realtà è la manifestazione esplosiva del risentimento covato nelle famiglie dei paramilitari che all'improvviso accende una voce contagiosa e malintenzionata: Hanno avvelenato l'acqua! Chi? I cattolici, Las Abejas. Contro chi si scaglia inizialmente la turba? Contro le basi di appoggio zapatiste. Ne catturano tre, li legano, torturano e consegnano alla polizia. Poche settimane fa. Ora un centinaio di indigeni, in maggioranza donne e bambini, che non sono neanche zapatisti, percorrono le stazioni dolorose di un per nulla metaforico esodo, sotto l'impavido e declaratorio sguardo del governo statale che si comporta come se il conflitto si potesse dirimere ad un tavolo di dialogo dove le parti si riconcilino e così via.
Siamo alla stele del massacro di Acteal. Non siamo qua perché lo vogliamo, ma perché ci perseguitano. Ci vogliono ammazzare, si sono organizzati per farlo, ed il governo non fa niente, dice questo sabato, sull'orlo del pianto, ma con coraggio, Rosa Sánchez Arias, madre di famiglia che non parla spagnolo e sta fuggendo. Noi non avveleniamo l'acqua. Io dichiaro davanti a voi che non abbiamo fatto niente, sostiene in una spoglia conferenza stampa prima di lasciare la scuola Nueva Primavera a San Cristóbal de las Casas, dove gli sfollati hanno pernottato e si sono lavati, per partire poi verso la scuola parrocchiale di Yabteclum (il vecchio villaggio di Chenalhó), dove arrivano nella notte con l'intenzione di proseguire lunedì fino ad Acteal. Un luogo, ed un altro, ed un altro, Rosa riassume e si duole. L'hanno deciso la notte del 22 e di buon mattino, furtivamente, le famiglie perseguitate sono partite. Sono scese fino alle fattorie di Tenejapa, si sono infangate, disperse, ammalate ed hanno sofferto molto prima di essere localizzate dalle brigate civili che le stavano cercando.
Il 20 agosto, mentre un centinaio di giovani e bambini, autorizzati a fare bullismo, impedivano ai primi profughi di Puebla di avvicinarsi, nella stessa comunità molti altri raccoglievano pietre e circondavano i cattolici che aspettavano i profughi. Hanno distrutto il cibo che avevamo preparato, rubato le pentole e bruciato tutto. Hanno preso una bambina che volevano picchiare. Hanno detto molto brutte parole mentre distruggevano tutto. Hanno bruciato la casa, aggiunge Rosa. Decine di persone, circondate e rinchiuse in una capanna, sentivamo il fumo ed il calore dell'incendio. I bambini erano terrorizzati, quelli di fuori ridevano. 
Juan, un altro sfollato: "Alcuni pastori (evangelici) stanno con i gruppi violenti. Hanno fatto correre la voce che quando ritorneremo ci finiranno. Dicono di fare tutto questo perché hanno la parola di Dio e ci vogliono obbligare a perdonarli. Non vogliono giustizia. Parlano di 'riconciliazione', e con loro il governo. Dimenticano che hanno delle responsabilità". Loro hanno torturato, bruciato, oltraggiato il parroco, minacciato di morte. Ed il governo dice che per il ritorno, manca solo la nostra risposta alle sue proposte, omettendo di vedere che dalla sua parte ci sono i delinquenti e che ci stanno aspettando.
Da Puebla e los Chorros si organizzò il gruppo paramilitare che devastò Chenalhó nel 1997 che raggiunse il culmine nell'accampamento di profughi di Acteal quel 22 dicembre. Le polveri della recente liberazione dei paramilitari condannati (sicuramente non quelli di Puebla, perché nessuno andò in prigione, eccetto l'allora sindaco Jacinto Arias Cruz) sono tornate a rivoltare quel fango. Con un candore che non si vedeva dal governo di Julio César Ruiz Fierro prima del massacro, quello di Manuel Velasco Coello spera che i cattolici accettino un accordo che non garantisce giustizia né protezione, e già si è visto che la polizia non riesce a fare niente o sta con gli altri.
La faccenda delle voci fatte circolare è chiave. Come racconta un abitante di Yaxjemel, non lontano da Puebla, settimane prima "il gruppo aggressore di Agustín Cruz non aveva sufficiente sostegno nella sua crociata contro i 'cattolici' (anche se alcuni non lo erano), fino alla voce dell'avvelenamento dell'acqua". Non ha contato nulla che il delegato regionale della Sanità, il poeta Ulises Córdova, negasse l'esistenza di casi di intossicazione d'acqua inquinata in tutta la zona, ma sul posto la cosa ha funzionato. Dando motivo per una vendetta. Come le Torri Gemelle.
Ma non c'è da sorprendersi. Con dignità e ordine impressionanti, gli sfollati nella notte arrivano al rifugio di Yabteclum tra incensi e sussurri. I locali che li accolgono ascoltano le loro testimonianze. Ondate di preghiere in cinguettio tzotzil. Poi offrono fagioli, da un immenso comal pieno di mani di donna escono tortillas senza fine, ed i bambini che due notti fa piangevano terrorizzati ora ridono, mangiano e giocano. Domani proseguirà il loro peregrinare. Gli incubi della mala giustizia generano mostri. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/26/opinion/a11a1cul

