venerdì 10 agosto 2012

Gli equivoci presidenziali rispetto all’EZLN

 
La Jornada – 10 agosto 2012
Jaime Martínez Veloz
 
Durante la marcia zapatista del colore della terra, realizzata nel 2001, nel Congresso dell'Unione ci fu un acceso dibattito circa la possibilità che l'EZLN utilizzasse la tribuna del Congresso dell'Unione per esporre le ragioni sulle quali si fonda il suo movimento. La posizione di chi si opponeva a questa misura era rappresentata da Felipe Calderón, coordinatore dei deputati del PAN, e basava la sua opposizione alla presenza zapatista nel Congresso, invocando, a suo modo, aspetti relazionati con la formalità parlamentare ed i rigidi criteri interpretativi del regolamento legislativo.
Chi appoggiava la presenza degli zapatisti nella tribuna parlamentare vinse per 10 voti, ma sapevamo che al di là delle formalità, la questione di fondo era se lo Stato messicano includeva o no tutti i messicani. Gli zapatisti esposero le loro argomentazioni a favore di una nuova relazione tra gli indigeni e lo Stato messicano. Quello che seguì è ormai storia: al Senato i 15 minuti di Fox non arrivarono mai e con un provvedimento legislativo, firmato dai senatori Manuel Bartlett e Diego Fernández de Cevallos, si snaturalizzò l'iniziativa di legge in materia indigena in cambio di un testo costituzionale che prometteva un paradiso che nei fatti risultò essere un inferno per le comunità indigene messicane.
Racconto questo perché lo scorso 26 luglio, in occasione della presentazione del libro Corazón indígena: lucha y esperanza de los pueblos originarios de México, di don Luis H. Álvarez, Felipe Calderón Hinojosa, ora Presidente della Repubblica, fece alcune dichiarazioni che devono essere puntualizzate a salvaguardia dell'interesse generale.
Fu ovvio che Calderón esaltasse generosamente la figura dell'autore del libro presentato, al limite di definirlo un apostolo illustrandone i valori etici che affermò di possedere don Luis H. Álvarez. Nello stesso tempo dichiarò la sua stima per le qualità letterarie del subcomandante Marcos che, come si sa, ha, onestamente, un'eccellente prosa ed un'ottima scrittura.
Le opinioni di Calderón non sembrano inserite in un piano prestabilito, con una strategia  deliberata; hanno la freschezza della sincera improvvisazione, di quell'amena ingenuità che a volte possiede chi non avverte la gravità degli eventi ai quali si riferisce. Queste ed altre opinioni espresse da Calderón durante il suo intervento corrispondono all'esercizio del suo diritto individuale di esprimersi, per quanto controversi possano risultare i suoi punti di vista. 
Il conflitto si presenta quando si considera l'investitura che ostenta Calderón; quando parla, parla il Presidente della Repubblica, ruolo del quale non può spogliarsi neppure per un istante e che lo obbliga a considerare, sempre, il peso e l'impatto che avranno le sue parole.
Durante il suo intervento, Calderón ha evidenziato che manca dell'interpretazione e della politica istituzionale necessarie per capire e risolvere, come Presidente della Repubblica, la crisi in Chiapas, dove sussiste la dichiarazione di guerra che un ampio settore di messicani lanciò contro lo Stato. Nonostante stiano per terminare le sue responsabilità presidenziali, è inquietante pensare che durante quasi sei anni il silenzio del Presidente della Repubblica sull'argomento non rispondeva a cautela, bensì ad ignoranza e superficialità.
Quanto sopra è stato confermato nella chiusura dell'intervento di Calderón, quando ha affermato: Ma, soprattutto, don Luis H. Álvarez è stato una luce che ha cambiato la realtà delle comunità zapatiste, non a partire dalle armi, come in origine, bensì a partire dalla forza dei non violenti, dalla forza dei pacifici, come dice il Vangelo, di cui fa parte questo uomo forte di pace che si chiama don Luis Álvarez e che abbiamo il privilegio di avere con noi.
Il Presidente della Repubblica sbaglia; il suo errore è grave, perché nasce dall'ignoranza di quello che è stato il conflitto chiapaneco dalla sua genesi fino ad ora. È ulteriormente grave perché magnifica i risultati quantitativi dei programmi governativi e degli investimenti  pubblici, senza riflettere sulla mancanza totale di strategia e articolazione con cui alcune importanti politiche pubbliche vengono applicate nelle comunità indigene
Il Presidente della Repubblica è stato negligente nel suo obbligo di riconciliare tutti i messicani, cosa che cerca di occultare dietro una sequela di cifre di investimenti pubblici senza strategia sociale né progetto politico in tutte le regioni indigene. 
Il merito del fatto che il conflitto non si sia aggravato non è del governo, ma delle comunità zapatiste che hanno onorato gli impegni dei loro dirigenti resistendo con lealtà e disciplina alle contrarietà ed alle congiure. 
È interesse nazionale denunciare e farla finita con l'ipotesi che è possibile e conveniente l'amministrazione del conflitto, ad perpetuam, e che il logoramento della dignità indigena finirà per sconfiggere gli insorti. 
Non si deve più tollerare l'omissione né l'esclusione dallo sviluppo sociale con democrazia; è necessario generare le condizioni sociali e politiche per la riconciliazione ed il riscatto della piena sovranità nazionale, mediante la riproposizione e restituzione dei provvedimenti costituzionali che trasformino in mandato gli Accordi di San Andrés firmati tra il Governo Federale e l'EZLN. http://www.jornada.unam.mx/2012/08/10/opinion/022a1pol

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