sabato 4 gennaio 2014

Lettera di Sergio Lascano ai compagni dell'EZLN

> Lettera
> ai nostr@ compagn@ dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
> Sergio Rodríguez Lascano
>
> Compagn@:
> Quasi 20 anni fa, ci svegliammo con la notizia che gli
> indigeni maya dello stato del Chiapas si erano sollevati in armi contro il
> malgoverno dell'ineffabile Carlos Salinas de Gortari. A partire da lì,
> grandi
> mobilitazioni ed un dialogo non sempre facile si è sviluppato con
> l'Esercito
> Zapatista da Liberazione Nazionale.
> In maniera fondamentale, una nuova generazione uscì
> allora per le strade e si identificò con la ribellione zapatista. Furono
> loro a
> contrassegnare una buona parte delle mobilitazioni che si realizzarono in
> quella prima fase della lotta zapatista.
> L'insurrezione zapatista del 1° gennaio aveva scosso
> la coscienza nazionale. Infatti, come disse José Emilio Pacheco: "Abbiamo
> chiuso gli occhi pensando che l'altro Messico sarebbe sparito se non
> l'avessimo
> guardato. Il primo gennaio del 1994 ci siamo svegliati in un altro paese.
> Il
> giorno in cui avremmo festeggiato il nostro ingresso nel primo mondo siamo
> tornati indietro di un secolo fino a trovarci di nuovo di fronte ad una
> ribellione come quella di Tomochic. Credevamo e volevamo essere
> nordamericani e
> ci ha travolto il nostro destino centroamericano. Il sangue versato chiede
> di
> porre fine al massacro. Non si può fermare la violenza dei ribelli, se non
> si
> ferma la violenza degli oppressori" (José Emilio Pacheco, La Jornada, 5
> gennaio).
> La sinistra messicana e mondiale in quel momento era
> in un apparente vicolo cieco. L'11 novembre 1989 cominciarono a cadere,
> come
> birilli, le cosiddette "democrazie popolari" (Repubblica Democratica
> Tedesca,
> Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Polonia, Romania, Albania). Nel 1991
> l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si "dissolse" e, al di là
> di
> quello che ognuno di noi pensava di quel processo, quello che non si può
> negare
> è che, in pratica, il suo crollo fece strada all'arrivo di un capitalismo
> selvaggio guidato dalla mafia criminale.
> In America Latina il 25 febbraio del 1990, i
> sandinisti perdono le elezioni ed inizia non solo il processo di esproprio
> contro i contadini nicaraguensi e la fine del cooperativismo, ma si
> sviluppa
> anche una dinamica di corruzione tra i dirigenti sandinisti. Non avrei mai
> pensato che uno dei fondatori del sandinismo e figura emblematica della
> rivoluzione, Tomás Borge, avrebbe realizzato un libro-lode-libello -
> mascherato
> da intervista a Carlos Salinas de Gortari - intitolato "Dilemmi della
> modernità".
> Il 16 gennaio 1992 si firmano gli accordi di
> Chapultepec che mettono fine alla guerra in Salvador, senza che una serie
> di
> richieste centrali del popolo siano state accolte, in particolare, il
> diritto
> alla terra. In mezzo a questo processo, il signor Joaquín Villalobos
> ("dirigente"
> del FMLN), che già aveva sulle spalle la terribile decisione di uccidere
> il
> grande poeta Roque Dalton, consegna il suo AK-47 a Carlos Salinas de
> Gortari.
> Dopo questo, si cercò di riportare tutto nell'ambito
> istituzionale della democrazia rappresentativa. Tutti promuovevano una
> sinistra
> che si limitasse ad essere il cliente impertinente dello Stato
> capitalista.