mercoledì 28 agosto 2013

Las Abejas rifiutano l'accompagnamento di una commissionedel governo


La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 27 agosto. Questo lunedì, l'organizzazione della società civile Las Abejas ha respinto la pretesa di una commissione del governo statale di accompagnare il trasferimento dei rifugiati della colonia Puebla che in mattinata hanno lasciato Yabteclum per stabilirsi nell'accampamento di Acteal, nel municipio di Chenalhó. "Abbiamo detto a questi messaggeri del malgoverno che non accettiamo la loro presenza. Com'è possibile che vogliano 'accompagnare' gli sfollati, se sono complici del loro sgombero?".
Poco prima di partire da Yabteclum, raccontano Las Abejas, è arrivata una commissione di funzionari formata da un delegato della Segreteria di Governo, della Commissione Statale dei Diritti Umani, della Protezione Civile e dal segretario municipale di Chenalhó. Erano accompagnati da persone a noi ben note come spie del malgoverno, che ci scattavano fotografie. La commissione governativa diceva di, "venire per 'accompagnare' e dare 'protezione' " agli sfollati.
A quasi quattro mesi dallo scoppio del conflitto per il terreno della Chiesa cattolica nella colonia Puebla, e dopo le denunce pubbliche, è avvenuto lo sgombero forzato. Questo lunedì 26 a mezzogiorno, ad Acteal abbiamo accolto 95 persone di 13 famiglie cattoliche e due di religione battista, vittime dello sgombero e dell'impunità creata e favorita dal malgoverno, insiste l'organizzazione tzotzil. 
Prima dello sgombero, il consiglio parrocchiale di San Pedro Chenalhó ha fatto di tutto per trovare una soluzione giusta e pacifica al conflitto, ma le autorità della colonia, in complicità col municipio e col governo statale, invece di applicare la giustizia hanno agito come loro abitudine e come indicato dal manuale di guerra irregolare dell'Esercito messicano: generare e favorire la violenza, e concedere impunità agli aggressori.

Martínez Veloz: La liberazione di Patisthán è vitale per il dialogo con l’EZLN

 

