venerdì 25 novembre 2011

I cattolici manifestano in Chiapas contro le impreseminerarie, la militarizzazione....

 

La Jornada – Venerdì 25 novembre 2011
I cattolici manifestano in Chiapas contro le imprese minerarie, la militarizzazione, la violenza contro gli immigrati, l'uso degli ogm e l'inquinamento e chiedono la liberazione di Alberto Patishtán
Elio Henríquez. San Cristóbal de las Casas, Chis., 24 novembre. Con in testa i vescovi Felipe Arizmendi Esquivel ed Enrique Díaz Díaz, circa 8 mila cattolici hanno fatto un pellegrinaggio in questa città per manifestare contro lo sfruttamento minerario, la distruzione della natura, l'uso di transgenici, la militarizzazione, il consumo di droga, l'alcolismo e gli abusi contro gli immigrati.
Con striscioni, fiori, foglie di palma, croci, immagini religiose e bandiere, i cattolici hanno sfilato fino alla piazza della Cattedrale, dove si è svolta una messa di due ore con riti indigeni, durante la quale è stata chiesta la liberazione di Alberto Patihstán Gómez, in carcere da 10 anni, accusato di un'imboscata che provocò la morte di sette poliziotti e che un mese fa è stato trasferito nella prigione di Guasave, Sinaloa.
Durante l'omelia, Arizmendi Esquivel ha detto, facendo riferimento ad un passo della bibbia: "I leoni sono le imprese minerarie che con i loro progetti vogliono impadronirsi dei territori dei contadini, le autorità corrotte che si vendono e non difendono il bene delle comunità e quelli che si dedicano al disboscamento delle foreste (...), i grandi produttori di alcolici, le autorità che non applicano debitamente le leggi contro la corruzione". I leoni sono anche "gli spacciatori, piccoli e grandi; i capi di cartelli ed i loro luogotenenti; quelli che estorcono e sequestrano per denaro; quelli che uccidono chi non eseguono i loro ordini criminali; quelli che catturano e maltrattano gli immigranti che arrivano da noi".
Il pellegrinaggio al quale hanno partecipato i cattolici di 54 parrocchie della diocesi, è partito alle ore 10:00 da tre punti diversi della città sotto una leggere pioggerellina. (...) 
"Siamo testimoni che alcuni programmi governativi creano dipendenza e povertà, e ci preoccupa che i cosiddetti 'macroprogetti', provenienti da interessi transnazionali, vogliono appropriarsi e controllare il territorio e le risorse naturali del nostro stato; in molte comunità questo provoca divisioni e scontri". (…)
 

lunedì 21 novembre 2011

Previsioni per il 2012


Los de Abajo
Gloria Muñoz Ramírez
 
Un esempio di cosa potrebbe succedere nel 2012 è accaduto domenica scorsa nella comunità purépecha di Cherán, durante le elezioni per governatore, sindaci e deputati locali dello stato di Michoacán. L'intera comunità ha deciso in assemblea di non partecipare al voto, perché, hanno detto in un comunicato, ci siamo resi conto che i partiti politici non fanno altro che creare divisioni nella società e dare briciole a simpatizzanti e militanti; e che questi riempiono le loro tasche per recuperare molto più del denaro spese nelle campagne elettorali, perché molte volte superano il limite autorizzato dagli organismi elettorali.
Dal 15 aprile scorso Cherán rappresenta una delle resistenze più emblematiche contro il crimine organizzato e, soprattutto, contro le istituzioni dei tre livelli di governo che, per omissione o coinvolgimento, hanno agito in complicità con la delinquenza che opera impunemente in questa regione della meseta purépecha. Non è poco quello che hanno ottenuto in questa comunità in questi sette mesi, perché anche se i governi statale e federale non hanno risposto alla loro richiesta di garantire la sicurezza della popolazione ed impedire il disboscamento clandestino dei suoi boschi, le ed i comuneros lavorano alla ricostituzione dell'organizzazione comunitaria, affrontando di giorno in giorno la sfide di decidere il proprio destino.
Mentre i tre principali partiti: PAN, PRI e PRD litigano per il risultato elettorale che ha relegato all'ultimo posto il PRD, che dal 2001 era al governo da uno dei suoi principali bastioni, la comunità di Cherán si è trincerata nel suo territorio e non ha permesso l'ingresso della macchina elettorale perché, ha denunciato "i partiti politici corrotti lavorano solo a beneficio dei ricchi, mentre a noi, i poveri, ci porta… la crisi".
Bisogna dire che il Tribunale Elettorale Giudiziario della Federazione aveva dato parere favorevole a che la popolazione eleggesse il suo sindaco col metodo dei suoi usi e costumi; ma la scelta di deputati e governatore doveva passare per la via elettorale. Questo è stato respinto dall'assemblea che ha deciso, al posto delle elezioni, di rafforzare la sicurezza della comunità e continuare la procedura di elezione delle sue autorità secondo le proprie regole.
Al terminare della giornata, accompagnata da una brigata dell'Altra Campagna e dai mezzi di comunicazione alternativi che hanno realizzato una copertura eccezionale, i comuneros di Cherán hanno dichiarato che non abbasseranno la guardia né si daranno per vinti, perché "crediamo che la nostra lotta è giusta e soprattutto necessaria, perché non potevamo continuare a vivere con la paura". http://www.jornada.unam.mx/2011/11/19/opinion/017o1pol
Gloria Muñoz Ramírez
 