> In mezzo all'euforia anticomunista e ai discorsi in
> cui si proclamava la fine della storia e l'arrivo di un nuovo ordine
> mondiale,
> qualcuno descrisse bene l'epoca in cui vivevamo e fece un'affermazione che
> diede senso alla nostra stoltezza: Eduardo Galeano, che scrisse un testo
> memorabile: "A Bucarest, una gru si porta via la statua di Lenin. A Mosca,
> una folla avida fa la coda da McDonald's. L'abominevole muro di Berlino si
> vende a pezzi, e Berlino Est conferma che si trova a destra di Berlino
> Ovest. A
> Varsavia e a Budapest, i ministri economici parlano come Margaret
> Thatcher. A
> Pechino pure, mentre i carri armati schiacciano gli studenti. Il Partito
> Comunista Italiano, il più importante in Occidente, annuncia il suo
> prossimo
> suicidio. Si riducono gli aiuti sovietici all'Etiopia ed il colonnello
> Mengistu
> scopre improvvisamente che il capitalismo è buono. I sandinisti,
> protagonisti
> della rivoluzione più bella del mondo, perdono le elezioni: Cade la
> rivoluzione
> in Nicaragua, titolano i giornali. Sembra non esserci più posto per le
> rivoluzioni, se non nelle vetrine del Museo Archeologico, né c'è posto per
> la
> sinistra, salvo per la sinistra pentita che accetta di sedersi alla destra
> dei
> banchieri. Siamo tutti invitati al funerale mondiale del socialismo. Il
> corteo
> funebre include, come dicono, l'umanità intera.
> Confesso di non crederci. Questi
> funerali hanno confuso il morto".
> (Eduardo
> Galeano: El niño perdido a la intemperie).
> L'insurrezione zapatista del 1° gennaio aprì un nuovo
> ciclo di confronti sociali. La capacità di trasmettere il loro messaggio,
> che
> era ed è quello dei condannati della terra, aprì una breccia per
> ri-percorrere
> la strada nella ricerca di una pratica emancipatrice.
> Il pensiero libertario zapatista aprì un grande buco
> nell'edificio ideologico apparentemente solido del potere del capitale, e
> permise che da lì si esprimessero vecchie buone idee e nuove buone idee.
> Tra l'euforia della classe dominante; mentre si
> levavano coppe di champagne per brindare al nostro ingresso nel primo
> mondo (il
> 1° gennaio entrava in vigore il Trattato di Libero Commercio); quando il
> priismo era consolidato, mentre era riuscito a "scoprire" il suo candidato
> senza che si verificassero rilevanti spaccature al suo interno; quando le
> 15
> famiglie più ricche del paese festeggiavano la capacità degli strumenti di
> controllo di dominare i "poveracci" (come era solito definire i poveri lo
> zar
> della televisione privata: Emilio Azcárraga Milmo); avvenne l'insurrezione
> dei
> popoli zapatisti. Scelsero questa data per dimostrare che la memoria non
> era
> stata sconfitta da una modernità escludente.
> Né il governo ed i partiti di destra, né la sinistra o
> i settori democratici, avevano la minima idea che sarebbe successo
> qualcosa di
> simile. Sapevamo del rancore che covava, ma non pensavamo che avrebbe
> potuto
> esprimersi in questa maniera.
> Incominciammo a cercare di capire. Ovviamente, non
> solo non sempre non capivamo esattamente l'insieme della nuova grammatica
> della
> ribellione zapatista, ma molte idee ci erano estranee e, molte volte, le
> fraintendevamo.
> La cosa più importante è che il 1° gennaio fu una
> boccata d'aria fresca. Uscimmo per le strade non solo per chiedere al
> governo
> di fermare la guerra, ma per evidenziare che tutti i proclami alla fine
> della
> storia erano, prima di tutto, vuoti discorsi ideologici.
> L'idea che NON tutto fosse perduto fu la chiave per
> comprendere che, alla fine, quella ribellione non era altro che una crepa
> attraverso cui potevamo vedere che c'erano ancora molte lotte da
> combattere.
> Che la storia non solo non era finita, ma era, ancora, una-molte pagine in
> bianco.
> Ora possiamo aggiungere che, per noi, l'insurrezione
> zapatista non è un'effemeride, un evento che corre il pericolo di essere
> inghiottito dal carattere onnivoro del capitalismo. Che, nonostante i
> tentativi
> dei mezzi di comunicazione, lo zapatismo non fa parte della società dello
> spettacolo.