La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013
Elio Enríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 27 agosto. Il delegato per il Dialogo con i Popoli Indigeni del Messico, Jaime Martínez Veloz, questo martedì ha visitato Alberto Patishtán nella prigione di San Cristóbal, perché la sua liberazione è fondamentale per generare quei livelli minimi di fiducia con l'EZLN che permettano la riconfigurazione delle condizioni per il compimento degli Accordi di San Andrés. 
Martínez Veloz è arrivato a mezzogiorno nella prigione, e dopo aver parlato con Patishtán Gómez, accompagnato da Sandino Rivero, membro della squadra di avvocati dell'imputato, è tornato a San Cristóbal per tenere una conferenza stampa. Alberto Patishtán sta scontando una condanna a 60 anni di prigione per l'accusa di aver partecipato ad un'imboscata a dei poliziotti che provocò sette morti e due feriti, il 12 giugno del 2000. 
Alla domanda diretta, ha risposto che non si vuole l'indulto per Patishtán Gómez, perché si spera che il verdetto che emetterà prossimamente il primo tribunale collegiale di Tuxtla Gutiérrez sia favorevole, per non dovere ricorrere ad un'altra istanza, ma faremo tutto quanto umanamente possibile e lotteremo per la libertà del professore presso ogni ordine di giudizio e su tutti i fronti. 
Martínez Veloz ha riferito che il colloquio con l'indigeno tzotzil è stato molto buono, e non sarà l'ultimo di un rapporto che possiamo costruire dentro e fuori la prigione. Ha aggiunto che inviterà anche gli altri membri della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) a visitare Alberto Patishtán in prigione, affinché incomincino a conoscere da vicino l'insieme dei problemi che girano intorno al processo di pace. 
Ha ricordato che fin dall'inizio del suo incarico come delegato, ha esposto al segretario di Governo, Miguel Osorio Chong, la necessità di avanzare su cinque aspetti basilari per riprendere la via del dialogo in Chiapas: volontà politica unilaterale, la conformazione della Cocopa, la nomina del delegato per il dialogo, la liberazione di Patishtán Gómez, così come la riproposizione dell'iniziativa di legge che contiene gli Accordi da San Andrés. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/28/politica/018n2pol