Un esempio di cosa potrebbe succedere nel 2012 è accaduto domenica scorsa nella comunità purépecha di Cherán, durante le elezioni per governatore, sindaci e deputati locali dello stato di Michoacán. L'intera comunità ha deciso in assemblea di non partecipare al voto, perché, hanno detto in un comunicato, ci siamo resi conto che i partiti politici non fanno altro che creare divisioni nella società e dare briciole a simpatizzanti e militanti; e che questi riempiono le loro tasche per recuperare molto più del denaro spese nelle campagne elettorali, perché molte volte superano il limite autorizzato dagli organismi elettorali.
Dal 15 aprile scorso Cherán rappresenta una delle resistenze più emblematiche contro il crimine organizzato e, soprattutto, contro le istituzioni dei tre livelli di governo che, per omissione o coinvolgimento, hanno agito in complicità con la delinquenza che opera impunemente in questa regione della meseta purépecha. Non è poco quello che hanno ottenuto in questa comunità in questi sette mesi, perché anche se i governi statale e federale non hanno risposto alla loro richiesta di garantire la sicurezza della popolazione ed impedire il disboscamento clandestino dei suoi boschi, le ed i comuneros lavorano alla ricostituzione dell'organizzazione comunitaria, affrontando di giorno in giorno la sfide di decidere il proprio destino.
Mentre i tre principali partiti: PAN, PRI e PRD litigano per il risultato elettorale che ha relegato all'ultimo posto il PRD, che dal 2001 era al governo da uno dei suoi principali bastioni, la comunità di Cherán si è trincerata nel suo territorio e non ha permesso l'ingresso della macchina elettorale perché, ha denunciato "i partiti politici corrotti lavorano solo a beneficio dei ricchi, mentre a noi, i poveri, ci porta… la crisi".
Bisogna dire che il Tribunale Elettorale Giudiziario della Federazione aveva dato parere favorevole a che la popolazione eleggesse il suo sindaco col metodo dei suoi usi e costumi; ma la scelta di deputati e governatore doveva passare per la via elettorale. Questo è stato respinto dall'assemblea che ha deciso, al posto delle elezioni, di rafforzare la sicurezza della comunità e continuare la procedura di elezione delle sue autorità secondo le proprie regole.
Al terminare della giornata, accompagnata da una brigata dell'Altra Campagna e dai mezzi di comunicazione alternativi che hanno realizzato una copertura eccezionale, i comuneros di Cherán hanno dichiarato che non abbasseranno la guardia né si daranno per vinti, perché "crediamo che la nostra lotta è giusta e soprattutto necessaria, perché non potevamo continuare a vivere con la paura". http://www.jornada.unam.mx/2011/11/19/opinion/017o1pol

martedì 15 novembre 2011

Grazie dai detenti/e in Chiapas

 

Lettera di ringraziamento de@ detenut@ in Chiapas

Carcere N. 5 San Cristóbal de Las Casa, Chiapas 13 novembre 2011

Compagn@ delle organización e collettivi della Comunità Internazionale

La voz del Amate, Voces Inocentes, detenuti Solidarios de la Voz del Amate, aderenti all'Altra Campagna dell'EZLN, vi mandiamo i nostri saluti combattivi ed un abbraccio forte a tutte/i e che Dio benedica voi, le vostre famiglie e tutti i vostri cari.
Compagne/i delle organizzazioni indipendenti e collettivi della comunità internazionale, per cominciare vogliamo ringraziarvi di cuore per i vostri sforzi e la solidarietà dimostrata per la nostra causa e durante il nostro sciopero della fame messo in atto per chiedere giustizia e la nostra libertà che ci è stato rubata dal malgoverno.
Anche se non abbiamo ottenuto politicamente niente, abbiamo invece ottenuto qualcosa di molto più grande di quello che immaginavamo, perché abbiamo il grande sostegno che voi ci avete offerto per chiedere insieme a noi la giustizia e la libertà. Noi qui abbiamo una gran voglia di continuare a lottare con coraggio e forza fino al raggiungimento dei nostri obiettivi. Non importano le contrarietà e gli oltraggi, li dobbiamo superare, perché noi siamo una grande famiglia, grande come le stelle che da molto lontano mandano il loro bagliore che è la solidarietà con le nostre lotte, l'uno con l'altro.
Compagne/i, non scoraggiatevi, non arrendetevi, ma siate coraggiosi, forti e con noi. Dal Chiapas, sudest del Messico, da questa trincea della nostra resistenza continueremo a lottare e resistere fino ad ottenere quello a cui aneliamo.
Per il momento questo è tutto compagne/i. Che Dio vi accompagni sempre e vi auguriamo di riuscire in ogni vostra attività. Che Dio vi Benedica.
Dove siete, ci saremo!
Dove siamo, ci sarete!
E se saremo uniti, la vittoria sarà nostra, oggi e sempre!

Fraternamente
La Voz del Amate
Solidarios de la Voz del Amate
Voces Inocentes
Red contra la Represión Chiapas
(RvsR-Chiapas)

venerdì 11 novembre 2011

Messico, postare costa la vita

giovedì 10 novembre 2011

Messico, postare costa la vita

Quarto assassinio in due mesi ad opera del gruppo di narcotrafficanti Los Zetas. Anche questa volta la vittima è un attivista che lavorava in Rete per denunciare le loro attività criminali

Roma - Dopo i blogger uccisi all'inizio di settembre e dopo il presunto rapimento di un membro di Anonymous che ha comportato le minacce del gruppo di hacktivisti, Los Zetas tornano a colpire.

Giovedì Anonymous IberoAmerica aveva dichiarato di voler abbandonare l'operazione antinarcos OpCartel poiché il fantomatico membro rapito sarebbe stato rilasciato, accompagnato da un messaggio: "10 persone saranno assassinate per ogni nome di collaboratore di Los Zetas rivelato". La "guerra" tra i nacrotrafficanti e gli attivisti del web sembrava essersi placata e invece mercoledì 9 novembre il gruppo criminale ha compiuto un altro assassinio.

Pare si tratti di un collaboratore - e co-moderatore - di Nuevo Laredo en Vivo, lo stesso network dove lavorava Marisol Macias Castaneda, anche lei brutalmente assassinata poco più di un mese fa. Il corpo di "Rascatripas" - questo il suo nickname sul sito - è stato trovato senza vita e decapitato dietro una statua di Cristoforo Colombo a un miglio dal confine col Texas. Accanto al corpo un messaggio: "Ciao, sono Rascatripas e questo mi è accaduto perché non avevo capito che non avrei dovuto pubblicare cose sui social network".
Nuevo Laredo en vivo, in un tweet di risposta all'Associated Press che chiedeva un commento, ha dichiarato che non c'è modo di confermare che "Rascatripas" sia effettivamente la persona assassinata, perché gli utenti del sito sono tutti completamente anonimi. E, nonostante il tentativo di intimidazione, i membri di Nuevo Laredo hanno votato per continuare a fornire informazioni sui criminali alle autorità.