> Lo zapatismo è stato un processo effettivamente ricco
> di molti brillanti momenti, ma prima di tutto, è stato un processo
> ininterrotto
> di lotte, azioni, esperienze che, concatenate tra loro, hanno costituito
> una
> nuova pratica della sinistra del basso.
> Dunque, nonostante le volte che commentatori ed
> analisti - che confondono la loro illusione con la realtà - hanno dato per
> morto lo zapatismo, questo non solo è andato avanti ma ha continuato a
> generare
> nuovi processi sociali.
> All'interno, con lo sviluppo dell'autonomia (autentico
> processo di auto-organizzazione senza paralleli nella storia, per lo meno
> in
> maniera tanto profonda e prolungata) e la costruzione di nuove relazioni
> sociali, cioè, di nuove forme di vita. E verso l'esterno, non cercando di
> egemonizzare od omogeneizzare né dirigere altri movimenti sociali.
> Collocandosi sempre al fianco dei perseguitati, vilipesi
> e offesi, in particolare, dei più perseguitati, più vilipesi e più offesi.
> Non in funzione della difesa in astratto della patria
> o della nazione, bensì in funzione degli esseri umani che, vivendo in
> basso ed
> ancora più in basso, sono considerati prescindibili o semplice carne da
> cannone
> che non merita nient'altro che seguire sempre i suoi dirigenti sempre
> pronti a
> dire loro quando alzare la mano. Quegli esseri umani che sono l'essenza
> fondamentale della patria o della nazione.
> Se qualcuno domandasse ad uno zapatista: Quali sono
> stati i tuoi anni migliori? Lui risponderebbe: "Quelli che verranno".
> Perché
> alcune delle cose più importanti che ci ha dimostrato lo zapatismo, è la
> sua
> permanente volontà di lotta, la sua capacità organizzativa e la sua
> convinzione
> - a prova di tutto, perfino dell'incomprensione di molt@ - che vinceremo.
> Se la ribellione zapatista - della quale vogliamo
> essere complici - non è una data, né un compleanno, né un avvenimento, né
> qualcosa di pietrificato, dogmatico o finito, allora, è qualcosa che si
> prepara,
> si costruisce, si consolida ogni i giorno.
> Se altri vogliono darsi per sconfitti perché ritengono
> che ormai si è persa "la madre di tutte le battaglie", è un suo diritto.
> Noi
> preferiamo la visione che, come dicevano gli studenti francesi del maggio
> 1968:
> "questo non è che l'inizio, la lotta continua".
> Molta acqua è passata sotto i ponti dal 1° gennaio
> 1994. E molti gli attacchi dei signori del denaro, della classe politica e
> dei
> suoi palafrenieri, "intellettuali" da strapazzo che fin dal primo giorno
> furono
> ingaggiati per una missione impossibile: denigrare con una certa
> credibilità i
> popoli zapatisti e il suo esercito. Le penne in divisa si offrirono al
> miglior
> offerente, dal libello Nexos fino a
> quello che oggi è il suo specchio: il quotidiano La Razón. Tutti loro
> hanno accolto diversi legulei disposti a
> mostrarsi per quello che sono: mercenari che scrivono con la mano destra e
> riscuotono con la sinistra.
> L'impulso vitale che veniva dal basso fu ascoltato e
> compreso solo da una parte della sinistra messicana. Quella che non soffre
> di
> torcicollo a forza di tenere la testa sempre rivolta a guardare in alto,
> ad
> aspirare ad un potere che - benché nessuno di loro se ne sia accorto - non
> esiste più, è un ologramma.
> Da parte nostra, quelli che mantenevamo il progetto
> ribelle dell'Altra Sinistra, decidemmo, con l'aiuto dell'esempio dei
> popoli
> zapatisti, di restare in basso e a sinistra. Ostinati nel costruire
> un'altra
> realtà, dove i meccanismi comunitari di auto-organizzazione siano il
> motore
> delle trasformazioni pratiche e teoriche. Al fianco di chi vive nelle
> cantine e
> ai piani bassi del palazzo capitalista.
> Per realizzare questa costruzione fu necessario essere
> dispost@ a ri-apprendere molte cose, come vedremo più avanti.