martedì 27 agosto 2013

Allarme rosso a Chenalhó


Magdalena Gómez
Solo tre settimane fa sostenevo con preoccupazione che non era disattivato il conflitto nellejido Puebla, municipio di Chenalhó, in Chiapas, dove evangelici priisti in alleanza con i paramilitari - liberati dalla Corte Suprema  di Giustizia per presunte mancanze nel processo dove erano stati condannati per la loro partecipazione nel massacro di Acteal - reclamavano presunti diritti sul terreno di una cappella cattolica. Quell'episodio violento ha provocato lo sfollamento di diverse famiglie. Nuovamente ci troviamo di fronte al cocktail esplosivo della presunta componente religiosa che ha causato gravissimi danni in quella zona. 
Il governo dello stato l'8 agosto aveva aperto un tavolo di dialogo dove era stato firmato un accordo di civiltà, distensione e mutuo rispetto tra aggressori ed aggrediti, per questo le famiglie sfollate si erano preparate a ritornare martedì 20 agosto, accompagnate dal rappresentante del Sottosegretariato agli Affari Religiosi, Javier García Mendoza, e da una pattuglia della polizia statale. Tuttavia, un gruppo di circa 100 giovani ha impedito loro di avanzare. Il giorno dopo, è stato sequestrato e brutalmente picchiato il parroco cattolico di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez, insieme ad un rappresentante del governo statale e ad un altro del governo municipale, da elementi delle chiese evangelica e presbiteriana. I fatti descritti sono stati denunciati dal centro Frayba e, come possiamo osservare, sono gravi di per sé ed ancora di più perché il riferimento del contesto precedente al massacro di Acteal non solo è inevitabile, ma ci obbliga a non abbassare la guardia.
Ma ci sono altri elementi che dobbiamo considerare, come il fatto che le prime aggressioni sono avvenute quando stavano per iniziare le attività politiche e pacifiche dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: l'anniversario dei caracol e la Escuelita zapatista che ha visto la partecipazione di circa 2 mila persone provenienti da molti paesi, e la cattedra Tata Juan Chávez Alonso, convocata dalla comandancia zapatista e dal Congresso Nazionale Indigeno, il cui profilo di denuncia di espropri in tutto il paese e di organizzazione per la difesa del territorio dei popoli è stato molto alto. Tutti questi sono stati un messaggio chiaro della forza politica ed organizzativa seguita alla dimostrazione del dicembre dello scorso anno con l'impressionante silenzioso spiegamento di forze.
Quindi, ci domandiamo se è un caso che, una volta conclusa la presenza solidale internazionale nella zona, siano riprese le ostilità a Chenalhó. Ovviamente, l'autonomia di azione non è nell'essenza del paramilitarismo. Quali forze ci sono dietro le aggressioni nell'ejido Puebla? E non possiamo smettere di domandarci se la denuncia del comandante Tacho nella settimana della Escuelita dei voli radenti di elicotteri nella zona, ha una qualche relazione con questa provocazione e minaccia. A dicembre del 2012 si arrivò a dire che in un gesto di volontà politica l'Esercito si era ritirato e non aveva interferito nell'uscita e negli spostamenti verso San Cristóbal delle basi zapatiste. Non sarà il caso di domandarci come valuta l'Esercito l'evidente rinvigorimento dello zapatismo? Se non ampliamo lo sguardo per analizzare questi segnali esecrabili a Chenalhó, possiamo incorrere, senza volerlo, nella visione di conflitto intracomunitario.
D'altra parte, dobbiamo anche domandarci se le autorità statali hanno agito con genuino spirito di mediazione, quando questo compito spetta in ogni caso a spazi civili, mentre a loro, come ha detto l'organizzazione Las Abejas, spetta l'applicazione della legge. Giustamente hanno denunciato che martedì scorso si è visto qualcosa che non si vedeva dai giorni tragici del 1997: il fumo delle case bruciate, (in riferimento alla cucina comunitaria) a tracciare un segnale di morte nel cielo di Chenalhó. Sappiamo leggere questi segnali di fumo, hanno aggiunto. "Ed il governo, invece di applicare la legge convoca 'tavoli di dialogo' che sono dialoghi tra sordi, dove firma e fa firmare delle carte, mentre i paramilitari continuano tranquillamente con bugie e violenza".
E' strano che il governo dello stato non abbia emesso un bollettino ufficiale riguardo a questi fatti, e che non l'abbia fatto neanche il Sottosegretariato agli Affari Religiosi; senza dubbio bisogna porsi questa domanda. Certamente il movimento sociale e politico progressista in questo momento affronta lotte cruciali, come il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori della Scuola, sottoposto ad un feroce linciaggio mediatico per aver occupato strade ed edifici pubblici, ed un'altra serie importante di forze si sta organizzando per fermare la riforma energetica; dovrebbero guardare al Chiapas ed ai popoli indigeni che anche loro difendono la nazione di fronte al neoliberismo. Nel frattempo, lo Stato né li vede né li sente. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/27/opinion/020a1pol