Elsa Pili

giovedì 10 novembre 2011

Proteste in Europa a favore dei detenuti in Chiapas

 

La Jornada – Mercoledì 9 Novembre 2011
 
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 8 novembre. Dopo un mese, questa mattina è stato tolto il presidio dei familiari dei detenuti dell'Altra Campagna, in sciopero della fame da 39 giorni. Le famiglie indigene che erano accampate davanti alla chiesa di questa città dall'8 ottobre, hanno annunciato che proseguiranno la lotta per la liberazione dei "prigionieri politici", "in altro modo", dalle proprie comunità. Questo, due giorni dopo che i detenuti in sciopero della fame hanno interrotto il digiuno, ma non la protesta - come ha dichiarato oggi il loro portavoce, Pedro López Jiménez -, né la denuncia che il governo dello stato è stato sordo alle loro richieste che ritengono giuste.
Intanto, si susseguono le manifestazioni di solidarietà internazionale. Questo lunedì, l'ambasciata messicana in Svizzera e la presidentessa del Bundesrat, la socialdemocratica Micheline Calmy-Rey, hanno ricevuto una lettera di cittadini svizzeri, nell'abito di un'iniziativa prevista dalla legge elvetica, che chiede la liberazione immediata dei "prigionieri politici" che erano in sciopero della fame. Chiedono al governo svizzero di adoperarsi affinché il governo del Messico agisca "secondo gli accordi internazionali che ha firmato, per esempio, relativi alla pratica della tortura".
Daniela Schicker, ex deputada del consiglio municipale di Zurigo, ha comunicato, a nome di questo gruppo che, inoltre chiedono che "le persone del governo messicano responsabili delle violazioni dei diritti umani e di crimini contro la popolazione siano portate davanti ad un tribunale internazionale e che si esiga a livello mondiale il risarcimento alle vittime di crimini di Stato in Messico". Ed assicurarono: "Non tollereremo più in silenzio che il governo di quel paese presenti il Messico in Svizzera, senza vergogna, come una bella regione turistica, e nello stesso tempo violi i diritti umani in maniera crudele".
Si chiede inoltre che gli affari con il Messico siano "messi in discussione" fino a che la situazione dei diritti umani non migliori. La lettera è stata accolta da deputati e funzionari federali della Svizzera, e nella sua versione in spagnolo sarebbe arrivata oggi a Los Pinos, alla Segreteria di Governo ed al palazzo di governo di Tuxtla Gutiérrez.Nel documento si dice: "Non possiamo fare affari e praticare il turismo con un governo come il messicano, e nello stesso tempo agire come se le violazioni costanti dei diritti umani e degli accordi internazionali, ed i crimini contro la popolazione, non abbiano niente a che vedere con gli affari ed il turismo col Messico".
A Parigi, i collettivi francesi hanno realizzato una seconda protesta di fronte al consolato messicano. Ed un gruppo internazionale di studiosi ha solidarizzato con i detenuti ribadendo la richiesta di "sospensione della persecuzione e coazione contro chi, in maniera pacifica e degna, come i detenuti ingiustamente imprigionati, difendono il rispetto dei loro diritti elementari come detenuti, e la necessità di rivedere i loro processi piagati da irregolarità come tortura, false prove e processi senza la dovuta difesa processuale".
Professori universitari e ricercatori di Argentina, Brasile, Stati Uniti, Messico e Spagna riconoscono la qualità umana di Alberto Patishtán, per la cui situazione si è pronunciata Amnesty International, e chiedono che sia rimandato in Chiapas (è stato trasferito in una prigione federale a Sinaloa) e rimesso in libertà. I detenuti per i quali si chiede la liberazione sono, oltre a Patishtán, Pedro López Jiménez, Rosario Díaz Méndez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz, Juan Díaz López, Andrés Núñez Hernández, Rosa López Díaz, Juan Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández.

martedì 8 novembre 2011

Fine dello sciopero della fame. La lotta continua.

 

La Jornada – Martedì 8 novembre 2011
 
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 7 novembre. A quasi 40 giorni di sciopero della fame, e di fronte alla sistematica assenza di risposte da parte del governo del Chiapas, i detenuti hanno deciso di sospendere l'azione per il rischio in cui erano le loro vite, ed il presidio dei familiari degli indigeni ha trasferito la sua protesta alle porte della prigione di questo municipio.
Oggi, a mezzogiorno circa, decine di indigeni hanno bloccato la strasa San Cristóbal-Ocosingo, di fronte al Carcere N. 5.
Su un grande striscione che occupava la carreggiata, dietro una linea di rami di pino, si riassume la domanda chiave: "Libertà immediata per i nostri prigionieri".
Gli otto reclusi della Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate, aderenti all'Altra Campagna, hanno fatto sapere i motivi della loro nuova azione. Hanno decio ieri sera e questa mattina l'hanno resa pubblica. Ciò nonostante, il governo statale si è affrettato a diffondere la notizia lasciando intendere l'esistenza di un qualche accordo. Facciamo dire, per esempio, a Juan Collazo Jiménez, che partecipa alla protesta, che questa mattina è stato punito con la cella di isolamento, nudo, dal comandante della prigione di Motozintla, come ha denunciato suo padre, Salvador Collazo. "Adesso non sei più in sciopero", gli hanno detto.
Il motivo per cui i detenuti hanno sospeso lo sciopero sono altre: "Per le complicazioni delle nostre condizioni di salute fisica dovute ai 39 giorni di sciopero della fame per esigere giustizia, mentre il governo ha ignorato le nostre richieste e le istanze del popolo, comunichiamo che ieri 6 novembre alle ore 20:00, a causa della gravità delle nostre condizioni di salute prima che si arrivasse all'irreparabile, abbiamo sospeso lo sciopero della fame, ma non vuole dire che desisteremo dalla lotta; al contrario, lotteremo con più forza fino a vincere questo sistema".
E precisano: "Abbiamo desistito perché alcuni compagni stanno molto male ma non abbiamo sospeso lo sciopero della fame in cambio di quello che dice il governo, perché noi continueremo a lottare in vita, perché finché c'è vita ci sarà la possibilità di lottare per la giustizia e il benessere di tutti, ma non lo faremo come vorrebbe il malgoverno, continueremo invece ad esortare il governo ad intervenire al più presto per la nostra liberazione, per ridarci la libertà che ci il governo ci ha rubato".
I reclusi del Carcere N. 5 insistono anche sulla liberazione di Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández, anche loro in sciopero a El Amate.
"Esortiamo inoltre il governo federale di Felipe Calderón Hinojosa ad agire per la liberazione immediata del compagno Alberto Patishtán Gómez, prigioniero politico della Voz del Amate".
Infine, invitano le organizzazioni nazionali ed internazionali che li hanno appoggiati "a continuare a chiedere giustizia, perché la nostra lotta non è finita".
Alle ore17 il blocco è stato tolto dagli stessi indigeni, che per tutto il giorno sono stati controllati, ad una certa distanza, dai veicoli della polizia statale e municipale, che non è intervenuta.
Questa notte, al presidio ancora in corso delle famiglie nella piazza della cattedrale, si discuteva sui passi da fare di fronte all'indifferenza del governo ed al "il tentativo di divisione che ha messo in atto annunciando di voler rivedere i casi di solo otto dei detenuti in sciopero, visto che sono 11; non cita Juan Collazo, Enrique Gómez né il professor Alberto Patishtán".
Oggi è partita dal Chiapas per Guasave, Sinaloa, una commissione di familiari ed avvocati per fare visita al professore nella prigione federale, dove è in isolamento da due settimane fa, ha informato sua figlia Gabriela Patishtán Ruiz. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/08/politica/020n1pol