> ********
> In questo processo nel quale "l'educatore deve essere
> educato", riapprendere è stato fondamentale.
> Naturalmente, la strada non è stata facile. Molti
> paradigmi teorici del pensiero di sinistra sono stati messi in
> discussione:
> a) L'idea di un'avanguardia che guida dall'esterno il
> movimento sociale.
> b) L'idea che la teoria è ad esclusiva dei pensatori
> universitari.
> c) L'idea che la classe operaia sia l'unica classe rivoluzionaria.
> d) L'idea che l'importante nel concetto di lotta di
> classe, sia il secondo elemento e non il primo.
> e) L'idea che la diversità e le differenze siano un
> ostacolo per lottare insieme.
> f) L'idea che lo Stato è l'unico strumento utile per
> cambiare in maniera duratura le condizioni di vita e l'organizzazione
> sociale
> del popolo.
> g) L'idea che lottiamo per una rivoluzione socialista
> alla quale si deve firmare un assegno in bianco, lasciando da parte le
> cosiddette lotte minoritarie (indigene, donne, omosessuali, lesbiche,
> altri
> amori, punk, eccetera).
> h) L'idea della sinistra - che ha un pensiero unico -
> che chi non rientra nella sua visione è un nemico.
> Di fronte a questa crisi di paradigmi abbiamo
> cominciato a costruire un pensiero molto Altro. La prima cosa è stata
> rompere
> con la convinzione che la politica sia un compito che possono svolgere
> solo gli
> specialisti. Che si tratta di un discorso pieno di arcani segreti non
> adatto
> alla popolazione in generale.
> Un po' alla volta abbiamo scoperto che esiste un'altra
> teoria: quella che nasce in seno ai movimenti veri, quelli che non sono
> rondini
> che non fanno primavera. Che è lì nelle comunità, nei quartieri, negli
> ejidos,
> nei villaggi, dove la gente comincia a riflettere sul significato di
> prendere
> in mano il controllo dei propri destini e, a partire da lì, elaborare una
> teoria prodotta da sé stessi.
> Quell'irruzione dei "pedoni della storia", come dicono
> i compagni zapatisti, ha messo in crisi più d'uno di quelli che si
> considerano
> possessori del pensiero politico, che hanno le "risposte" a tutto quello
> che
> accade nel mondo, che è il prodotto di una lettura profonda… dei giornali.
> Naturalmente, come sempre succede, nessun popolo presta loro attenzione.
> Le ed i clandestini della politica, quelli che non
> hanno ruoli né titoli universitari sono quelli che, già da molti anni,
> stanno
> facendo la vera teoria politica.
> La grande domanda a coloro che si ritengono
> organizzazioni d'avanguardia e a coloro che si considerano "creatori di
> opinione" è sapere se hanno la modestia di ascoltare queste voci. Se sono
> capaci di abbassare il volume del frastuono che producono le loro teorie
> quasi
> sempre prodotto di piani analogici validi per qualunque momento della
> storia,
> cioè, per nessuno.
> Si impara ad ascoltare solo quando si tace. Sarà
> possibile che dopo tanti anni di parlare, la sinistra abbia la capacità di
> tacere ed ascoltare? Le voci che vengono dal basso, anche se di pochi
> decibel,
> sono chiare e nitide. È solo questione di abbassarsi un po' e prestare
> attenzione.
> Ed allora, ci accorgeremo che dal profondo della
> società messicana, come un fiume, stanno sgorgando un tale livello di idee
> e
> pensieri come quelli che oggi vediamo nella Escuelita Zapatista. Se
> aguzziamo
> l'udito per guardare dovremo riconoscere che sì, è vero, le nuove
> generazioni
> di zapatisti sono molto più lucide e capaci di quelle che fecero
> l'insurrezione. Le molteplici voci delle basi di appoggio zapatiste ci
> confermano che, nonostante l'importante sforzo del suo capo militare e
> portavoce, lui è riuscito a trasmetterci solo un pallido riflesso di
> quello che
> stava accadendo in territorio zapatista.
