Hermann Bellinghausen
Sarà che ormai è già troppo tardi, perfino per i segnali di allarme? Che il disastro nazionale si è già verificato mentre si annunciava? La gente che governa il Messico, quella che si arricchisce esponenzialmente sulle sue spalle, quella che lo domina con la forza e la miseria, quella che assalta le nostre leggi da tutte le parti, incominciando dal Congresso dell'Unione, quella gente non ci dà tregua. E' così convinta, decisa, ostinata, soddisfatta di amministrare la decomposizione sociale. La disintegrazione del territorio. Il deterioramento dell'educazione. La prostituzione della giustizia. E ci ha dichiarato una guerra feroce. Ci attaccano in basso. E sopra, e ai lati. La riunione del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) a San Cristóbal de las Casas questo fine settimana, è uno specchio, di più, una testimonianza assordante da più di cento fronti di resistenza negli stati del Messico e Michoacán. Oaxaca, Guerrero, Chiapas, Sonora, Jalisco, San Luis Potosí, Chihuahua, Puebla, Morelos, Distrito Federal, Yucatán e altri. Non sono nemmeno più denunce, benché alcune siano state pronunciate con un inoccultabile grido di aiuto da mazahuas, nahuas, mixtecos. Parti di guerra nei luoghi dove il combattimento è più cruento, impari e definitivo, ma anche dove l'avidità degli aggressori incontra la maggiore resistenza contro i suoi propositi che, se uno li considera razionalmente non può non trovarli irrazionali, suicidi, stupidi.
Una dopo l'altra, decine di testimonianze, dichiarazioni, pronunciamenti, comunicati, proclami, richieste dei popoli indigeni messicani qui rappresentati documentano invasioni, espulsioni, estorsioni, saccheggi, attacchi, assassini, persecuzioni in nome della legalità, o per cortesia del crimine organizzato. Questo succede di solito sul terreno melmoso (direbbe Raúl Zibechi) dove Stato e criminali si confondono. E sembra che pensino seriamente di consultare gli interessati.
È così doloroso quello che si sente. Un glossario eloquente delle esperienze di quelli in basso (gli ultimi, i più piccoli e dimenticati) dentro il disastro in cui quelli di sopra hanno imbarcato il Messico; che hanno fatto della Nazione moneta di scambio e la giocano irresponsabilmente e goffamente nel casinò dei più grandi squali del pianeta in liquidazione (il pianeta). Fate le vostre scommesse. Si sono scatenate bande di ladri di bestiame dal collo bianco e mani insanguinate. Bande di banchieri, magnati mediatici, investitori, partiti politici. Fanno lo stesso i formali malviventi, i cattivi. I loro discorsi su sviluppo, creazione di posti di lavoro, incorporazione al dio Mercato, occultano il vero disastro (perdita di identità personale e collettiva, territorialità, spiritualità, memoria, solidarietà), dal quale questi popoli indigeni sono riusciti a salvarsi, o no, ma non si sono arresi.
La sola reiterata enumerazione annoierebbe se non implicasse un'immensa devastazione nella quale l'ultima cosa è il benessere e la libertà dei popoli messicani. Miniere (migliaia di concessioni paramilitarizzate), industrie petrolifere, eoliche, industrie agro-alimentari, costruttrici, catene commerciali, industrie alimentari, trafficanti professionisti dell'acqua e dell'energia elettrica. Chi se ne rende conto? Coloro che la subiscono. Non la popolazione che crede alla stampa ubbidiente e alla televisione. Lo sconvolgimento lottizza, crea scontro, annulla. Se si perde la lotta nell'Ajusco si perde tutto, può dire un comunero di, sì, del Distrito Federal, la bella città dove i capi delle delegazioni di sinistra sono allegramente prevaricatori quanto i governatori di dovunque si voglia, o gli innumerevoli presidenti municipali. Anche il sud capitolino è terreno di lotta, come i suoi immediati vicini Morelos e México. E il resto. La strada. La centrale idroelettrica. Lo sviluppo immobiliare. Il megaprogetto turistico. Il supermercato. La città rurale. Il parco eolico. La raffineria. La miniera. I pozzi. Gli acquedotti (Independencia uno: non risparmiano nemmeno lo humor).
I mezzi di comunicazione di massa non riferiscono di questa umanità, come fosse carne morta o terminale. O di minacciosi gruppi armati che applicano la loro legge (realmente) per indotto timore delle belle coscienze ostaggio delle bugie mediatiche. Nemmeno lo sanno. Questi popoli sono invisibili. Taciuti. Si sterminano sotto la linea del radar.
Ancora una volta l'effetto rivelatore dello zapatismo è servito a dar voce a tutto questo nella Cátedra Tata Juan Chávez Alonso, corroborata dall'esperienza propria di resistenza affermata e liberatrice nelle comunità dell'EZLN. Migrazione, sgomberi, fame, timore-e-paura, inquinamento, saccheggio, diseducazione, corruzione, divisione comunitaria, progetti di morte. Che cosa fare contro i mostri? Resistere e non tacere, costruire, riunirsi. Questo hanno raggiunto la Escuelita e il CNI, che da tempo non si riuniva per i pericoli nel paese. I popoli hanno rotto il cerchio e sono venuti a pronunciarsi. E Poi? http://www.jornada.unam.mx/2013/08/19/opinion/a12a1cul