lunedì 7 novembre 2011

Saranno rivisti i casi di otto detenuti dell'AltraCampagna. Sospeso lo sciopero della fame


La Jornada – Lunedì 7 novembre 2011
ELIO HENRÍQUEZ
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas., 6 novembre. Fonti ufficiali hanno comunicato che otto detenuti del Carcere N.5 di questo municipio, domenica notte hanno sospeso lo sciopero della fame iniziato il 29 settembre scorso per chiedere la loro liberazione.
Gli otto reclusi accusati di vari reati, hanno interrotto il digiuno dopo che le autorità penitenziarie si sono impegnate a rivedere i loro casi.
Lo sciopero della fame è stato sospeso alle ore 20:00, dopo che gli otto carcerati, aderenti all'Altra Campagna, hanno firmato un documento diretto al direttore della prigione, José Manuel Alarcón.
Nello scritto i reclusi chiedono che si dia seguito alla loro richiesta di rilascio, poiché arrestati ingiustamente.
La lettera è firmata da Rosa López Díaz, Andrés Núñez Hernández, Juan Díaz López, Rosario Díaz Méndez, Alfredo López Girón, Pedro Núñez Jiménez, Alejandro Díaz Santís e José Díaz Gómez.
Secondo queste fonti, terminata la protesta, i carcerati sono stati visitati dal personale medico della prigione che ha fornito loro frutta, avena, atole ed altri liquidi affinché recuperino le energie perse durante i 36 giorni di sciopero della fame.
I detenuti stessi hanno chiesto alle autorità della prigione di avere per la colazione brodo di fegato di pollo e di granchio, richiesta che sarà valutata dai medici della prigione.
Il presidio dei familiari dei detenuti da un mese di fronte alla Cattedrale di questa città è proseguito per tutta la notte ma, secondo l'impegno verbale degli otto indigeni che erano in digiuno, potrebbe essere tolto questo lunedì pomeriggio.

Possibile ripresa delle ostilita' nelle zone zapatiste

 

http://img90.imageshack.us/img90/3378/301bh.jpg


La Jornada – Domenica 6 novembre 2011
 
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 novembre. Nello scenario di strategia contrainsurgente, come ha dichiarato il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), "le comunità autonome in resistenza, le cui popolazioni costituiscono le basi di appoggio civili dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, si trovano al centro di un possibile confronto e ripresa delle ostilità, come quelle che conserviamo nella memoria collettiva del Messico ferito".
Questo, in una lettera rivolta al presidente della Repubblica, Felipe Calderón Hinojosa, ed al governatore Juan Sabines Guerrero, che è stata sottoscritta in pochi giorni da più di 350 organizzazioni, collettivi, comunità e popoli del Messico e di numerosi paesi, che "condividono il significato del profondo oblio in cui l'agenda ufficiale ha collocato le richieste e denunce di centinaia di individui e situazione in Chiapas".
Il Frayba sottolinea che il documento avverte i governanti su "azioni ed omissioni che ci obbligano a denunciare la loro responsabilità nella sistematica violazione dei diritti dei popoli indigeni" nell'entità. Chiede inoltre che "i governanti di turno forniscano risposte chiare ai popoli e comunità che ogni giorno denunciano gli effetti della guerra generalizzata i cui numeri hanno un nome e rappresentano migliaia di storie di vita".
In due anni "le ostilità in Chiapas sono aumentate; le azioni dei gruppi paramilitari, in complicità con funzionari pubblici, hanno trasformato l'esproprio di terre recuperate, di proprietà delle comunità autonome, in bottino di guerra".
Di fronte alle costanti azioni governative a detrimento dei diritti della popolazione, il centro Frayba respinge "le politiche dei governi. Le più ricorrenti: omissione di fronte alle denunce e richieste di intervento; permettere la rottura del tessuto comunitario e sociale con la polarizzazione dei conflitti; generare condizioni di emergenza alimentare e sanitaria in comunità sotto assedio; gestire giuridicamente e politicamente violazioni flagranti dei diritti umani di popolazioni indigene".
Coloro che seguono le azioni di difesa e l'esercizio dei diritti "esercitate da popoli e comunità originari", hanno osservato "la guerra che, dal 1994 e con la copertura dei tre livelli di governo, viene condotta in Chiapas contro chi ha deciso di mettere in pratica gli accordi di San Andrés, firmati e negati dallo Stato messicano dal 1996". Non sono pochi gli "impegni traditi" dai partiti politici che hanno occupato posizioni di governo, il quale continua a rimandare "soluzioni pacifiche al conflitto armato interno irrisolto".
Osservano "la permanente implementazione" di strategie contrainsurgentes, che lasciano "una lunga scia di detenzioni arbitrarie, omicidi, sparizioni, massacri, sfollamenti ed esproprio di territori". Ciò deriva dal "mancato disarmo dei gruppi civili armati che operano dal 1996". Queste azioni erano raccomandate nel 'Piano della campagna Chiapas 94' della Segreteria della Difesa Nazionale"; è preoccupante che continuino "ad operare contro popoli e comunità".
Sono molteplici gli interventi chiesti al governo statale per fermare azioni che attentano ai diritti collettivi e individuali. La risposta "di tutti i livelli di governo" è stata "silenzio e omissione, acuendo l'impunità e l'ingiustizia".
Infine, la lettera lamenta che il discorso ufficiale abbia trasformato i diritti umani "in slogan pubblicitario, favorendo la simulazione"; la manipolazione mediatica "è costata cifre milionarie all'erario" ma il costo maggiore sono "vite e comunità condannate all'oblio, all'emarginazione e all'ingiustizia". http://www.jornada.unam.mx/2011/11/06/politica/015n1pol