> La ricchezza di questa esperienza ci ha fornito nuovi
> strumenti pratici e teorici. È nostra responsabilità che il loro uso sia
> fruttifero. Sappiamo che non è stato facile, e siamo lontani dal successo,
> ma
> ci stiamo provando, davvero ci stiamo provando. Ed oggi possiamo dire che
> siamo
> qua.
> Che non ci arrendiamo, che non ci vendiamo, che non
> rinneghiamo. Che, senza dubbio, ci siamo sbagliati, ma siamo riusciti a
> preservare il fuoco e separare la cenere. Che questo fuoco oggi è solo una
> fiamma, o meglio, una fiammella, ma che tutti i giorni è alimentato da due
> cose: le azioni distruttive del potere neoliberale escludente e rapace che
> ci
> obbliga a mantenerci nell'imperativo categorico di eliminarlo, e la
> volontà
> incrollabile di quello che siamo.
> Ogni giorno con la nostra pratica e pensiero vegliamo
> su questa fiamma o fiammella che rappresenta la nostra volontà di lottare
> contro lo sfruttamento, la spoliazione, la repressione ed il disprezzo,
> cioè,
> contro l'essenza del capitalismo.
> Facciamo nostre le seguenti parole che voi avete
> pronunciato al festival della Digna Rabia:
> "Permettetemi di
> raccontarvi questo: L'EZLN ebbe la tentazione dell'egemonia e
> dell'omogeneità.
> Non solo dopo l'insurrezione, anche prima. Ci fu la tentazione di imporre
> modi
> e identità. Che lo zapatismo fosse l'unica verità. Ed in primo luogo
> furono le
> comunità ad impedirlo, e poi ci insegnarono che non è così, che non si fa
> così.
> Che non potevamo sostituire un dominio con altro e che dovevamo convincere
> e
> non vincere chi era ed è come noi ma non è noi. Ci insegnarono che ci sono
> molti mondi e che è possibile e necessario il mutuo rispetto…
> "Quello che
> vogliamo dirvi, è che questa pluralità tanto uguale nella rabbia e tanto
> diversa nel sentirla, è la direzione e il destino che noi vogliamo e vi
> proponiamo…
> "Non tutti sono
> zapatisti (cosa di cui in alcuni casi ci rallegriamo). Non siamo nemmeno
> tutti
> comunisti, socialisti, anarchici, libertari, punk, ska, dark e come ognuno
> chiami la propria differenza …"
> (Stralci del discorso del Subcomandante Insurgente Marcos: "Sette venti
> nei calendari e
> geografie del basso").
> Questa concezione ci sollecita a continuare a
> formulare una risposta. Di seguito daremo alcune idee che vogliono essere
> solo
> una riflessione iniziale.
> ********
> "Nella Sesta non diciamo che tutti i
> popoli indios entrino nell'EZLN, né diciamo che guideremo operai,
> studenti,
> contadini, giovani, donne, altri, altre. Diciamo che ognuno ha il suo
> spazio,
> la sua storia, la sua lotta, il suo sogno, la sua proporzionalità. E
> diciamo di
> stringere un patto per lottare insieme per il tutto e per ognuno. Fare un
> patto
> tra la nostra rispettiva proporzionalità ed il paese che ne risulti, che
> il
> mondo che nasca sia formato dai sogni di tutti e di ogni diseredato.
> "Che quel mondo sia così variopinto che
> non ci siano gli incubi che assillano chi sta in basso.
> "Ci preoccupa che in quel mondo partorito da tanta lotta e tanta rabbia,
> si continui a considerare la donna con tutte le varianti del disprezzo che
> la
> società patriarcale ha imposto; che si continuino a considerare stranezze
> o
> malattie le diverse preferenze sessuali; che si continui a presumere che i
> giovani devono essere addomesticati, cioè, obbligati a "maturare"; che noi
> indigeni continuiamo ad essere disprezzati e umiliati o, nel migliore dei
> casi,
> considerati come i buoni selvaggi che bisogna civilizzare.
> "Ci
> preoccupa che quel nuovo mondo non sia un clone di quello attuale, o un
> transgenico o una fotocopia di quello che oggi ci inorridisce e ripudiamo.