lunedì 26 agosto 2013

Sequestrato l'indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie


Sequestrato l'indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie

da Media Liberi
Venerdì 23 agosto 2013


22 agosto 2013.- All'alba di oggi un gruppo di persone armate hanno fatto irruzione nella casa dell'indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie nello stato di Jalisco, portandolo via insieme ad altre due persone, che fino ad ora risultano scomparse. Da tempo le società minerarie che saccheggiano la regione organizzano gruppi armati che agiscono contro la popolazione che si oppone al saccheggio. Gaudencio Mancilla era appena tornato dalla Cattedra "Tata Juan Chávez Alonso", che si è svolta il 17 e 18 agosto a San Cristóbal de las Casas, convocata dal Congresso Nazionale Indigeno e dall'EZLN, e solo questo 17 agosto don Gaudencio diceva nel suo intervento alla Cattedra: "per questo chiedo a tutti i fratelli e sorelle del Congresso Nazionale Indigeno di vigilare, Perché vigilare? Perché succederà qualcosa, la comunità oserà fermare i minatori e non sappiamo cosa succederà".
All'alba a bordo di 5 furgoni, un gruppo di uomini armati che non si sono identificati hanno fatto irruzione nella casa di Gaudencio Mancilla Roblada, nell'ejido di La Guayaba. Gaudencio è il leader del consiglio dei Mayores della comunità Nahua di Ayotitlán, sulla Sierra di Manantlán, nel municipio di Cuautitlán, Jalisco. Portato via con violenza, ora risulta desaparecido insieme a suo fratello Bonifacio Mancilla Roblada, e con Gerónimo Flores Elías, vicino della comunità Tierras Negras. Le sparizioni sono avvenute malgrado don Gaudencio Mancilla godeva di misure cautelari concesse dalla Commissione Statale dei Diritti Umani di Jalisco (CEDHJ).
Solo nell'ottobre del 2012, Celedonio Monroy, un altro membro del consiglio dei Mayores, era stato privato della libertà e fino ad oggi risulta ancora desaparecido. Nel luglio scorso, un commando aveva fatto la stessa irruzione nella sua casa, in quell'occasione Gaudencio riuscì a fuggire verso la montagna, don Gaudencio è uno strenuo oppositore al disboscamento clandestino ed miniere illegali nella sua comunità.
Il Consorzio Minerario Peña Colorada è una delle compagnie che compiono aggressioni contro le comunità indigene nahua e otomí della regione, fomentando un conflitto che abbraccia territori negli stati di Jalisco e Colima. Una proprietà di 810 ettari in concessione a questa impresa, è uno dei centri del conflitto. Lo sfruttamento di questa proprietà ha provocato l'inquinamento e la perdita delle sorgenti della zona, ed il blocco di strade. Diverse comunità nahua ed otomí delle vicinanze della zona sono state colpite: El Mameyito, San Antonio, Changavilán, Las Maderas, Rancho Quemado, Los Potros, Puertecito de las Parotas e La Piedra, le cui popolazioni sono state parzialmente sgomberate negli anni scorsi.
Il compagno nahua Gaudencio Mancilla, aveva partecipato il fine settimana scorso alla Cattedra "Tata Juan Chávez Alonso" (convocata dall'EZLN), ed alla riorganizzazione del Congresso Nazionale Indigeno, dove aveva descritto la grave situazione della sua comunità e le persecuzioni che subiscono.



Operazione "pulizia religiosa" collegata ai paramilitari

 

La Jornada – Domenica 25 agosto 2013

Operazione pulizia religiosa a Chenalhó collegata ai paramilitari

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 agosto. "Di fronte al rischio imminente in cui si trovavano le famiglie cattoliche dell'ejido Puebla, municipio di Chenalhó, all'alba di venerdì sono sfollate 14 famiglie, in maggioranza donne e bambini" ha comunicato ieri il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) dopo l'arrivo degli indigeni nei suoi uffici.

Tuttavia, nel pomeriggio di oggi gli sfollati (che sono già più di 80), dopo aver trascorso la notte nella scuola di Nueva Primavera, e vista l'inutilità della mediazione governativa, hanno deciso di dirigersi a Yabteclum, più vicino alla loro comunità, anche se non c'è alcuna certezza del loro ritorno sicuro. Alcuni sono malati, quindi è anche emergenza sanitaria.

Il "sgombero forzoso" di questi tzotzil di diverse organizzazioni, che in comune hanno la professione della religione cattolica e non appartengono ai partiti politici ufficiali, si deve, secondo il Frayba "al clima di violenza in cui si trova la zona e per le aggressioni, minacce e persecuzioni" avvenute nelle scorse settimane.

Attualmente, riferisce l'organizzazione presieduta dal vescovo di Saltillo, Raúl Vera, "nell'ejido Puebla sono a rischio le famiglie cattoliche (23 persone) di Manuel Cruz, Gustavo Santiz e Francisco López, e le famiglie battiste e pentecostali che sono rimaste nell'ejido anche se minacciate".