domenica 6 novembre 2011

México, DF. Un integrante del grupo de teatro Rebeldrama, durante una puesta en escena denominada Ecos de la Osamenta, en el contexto del Festival AMLOVE en el Parque Las Palomas, de la colonia Los Arenales segunda sección, de la delegacion Venustiano Carranza. La Jornada / Francisco OlveAMLOVE

sante la richiesta di liberare i detenuti in scioperodella fame


La Jornada – Sabato 5 novembre 2011
 
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 4 novembre. "Il governo ha ignorato i nostri diritti. Chiediamo che dia la libertà a noi che siamo in sciopero della fame da 37 giorni", ha dichiarato oggi Pedro López Jiménez, portavoce della protesta dalla prigione N. 5 di San Cristóbal. "La nostra salute è compromessa", ha aggiunto. "Il governo sarà responsabile dell'eventuale perdita di vite".
López Jiménez ha ribadito a La Jornada che è "molto importante anche la liberazione del fratello Alberto Patishtán, portato in una prigione federale a Guasave (Sinaloa)".
Arrivati a questo punto, finalmente il governo del Chiapas e la chiesa Cattolica hanno dato segni di vita rispetto allo sciopero della fame degli 11 indigeni nelle prigioni N. 5, N. 6 (Motozintla) e N. 14 (El Amate, Cintalapa).
Pueblo Creyente, organizzazione di base della diocesi di San Cristóbal, ha invitato a "pregare per il nostro fratello Alberto Patishtán Gómez, affinché la fede che l'ha sostenuto tutti questi anni, continui a mantenendo forte di fronte a questa dura prova". Pueblo Creyente, che ebbe un ruolo decisivo nel precedente sciopero della fame dei detenuti nel 2008, durato 41 giorni, ottenendo liberazione di decine di indigeni "prigionieri politici", ha denunciato che il trasferimento di Patishtán è stato "una nuova rappresaglia per il suo lavoro di presa di coscienza ed evangelizzazione all'interno della prigione".
Pueblo Creyente ha comunicato che il vescovo locale, Felipe Arizmendi Esquivel, ha chiesto "aiuto" al suo omologo di Sinaloa affinché "si occupino di Alberto in questa nuova e difficile situazione nella prigione N. 8 di Guasave". L'organizzazione ha affermato: "È molto importante pronunciarci in questo momento per ottenere la liberazione di nostro fratello Alberto", al quale il vescovo Samuel Ruiz García consegnò un riconoscimento, due anni fa in carcere, "per il suo lavoro come custode del popolo e difensore dei diritti umani".
Da parte sua, la sottosegreteria del Ministero di Grazie e Giustizia ha comunicato che, "in coordinamento con la Commissione Statale dei Diritti Umani (CEDH), ha esaudito la richiesta di otto internati del Crcere N. 5 di far entrare un gruppo di medici privati". Il titolare della sottosegreteria, José Antonio Martínez Clemente, ha dichiarato che "si sta fornendo tutta l'assistenza richiesta dai detenuti; inoltre, la CEDH ha sollecitato l'ingresso di medici affinché accertino lo stato di salute dei detenuti".
Ha detto che, "come misura di negoziazione alle sue richieste, hanno ottenuto l'accordo con la CEDH per non incorrere in mancanze che possano privarli dei loro diritti particolari". Il funzionario non ha fatto menzione dei detenuti a Motozintla e Cintalapa, Juan Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández. Non ha neppure fatto riferimento alla vera richiesta degli indigeni: la loro immediata liberazione.
E, mentre il governatore chiapaneco Juan Sabines Guerrero si è incontrato questo giovedì a Washington col titolare dell'Organizzazione Panamericana di Salute per affrontare "le politiche pubbliche promosse dal Chiapas in materia di salute, come la lotta contro le malattie dovute all'arretratezza", gli scioperanti hanno informato della morte di Natanael, figlio di Rosa López Díaz ed Alfredo López Jiménez, detenuti tzotziles che partecipano alla protesta.
Il bambino è deceduto dopo essere stato respinto dall'ospedale di San Cristóbal (e prima ancora dall'ospedale di Teopisca), "perché non avevamo soldi", come ha riferito il nonno del bimbo alle famiglie in presidio nella piazza di San Cristóbal (presidio a ostegno delle istanze dei detenuti). In aggiunta, il personale della clinica ha accusato il padre di Alfredo che, confessa, "non avevo i soldi nemmeno per tornare a casa". http://www.jornada.unam.mx/2011/11/05/politica/015n2pol