> Ci
> preoccupa, dunque, che in quel mondo non ci sia democrazia, né giustizia,
> né
> libertà.
> "Allora vogliamo dirvi, chiedere, di non
> fare della nostra forza una debolezza. L'essere tanti e tanto differenti
> ci
> permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina, e ci
> permetterà di
> costruire qualcosa di nuovo. Vogliamo dirvi, chiedervi, che quel nuovo sia
> anche differente".
> (Stralci del discorso del Subcomandante Insurgente Marcos: "Sette venti
> nei calendari e
> geografie del basso").
> Che cosa scriveremmo se oggi avessimo la pretesa di
> dire che cosa ci dimostra l'esperienza zapatista?
> Ogni volta che un uomo, una donna, un bambino o un
> anziano basi di appoggio zapatista parla della sua lotta, della sua
> autonomia,
> della sua resistenza, c'è una parola che si ripete con insistenza:
> organizzazione. Ma come arrivarci? Il problema non si risolve utilizzando
> la
> parola come una specie di "apriti sesamo" buona per tutto.
> Nemmeno si può semplicemente portare a modello quello
> che loro stessi ci dicono non essere un modello. Loro l'hanno fatto così,
> ma ci
> saranno altri modi.
> Se respingiamo il pensiero unico della destra, è
> impossibile pensare ora di introdurre una specie di pensiero unico della
> sinistra del basso.
> No, si tratta invece di imparare dalle esperienze
> quotidiane che viviamo. E queste esperienze benché simili non saranno
> uguali.
> Ma, ci sarebbe qualcosa che ci permetta di orientarci in questo tortuoso
> cammino?
> Sì, molte cose, per lo meno è quello che pensiamo noi.
> a) Metterci sempre al fianco dei condannati della
> terra.
> b) Non guardare in alto, ma nemmeno in basso. Cercare
> sempre di lanciare sguardi di complicità ai lati, cioè dove apparteniamo,
> in
> basso.
> c) Privilegiare l'ascolto al discorso. Dare
> l'opportunità che chi sta in basso parli e ci dica quello che sa.
> d) Capire che è inevitabile che dal potere e dai suoi
> media arrivino linciaggi contro quegli altr@ che stonano, che non si
> inquadrano
> né quadrano: contro i ribelli.
> e) Sfuggire alla tentazione di guidare i movimenti.
> Questo provoca sempre una vertigine. Sorge sempre la domanda di come si
> esprimeranno quelli che lottano, la popolazione che vive in basso, se non
> c'è
> chi li guidi. Perché la risposta, molto semplice, comporta una grande
> complessità accettarla: da loro stessi.
> f) Rispettare le forme organizzative che ognuno si dà,
> benché ci sembrino tortuose e disperatamente lente. Ognuno a modo suo.
> g) Non perseguire le congiunture che ci impongono
> dall'alto, bensì lavorare per creare le nostre proprie congiunture.
> Muovere le
> tavole della politica vuol dire non rispettare le regole del
> "politicamente
> corretto". Aspiriamo ad essere "politicamente scorretti".
> h) Lavorare e costruire nella differenza. Generando
> spazi abitabili dove le donne non siano vessate per il semplice fatto di
> essere
> donne. Dove si accettino le diverse preferenze sessuali. Dove non si
> imponga
> una religione ma neanche l'ateismo. Dove si promuova l'incontro dei
> diversi,
> degli altr@.
> i) Dove non ci auto-limitiamo perché la polis è molto più complessa della
> selva.
> Molti hanno detto che gli zapatisti possono fare ciò che fanno perché la
> loro
> società non è complessa. Che nelle grandi città viviamo in una società
> complessa che impedisce la possibilità che le persone prendano il
> controllo del
> proprio destino. Questo è stato teorizzato sia dalla destra che dalla
> sinistra.
> Questo "argomento" contiene due stupidaggini: pensare che i popoli
> zapatisti
> formino una società semplice. Chi dice questo non è mai stato in
> territorio
> zapatista, dove quasi ogni compagn@ è un municipio autonomo. Semplicemente
> bisogna ricordare che in una Giunta di Buon Governo convivono compagn@ che
> parlano fino a quattro lingue differenti. L'altra stupidaggine è
> sottovalutare
> i popoli delle grandi città ed espropriarli della capacità di decisione
> per un
> problema tecnico: la difficoltà di comunicazione. Dico, questi stessi sono
> quelli che cantano le glorie di Internet e delle reti sociali.