Il centro dei diritti umani "esige che si garantisca il diritto all'integrità personale e si offra tutta l'assistenza necessaria alle persone sfollate, e si garantisca l'integrità e la sicurezza personale" delle famiglie che rimangono nella tormentata comunità. Anche che si applichi "la normativa internazionale, in specifico i principi regolatori degli sgomberi interni, firmati e ratificati dallo Stato messicano."

Questi indigeni si sommano alle cinque famiglie dello stesso villaggio che, sfollate a luglio, avevano tentato di tornare questa settimana, ed un centinaio di persone, in maggioranza ragazzi, avevano impedito loro in maniera aggressiva, perfino di avvicinarsi all'ejido Puebla. Il problema nasce da un conflitto, apparentemente religioso, creato dalle autorità ejidali, tutti membri di chiese evangeliche e presbiteriane.

Sotto l'apparenza di contendersi la proprietà dove da quarant'anni si trova la appella cattolica, i filogovernativi hanno scatenato una virulenta operazione di "pulizia religiosa", molto politica, collegata al ritorno dei paramilitari che parteciparono al massacro di Acteal, che condannati, sono stati polemicamente liberati negli anni e mesi recenti su decisione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione. A Puebla si aggredisce nello stesso modo l basi di appoggio zapatiste, Abejas, Pueblo Creyente, e perfino i seguaci di altre chiese cristiane. http://www.jornada.unam.mx/texto/010n2pol.htm

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)


I paramilitari seminano il terrore negli Altos del Chiapas

 

I LEADER PARAMILITARI DEL MASSACRO DI ACTEAL, TORNATI LIBERI, SEMINANO IL TERRORE NEL LOS ALTOS DEL CHIAPAS
23 agosto 2013
 