Gloria Munoz Ramirez - Iniziative pro zapatisti


Gloria Muñoz Ramírez
 
Questa settimana si registrano una serie di iniziative nazionali ed internazionali intorno alle comunità zapatiste ed ai prigionieri politici in sciopero della fame in Chiapas. Gli appelli non sono solo alla solidarietà, ma all'accompagnamento civile e pacifico, con una lotta che non riguarda unicamente i popoli in resistenza del sud del Messico, bensì la comunità globale che combatte le proprie battaglie e che si è mantenuta attenta a quello che succede tra le comunità in resistenza.
In questi momenti, intorno alla comunità zapatista di San Patricio, appartenente al caracol di Roberto Barrios, nel nord del Chiapas, prosegue l'accerchiamento dei gruppi paramilitari che non permettono alle basi di appoggio dell'EZLN di andare a lavorare nei campi di mais. "La nostra solidarietà è necessaria affinché, nonostante le avversità causate dai gruppi paramilitari, i compagni e le compagne zapatisti resistano contro queste aggressioni provenienti dai tre livelli del governo", denuncia la Rete Nazionale Contro la Repressione e per la Solidarietà, che sta organizzando una raccolta di denaro, viveri, medicinali e materiale scolastico, tra altre cose.
La Rete stessa ricorda che "dal 7 settembre scorso la comunità di San Patricio, municipio autonomo La Dignità, è minacciata dal gruppo paramilitare Paz y Justicia di invadere e sgomberare il villaggio, col pretesto che non pagano l'imposta prediale, e che se non consegneranno le terre recuperate li massacreranno tutti. Hanno circondato la popolazione e non li lasciano uscire per andare a procurarsi da mangiare, hanno ammazzato gli animali, distrutto i raccolti, intimoriscono le donne e i bambini ed hanno costruito delle capanne sui loro campi coltivati".
Contemporaneamente si organizzano diverse mobilitazioni per chiedere la liberazione dei 10 prigionieri politici in sciopero della fame in tre prigioni del Chiapas, e del professor Alberto Patishtán Gómez, che è stato trasferito arbitrariamente nella prigione di Guasave, Sinaloa. Tutti loro sono in sciopero della fame e digiuno dal 29 settembre, ed in questi momenti il loro stato di salute è allarmante, perché secondo l'ultimo bollettino medico gli scioperanti accusano vista annebbiata, debolezza e difficoltà a camminare, tra altre complicazioni.
Di fronte alla gravità della situazione ed alla mancanza di risposte da parte del governo statale, gli aderenti all'Altra Campagna lanciano un appello urgente a realizzare azioni, nella maniera che ognuno riterrà più opportuna, il prossimo 7 novembre, "per chiedere la liberazione immediata dei compagni in sciopero della fame e digiuno". Sta inoltre circolando una raccolta di firme da inviare all'indirizzo di posta elettronica noestamostodxs@riseup.net.

venerdì 4 novembre 2011

Mobilitazione internazionale a sostegno dello scioperodella fame in Chiapas

 

La Jornada – Giovedì 3 novembre 2011
Hermann Bellinghauen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 2 novembre. Collettivi, organizzazioni sociali e comunità dell'Altra Campagna hanno lanciato una mobilitazione nazionale ed internazionale in solidarietà con lo sciopero della fame in Chiapas, per chiedere, con diverse manifestazioni, la liberazione degli indigeni rinchiusi nelle prigioni di San Cristóbal de Las Casas, Cintalapa e Motozintla, che sono da 35 giorni in sciopero della fame. La giornata di protesta avrà luogo il prossimo lunedì 7 novembre.
Spicca la solidarietà nazionale e internazionale registrata già in molti stati del Messico, in Italia, Francia, Spagna, Norvegia, Inghilterra, Svizzera e Finlandia, tra gli altri, che si è manifestata in azioni per chiedere la "liberazione immediata dei compagni".
Ciò nonostante, si aggiunge nella convocazione, "il governo dello stato continua a tenerli prigionieri, invisibili; ha trasferito a Guasave, Sinaloa, il nostro fratello e compagno Alberto Patishtán e frustato le azioni solidali, in particolare il presidio che i familiari dei detenuti stanno mantenendo dall'8 di ottobre nella piazza della cattedrale di San Cristóbal.
Nella convocazione si ricorda che lo scorso 29 settembre, un gruppo di detenuti appartenenti alla Voz del Amate, Solidarios de la Voz del Amate e Voces Inocentes si sono dichiarati in sciopero della fame e digiuno. Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz, José Díaz López, Pedro López Jiménez, Juan Díaz López e Rosario Díaz Méndez, reclusi nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas, "hanno iniziato uno sciopero della fame totale per chiedere la loro immediata e incondizionata liberazione". Con loro hanno iniziato un digiuno di 12 ore al giorno e con le stesse rivendicazioni, Rosa López Díaz, Alberto Patishtán Gómez e Andrés Núñez Hernández.
Il 3 ottobre si sono uniti al digiuno Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 14, El Amate, e Juan Collazo Jiménez, nel Carcere N. 6 di Motozintla.
Insieme al presidio dei familiari a sostengo dello sciopero della fame e digiuno, firmano: Red contra la Represión y por la Solidaridad Chiapas, Grupo de Trabajo No estamos Todos, Brigada Feminista, Camino del Viento, Comité Ciudadano para la Defensa Popular (Cocidep), Rebeldeando Dignidad, Consejo Autónomo de la Costa, le comunità di Cruztón, Candelaria el Alto, 24 de Mayo, Busiljá, San Juan las Tunas, Ejido Cintalapa e Frente Popular Francisco Villa Independiente, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

mercoledì 2 novembre 2011

34 giorni di sciopero della fame in carcere in Chiapas

 

La Jornada – Mercoledì 2 novembre 2011
 
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º novembre. Proseguono. Saranno invisibili? Su un foglio fissato con del nastro adesivo è riportato il numero dei giorni di presidio di fronte alla cattedrale: oggi sono 26. Sono diverse famiglie che sono aumentate di numero e dimagriscono a fisarmonica durante il giorno. Tenaci, chiedono con la loro presenza, i cartelloni, gli striscioni ed un discreto impianto stereo, la liberazione dei loro familiari. Bambini e anziani di Chamula, Mitontic, Tenejapa, Chenalhó, El Bosque, San Cristóbal, accompagnano da qui i detenuti dell'Altra Campagna in sciopero della fame da 34 giorni.
Il municipio voleva cacciare le famiglie, come parte del radicale e fugace maquillage subito da questa città coloniale in occasione del forum mondiale del turismo "di avventura"; ma poi ha desistito. Lo scorso fine settimana in questa stessa piazza si sono svolti grandi concerti del festival Cervantino Barocco. Ed il presidio sempre lì, con i suoi striscioni per la libertà dei "prigionieri politici". Come se non ci fossero. E così sotto la pioggia torrenziale di stagione.
Anche se molti passanti, centinaia ogni giorno, si fermano a leggere le loro richieste e guardare con insistenza la serie di ritratti dipinti di tutti i detenuti, sobri ed espressivi, per loro non cambia niente. Come diceva Alberto Pastishtán prima che lo "estradassero" a Guasave, Sinaloa, "il governo è sordo e non ascolta le nostre richieste". O forse no, perché ha deciso di metterlo a tacere. I giorni passano. Un attivista dell'Altra Campagna che partecipa al presidio indigeno dice: "Il governo ha il tempo dalla sua, può aspettare un'altra settimana, mentre i compagni sono sempre più deboli".
In relazione alle condizioni degli scioperanti, è stato diffuso un nuovo bollettino medico, che alla fine si è potuto redigere domenica, anche se senza strumenti di nessun tipo, condizione dettata dalle autorità del Carcere N. 5 di San Cristóbal per permettere la visita. Il bollettino riferisce che i detenuti in protesta sono "in netto peggioramento". Presentano nausea, mal di testa e nel corpo, principalmente le articolazioni, e disturbi gastrici. Crampi giorno e notte. Debolezza costante.
La sintomatologia "si è aggravata in tutti"; alcuni hanno la vista annebbiata, o la voce debole, e così il. Sviluppano intolleranza al miele e difficoltà a stare in piedi o camminare anche per brevi distanze, cosicché giacciono quasi permanentemente nel cortile della prigione.
Secondo il parere medico, si va verso un peggioramento e l'esaurimento delle riserve fisiche, "cosa che implica un maggiore danno fisico man mano che aumentano i giorni di sciopero". Otto di loro non assumono cibo. Altri due digiunano per 12 ore al giorno. E di Patishtán, a Sinaloa, non si sa nulla.
Nella sezione femminile del carcere di San Cristóbal, Rosa López Díaz digiuna da 34 giorni. Presenta "cambiamenti nell'aspetto, occhiaie, mal di stomaco, nausea, debolezza, stanchezza e intorpidimento".
Col tempo contro, Pedro López Jiménez, nuovo portavoce della protesta, ha fatto arrivare ai familiari alcuni "pensieri" dal suo sciopero: "La pioggia fa germinare ogni tipo di piante, anche tu puoi con le tue parole".
Anche Andrés Núñez Hernández ha mandato i suoi: "La lotta è come una luce che ti fa vedere tutti i tuoi cari nel mondo. La lotta è come una torcia che illumina le nostre strade, che ci conduce alla vera libertà. Non lasciare che si spenga!" http://www.jornada.unam.mx/2011/11/02/politica/017n1pol
 