> Infine, queste sono solo alcune idee. Non tutte, e
> molto probabilmente neanche le migliori.
> La questione è che come dice qualcuno: la storia ci
> morde il collo, dobbiamo voltarci e mordere il collo alla storia. Chiaro,
> tutto
> questo fatto con grande serenità e pazienza.
> In questo processo sorgeranno molte esperienze dalle
> quali apprendere. Qui sì "fioriranno cento fiori" che rappresentino cento
> o più
> forme di organizzazione diverse. Non ci sono altri limiti se non quelli
> che ci
> imponiamo noi stessi.
> Nelle parole che ricordiamo de@ compagn@ dell'EZLN
> durante il festival della Digna Rabia,
> si trova la cosa fondamentale di quella che sarebbe la buona notizia: Sì,
> è
> vero, il popolo unito non sarà mai vinto, ma a patto che sarà sempre nella
> diversità che si costruisca il grande Noi che questo paese ed il mondo
> necessita.
> Da parte nostra, infine, vogliamo dire che dal 1°
> gennaio del 1994 abbiamo deciso che il nostro futuro è al fianco dei
> nostri
> fratelli e sorelle e compagn@ zapatisti. Che non siamo stati di quelli che
> hanno voluto semplicemente farsi fare una foto nel momento in cui i mezzi
> di
> comunicazione, e quelli che seguono sempre la moda, spiavano i dirigenti
> zapatisti, in particolare il Subcomandante
> Insurgente Marcos.
> Ed oggi, quasi 20 anni dopo la grande insurrezione e
> 20 anni dopo da quando abbiamo saputo che la vostra ribellione è anche la
> nostra, compagn@ zapatisti vi diciamo: siamo qua, qua seguiremo, cercando
> di
> camminare con voi, spalla a spalla, come parte della Sexta. Vi diciamo
> che, effettivamente, anche noi abbiamo un
> obiettivo molto modesto: cambiare la vita, cambiare il mondo.
> Per tutto quanto detto sopra e per molte altre ragioni
> e non, un gruppo di uomini, donne, bambin@, anzian@, altr@, abbiamo deciso
> di organizzarci,
> perché abbiamo capito che la ribellione organizzata è una delle strade,
> per noi
> la più importante, che ci porterà dove vogliamo andare.
> Non a costruire una strada unica e senza ostacoli,
> bensì una strada dove incontriamo molt@ altr@ e possiamo lavorare insieme
> senza
> che questo significhi dire loro: "venite di qua, questo è bene". Perché
> dopo
> venti anni stiamo imparando che le strade si fanno camminando, nell'azione
> e
> non in dibattiti teorici senza radici pratiche.
> Dalle visioni zapatiste del mondo, del Messico e della
> vita, vogliamo generare una cornice comune, un rifugio abitabile alla
> nostra
> ribellione, una casamatta che sia un punto di appoggio per continuare col
> nostro lavoro di vecchia talpa (o meglio: di scarabeo chiamato Don Durito
> de la
> Lacandona) che corrode le fondamenta del capitale.
> Per questo, noi, ribelli ed insubordinati, esprimiamo
> la volontà di camminare insieme agli zapatisti ed il desiderio di essere
> vostri
> compagn@. Vi diciamo che ce la metteremo tutta e che, effettivamente,
> nella
> lunga notte che è stato quello che qualcuno chiama giorno, prima o poi "la
> notte sarà il giorno che sarà il giorno".
> Fuori non è più notte… già si vede l'orizzonte.
> Sergio Rodríguez Lascano
> Messico, dicembre 2013
>
> Lettera originale:
> http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/12/20/carta-a-nuestrs-companers-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional/
>
> Traduzione:
> http://chiapasbg.wordpress.com/2013/12/31/lettera-sergio-rodriguez-lascano/(Traduzione
> "Maribel" - Bergamo)
>


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