Questa notte, nell'Ejido Puebla del Municipio di Chenalho nel Los Altos del Chiapas e vicino alla comunitá di Acteal, ci sono state nuove manifestazione di violenza da parte di evangelici contro i cattolici tra cui si trovano basi di appoggio dell'EZLN, aderenti all'Associazione Civile Las Abejas e semplici simpatizzanti dell'EZLN.
Come già noto grazie alle tempestive traduzioni di Annamaria di Maribel, mercoledì di questa settimana, il parroco di Chenalho era stato sequestrato e, per tutta la giornata, sottoposto a torture. Gli ultimi avvenimenti, nella notte tra giovedi e venerdì.
Una ventina di famiglie cattoliche sono state fatte oggetto di sassate contro le loro case, urla, insulti e minacce di morte se insistevano a rimanere nell'ejido. Alcune famiglie terrorizzate sono uscite di casa precipitosamente, durante la notte, in cerca di un rifugio fuori dall'ejido. Due giovani si sono perduti nell'oscurità. Per tutta la giornata di venerdì erano dati per dispersi ma poi, in serata, sono stati ritrovati salvi a San Cristobal. Altre famiglie fuggite hanno trovato un rifugio di fortuna in attesa dell'arrivo di soccorsi. Una dozzina di famiglie sono rimaste nelle loro case ma in mattinata hanno lanciato un appello per essere aiutate a lasciare l'ejido. Alcuni di loro sono riusciti a raggiungere il Frayba a San Cristobal e dal Frayba, in tutta fretta, è stata organizzata una carovana di auto, furgoni, camionette per portar fuori dall'ejido le famiglie rimaste sotto la minaccia degli evangelici. Dieci mezzi, completamente vuoti e con a bordo il solo guidatore in modo che si potesse soccorrere il maggior numero di sfollati, sono partiti da San Cristobal verso le 13. Il viaggio verso l'Ejido Puebla è stato molto lungo passando per Tenejapa per aggirare il blocco stradale organizzato dai paramilitari. Una volta che la caravana è arrivata nei pressi dell'Ejido, alcuni carovanieri hanno preso contatto con alcune delle famiglie minacciate. Queste si sono immediatamente riunite per decidere se sfollare o rimanere nelle proprie case. Alla fine hanno deciso di resistere, costi quello che costi, nelle loro case, sfidando le minacce e le violenze continue per tentare di impedire che i paramilitari rubino tutte le loro povere cose e brucino le loro case.
La situazione nell'ejido Puebla Municipio di Chenalho è la diretta conseguenza della liberazione dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal.
Nella notte del 22 dicembre del 1997, un gruppo di paramilitari armati e addestrati dall'esercito messicano che occupava il territorio chiapaneco per distruggere i municipi autonomi zapatisti, massacrarono 45 tra uomini, donne e bambini. Gli uccisi erano tutti aderenti alla Associazione Civile Las Abejas e si erano riuniti a pregare nella loro piccola hermita (chiesetta) per invocare la pace. I paramilitari li massacrarono per vendicarsi che la comunità di Acteal aveva ospitato e aiutato centinaia di sfollati zapatisti in fuga dalle violenze dell'esercito e degli stessi paramilitari. Dopo il massacro la reazione della società civile messicana e mondiale costrinse le autorità messicane ad arrestare i responsabili materiali. Molti confessarono e più di cento furono condannati e incarcerati; in realtà un numero di molto inferiore a quello che avevano partecipato veramente al massacro. Poco dopo la società civile ha cominciato a chiedere il castigo anche dei responsabili intellettuali: il governo federale, le alte cariche dell'esercito che armava, addestrava e coordinava i paramilitari, il governo locale. La risposta del governo è stata immediata: una campagna per la liberazione e "l'indennizzo" dei paramilitari massacratori. Poco a poco vennero liberati quasi tutti e il governo ha pure regalato loro terre e case. Insomma un premio per aver fatto il lavoro sporco che l'esercito non voleva fare. Due leader del gruppo paramilitare responsabile del massacro di Acteal erano proprio originari dell'Ejido Puebla. La loro liberazione e il loro ritorno all'Ejido ha coinciso con la ripresa delle violenze contro gli zapatisti e i filozapatisti.
Più di un mese fa gli evangelici paramilitari avevano accusato due famiglie zapatiste di aver avvelenato l'acqua. Li hanno picchiati, torturati e incarcerati. Oltre a loro hanno torturato e incarcerato un evangelico che si era permesso di difenderli visto che le accuse di avvelenamento erano palesemente false. Quando il personale del Centro dei Diritti Umani Fra Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha chiesto di far analizzare l'acqua per accertarsi della fondatezza dell'avvelenamento, le autorità evengeliche si sono rifiutate e anzi li hanno malamente cacciati. Dopo alcuni giorni, durante i quali il governo locale ha mostrato simpatia e particolari riguardi verso gli evangelici, i tre sono stati liberati ma le violenze sono subito riprese.