Messico – Guerra al narcotraffico...o guerra alle organizzazioni comunitarie?

In Guerrero le comunità arrestano i narcos ed il governo manda l'esercito ad intimidirle


La "guerra al narcotraffico" dichiarata nel 2006 dal presidente Calderon è in questi tempi uno dei temi più discussi in Messico. Da allora migliaia di soldati sono stati mandati in tutto il paese per compiere operazioni di polizia. Molti criticano la strategia del presidente perché riconoscono che è necessario combattere le cause sociali che alimentano il fenomeno, mentre la mano dura di Calderon ha portato solamente ad un escalation di violenza, provocando dal 2006 ad oggi più di 50 mila morti. In tanti denunciano l'influenza dei gruppi criminali nelle istituzioni e che spesso la retorica della guerra al narcotraffico è stata un pretesto per militarizzare i territori dove sono presenti processi di organizzazione sociale. Un caso piuttosto esemplare, e preoccupante, sta avvenendo in questi giorni nello stato del Guerrero.


Lo stato del Guerrero si è trasformato negli ultimi mesi in uno dei più violenti del paese. Le cifre parlano di più di 1300 morti ammazzati nella prima metà del 2011. Ogni giorno i quotidiani riportano del ritrovamento di cadaveri, di teste umane, abbandonati ai bordi delle strade, appesi ad un cavalcavia, o nel baule di un automobile. La violenza colpisce soprattutto la capitale Acapulco, dove non passa giorno senza che ci sia qualche morto, ma è arrivata in quasi ogni lato dello stato. C'è una zona però, dove non si registra la presenza dei narcos e della loro violenza; è nel cosiddetto "territorio comunitario", una regione a presenza indigena e contadina dove da 16 anni funziona un sistema di sicurezza e giustizia comunitario, cioè qua il controllo del territorio non è gestito dallo stato ma dalle stesse comunità che si sono dotate dei propri organi di polizia e di giustizia.


Nel territorio comunitario sono avvenuti in questi giorni degli episodi strani e preoccupanti, perché per ben due volte in una settimana sono entrati nelle comunità convogli dell'esercito e della polizia federale che stanno partecipando all'operazione "Guerrero sicuro", un operazione del governo federale che "ufficialmente" dovrebbe combattere la presenza dei narcos e la violenza nello stato. La prima irruzione dell'esercito ha portato all'arresto di un dirigente della CRAC, l'organizzazione dalla quale dipende il sistema della sicurezza e giustizia comunitaria, composto da più di 70 comunità. Fino a qui potrebbe sembrare una delle tante azioni di repressione contro processi di organizzazione delle comunità. Ma la faccenda si fa strana se si pensa che la polizia comunitaria della CRAC ha arrestato, nei giorni scorsi, 5 narcotrafficanti. Cioè, le comunità organizzate hanno arrestato 5 narcos, e l'esercito che sta combattendo il narcotraffico è entrato queste comunità ed ha arrestato un loro dirigente.


Ma vediamo i fatti.


Il 13 ottobre la polizia comunitaria arresta 5 narcotrafficanti che stavano attraversando il loro territorio a bordo di 3 furgoni carichi con 33 pacchi di mariuana. E' una faccenda complessa, perché in 16 anni di attività della polizia comunitaria è la prima volta che ci si trova a che fare con dei narcotrafficanti. E' una faccenda complessa perché i cartelli dei narcos in questi tempi stanno attuando con estrema violenza, e nei luoghi dove sono presenti determinano la vita politica ed economica, impongono il "pizzo" ai commercianti e fanno valere la loro autorità a colpi di mitra. Infatti dopo questi arresti, agli uffici della polizia comunitaria arrivano ogni giorno numerose telefonate che invitano a liberare i narcos, minacciando di uccidere i dirigenti e gente innocente nelle loro comunità.

La faccenda è troppo delicata per essere gestita dalla sola polizia comunitaria. Così viene deciso di convocare le più di 70 comunità in una assemblea generale per decidere cosa fare. Il 19 di ottobre qualche centinaio di persone si riuniscono a Santa Cruz del Rincon per decidere su tre opzioni. O liberare gli arrestati, o consegnarli al governo, o trattenerli nel territorio comunitario e sottoporli a giudizio e al processo di rieducazione (che è la forma attraverso la quale fanno scontare la pena ai detenuti; invece di metterli in galera li fanno stare nelle comunità per lavori utili alla collettività). L'assemblea regionale decide che i 5 narcos vengano sottoposti a processo e rieducati nel territorio comunitario.