Alcune famiglie, sotto violenza, sono state cacciate dalle loro case. Una casa vicino alla chiesetta cattolica è stata bruciata. Quando il Frayba ha organizzato una carovana per riportare gli sfollati alle loro case nell'Ejido, un folto gruppo di evangelici, diretti dai paramilitari, hanno respinto la carovana a sassate. La carovana era accompagnata, a distanza, dalla polizia ma questi hanno fatto finta di niente. Il giorno dopo altri poliziotti hanno fatto finta di tentare di "ristabilire l'ordine" avvicinandosi all'ejido per poi subito ritirarsi.
L'altro ieri il parroco di Chenalho, accompagnato da 3 funzionari del governo locale, si sono presentati alle autorità evangeliche dell'ejido per tentare di stabilire un accordo ma sono stati subito aggrediti e sequestrati. Il parroco è stato picchiato, rinchiuso per ore nella latrina. Poi è stato portato davanti alla folla legato e fatto oggetto di insulti, volgarità e minacce di essere denudato, cosparso di benzina e poi bruciato. Alla fine spaventato, umiliato e spossato per le torture è stato costretto a firmare un documento dove rinunciava alla ricostruzione di una chiesetta dentro l'ejido.
Ieri sera altre violenze dove, questa volta, le vittime erano abitanti di una comunità vicina, neppure appartenenti all'ejido.
E si arriva a quest'ultima notte di incubo vissuta dagli zapatisti e filozapatisti dell'Ejido Puebla e che ha fatto partire la richiesta di essere aiutati a sfollare. Richiesta che questa sera veniva ritirata da parte delle stesse vittime decise a resistere contro le prepotenze e le violenze dei filogovernativi.
Ma chi sono gli evangelici? Perché questo livello di violenza contro i cattolici? E' davvero un conflitto a carattere religioso? Perché i paramilitari nella zona de Los Altos del Chiapas sono tutti evangelici?
Sulla diffusione degli evangelici nello stato del Chiapas e il loro conflitto contro i cattolici ci sono molte spiegazioni, quasi tutte abbastanza fondate. Una di queste è che la diffusione delle chiese evangeliche è stata particolarmente favorita, negli anni 70 e 80, dalle chiese evangeliche statunitensi nel quadro di una chiara politica di colonizzazione culturale del territorio. Dopo l'insurrezione zapatista del 1994, tonnellate di dollari sono arrivati in Chiapas, dagli Stati Uniti, destinati alle chiese evangeliche locali che predicano l'obbedienza alle autorità e considerano una bestemmia la ribellione alle autorità statali che sono considerate come un progetto divino. Un aspetto della loro teologia è quella che, in ultima istanza, è Dio che sceglie il politico che arriva a conquistare la poltrona del governo; ciò sia a livello federale, statale e locale. Nei suoi volantini, il gruppo evangelico paramilitare Ejercito de Dio - Alas de Aguila, oltre a insultare regolarmente il subcomandante insurgente Marcos, la figura del vescovo Samuel Ruiz e tutti gli zapatisti, giurano fedeltà cieca e riconoscienza al presidente della repubblica e al governatore del Chiapas di turno con un linguaggio che ricorda quello dei nostri squadristi in camicia nera nei riguardi del loro duce. Tra i cattolici invece è molto diffusa la teologia della liberazione. La propria fede viene vissuta come un impegno a organizzarsi e realizzare il "regno" della giustizia e del riscatto su questa terra, in questa vita, senza aspettare il giudizio universale.
Un altro aspetto interessante è quello che molti paramilitari non hanno terre: le hanno vendute quando, prima del 1994, la riforma della Costituzione Messicana consentiva di vendere le terre degli ejidos, permettendo di rompere il regime di proprietà collettiva istituita dalla rivoluzione messicana di Emiliano Zapata e Francisco Villa. Le violenze e le espulsioni dalle terre degli ejidos rimasti sono quindi anche un sistema per riappropriarsi della terra di chi la lavora per poi metterla ancora sul mercato del privato e delle multinazionali. Inoltre essere leader o pastore evangelico nel Los Altos del Chiapas corrisponde spesso ad esercitare un vero e proprio potere locale che si sostituisce anche a quello ufficiale che naturalmente risponde compiacente. Si danno concessioni a esercitare il commercio, si organizzano le feste locali, si controlla il trasporto pubblico. Una vera miniera d'oro per i leader evangelici e in perfetta sintonia con il sistema di sfruttamento capitalista.
Tra gli zapatisti ci sono cattolici, evangelici e non credenti. Nessun conflitto religioso ha ragione di nascere tra i base di appoggio dell'EZLN dove proprietà e lavoro sono gestiti in modo collettivo e dove il popolo comanda e il governo obbedisce.
Il conflitto religioso è una delle strategie del governo per alimentare il razzismo nei confronti delle popolazioni indigene del Chiapas. Gli zapatisti ripetono spesso che i conflitti religiosi sono una invenzione del malgoverno per mettere poveri contro poveri, per manipolare poveri poco coscienti contro chi si ribella e soprattutto contro gli zapatisti che con dignità resistono al neoliberalismo, che con la loro autonomia stanno dimostrando che una alternativa al capitalismo è possibile.


Inviato dal mio telefono Huawei