L'organizzazione comunitaria in un comunicato espone la sua posizione: "Vogliamo chiarire che noi non siamo in guerra con nessuno, e che in ogni caso diamo priorità alla sicurezza, integrità e tranquillità delle nostre comunità, così come alle migliori condizioni per la rieducazione dei detenuti, rispettando, secondo le nostre possibilità, i loro diritti come persone". La faccenda è molto delicata perché i cartelli di narcotrafficanti sono fortemente armati e violenti. Ma le comunità hanno deciso che si devono rispettare le loro istituzioni autonome, e soprattutto vogliono impedire fin da subito che i narcos possano radicare nella loro regione. In tutte le comunità si aumentano il numero dei poliziotti e si rafforzano le misure di sicurezza. Si teme una rappresaglia dei narcotrafficanti.


I narcos per il momento non si sono fatti vedere. Da allora, invece, è aumentata la presenza dell'esercito nella zona. Il 25 ottobre un convoglio di sei camion di soldati, col sostegno della polizia federale e 3 aerei, entra nel territorio comunitario. L'obbiettivo "ufficiale" di questo mega-operativo è arrestare Agustin Barrera, un dirigente della CRAC; è accusato di aver tagliato illegalmente 3 alberi alcuni mesi fa. Un altro dirigente, Placido Valerio dichiara ai giornali che in questi 16 anni di attività della polizia comunitaria "non si era mai visto uno spiegamento militare simile, inoltre esiste un accordo che nessun corpo di polizia o militare può entrare nella zona senza il consenso delle comunità". Non ci crede nessuno alla versione dell'esercito. La CRAC dichiara alla stampa che l'esercito era entrato con l'intento di riscattare i narcos detenuti. Il 31 ottobre entra di nuovo l'esercito nel territorio, due colonne di camion; di nuovo allerta nelle comunità, ma non succede niente.


Il 5 novembre si svolgerà un altra assemblea regionale. Le comunità decideranno la pena da far scontare ai narcos e il destino del carico di droga. La situazione nella regione tuttora è tesa. La CRAC invita mezzi di informazione e organizzazioni sociali ad assistere all'assemblea ed a sostenere le comunità in questi difficili momenti.


Quando le comunità hanno deciso di non liberare i narcos arrestati sapevano che potevano andare incontro a problemi. Temevano ritorsioni da parte dei cartelli. Per adesso le ritorsioni sono arrivate dai narcotrafficanti, ma dall'esercito federale, il principale attore della "guerra al narcotraffico" di Calderon.

Negata assistenza medica ai detenuti in sciopero dellafame in Chiapas


La Jornada – Martedì 1° Novembre 2011
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 31 ottobre. Queesto fine settimana, per due volte, il direttore del Carcere N. 5 di questo municipio ha negato l'accesso ai medici indipendenti che volevano visitare i detenuti in sciopero della fame della Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate, aderenti dell'Altra Campagna.
Reclusi in tre prigioni del Chiapas, gli indigeni hanno annunciato che in occasione del Giorno dei Defunti innalzeranno un altare in memoria degli zapatisti caduti nel 1994, quando "i compagni diedero le loro vite per reclamare giustizia e benessere per tutti; uomini e donne come loro non muoiono mai perché vivono nei nostri cuori".
Lo scrittore John Berger ha inviato una lettera in solidarietà con lo sciopero della fame, nella quale sostiene che il trattamento che ricevono gli scioperanti "è un esempio allarmante del disprezzo dell'attuale governo verso le aspirazioni ed i diritti dei popoli che reprime e domina".
Dalla prigione i detenuti oggi dicono: "Il nostro stato di salute sta peggiorando, alcuni dei nostri compagni accusano perdita di memoria e nausea. Il compagno Rosario Díaz Méndez sta molto male, il suo livello di glucosio è troppo alto".
A 33 giorni di sciopero della fame, tornano a chiedere al governatore Juan Sabines Guerrero di "intervenire immediatamente per la nostra liberazione". Esortano inoltre il governo federale "a dare istruzioni per il ritorno di Alberto Patishtán Gómez e la sua  immediata liberazione".
Insistono sui loro ingiusti arresti "per reati che non abbiamo mai commeso", ma "il governo non ha risolto i nostri casi". Esigono rispetto per lo sciopero della fame che ha iniziato Juan Collazo Jiménez il 27 ottobre a Motozintla. Aggiungono che il direttore di quella prigione, Pascual Martínez Cervantes, ed il giudice, Rogelio Ángel Camacho, "hanno minacciato il nostro fratello di trasferirlo in un altro centro o di punirlo mettendolo in isolamento". 
E dichiarano: "Siamo in prigione perché siamo poveri, analfabeti e non parliamo lo spagnolo. Esigiamo le nostre libertà che ci hanno rubato".
Intanto, quattro collettivi dell'Altra Campagna in Chiapas (Red Contra la Represión y por la Solidaridad, Grupo de Trabajo No estamos Todos, La Otra Salud e Colectivo Contra la Tortura y la Impunidad) hanno denunciato che le autorità della prigione di San Cristóbal "hanno impedito diverse volte l'ingresso di personale medico". Sabato 29 "è stato impedito l'accesso di una brigata medica con personale proveniente da Città del Messico". Anche domenica, nonostante fosse giorno di visita generale, è stato impedito il loro ingresso. Inoltre, è stato impedito l'ingresso anche di familiare e amici.
Queste misure, come il trasferimento di Patishtán, "sono volte a reprimere il loro diritto di manifestare. I collettivi sottolineano "le violazioni di diritti umani da parte di José Antonio Martínez Clemente, sottosegretario degli Istituti di Pena, e José Miguel Alarcón García, commissario del Carcere N. 5, che mettendo a rischio la vita dei compagni".
Lo sciopero della fame, sostengono, "è uno strumento riconosciuto a livello universale per difendere i diritti umani e denunciare e dare visibilità alle violazioni". Per alcuni "costituisce una delle ultime forme pacifiche di difesa, quando altri mezzi anche legittimi e legali sono stati ignorati e soffocati".
Rilevano che una delle implicazioni della protesta è il rischio per la salute. Per questo, "l'assistenza medica è un diritto indiscutibile, riconosciuto da diverse legislazioni internazionali e la cui privazione non è giustificabile da nessun argomento". La Convenzione di Malta precisa che gli scioperanti, "in particolar chi si trova privato della libertà, ha diritto a che personale medico esterno all'istituzione penale" fornisca assistenza e accompagnamento. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/01/politica/018n1pol

Inviato dal mio telefono Huawei