lunedì 12 dicembre 2011

Sup Marcos: Una morte.. o una vita (3/3)

 


... segue dalla seonda arte

Scrivere di lui mi fa dolere le mani, Don Luis. 
Non solo perché siamo stati insieme all'inizio della sollevazione e poi in giorni luminosi e albe gelide.
Ma soprattutto, perché facendo questo rapido resoconto della sua storia, mi rendo conto che sto parlando della storia di ognuno delle mie cape e capi, di questo collettivo di ombre che ci indica la rotta, la strada, il passo. 
Di chi ci dà identità ed eredità. 
Forse, agli specialisti del pettegolezzo coletos e simili non interessa la morte del Comandante Moisés perché era solo un'ombra tra le migliaia di zapatisti.
Ma a noi lascia un debito molto grande, tanto grande come il senso delle parole con le quali, sorridendo, mi salutò in quella riunione:
"La lotta non è finita", disse mentre raccoglieva il suo zaino.
-*-
IV.- Una morte, una vita.
Si potrebbe elucubrare su cos'è quello che porta le mie parole a lanciare questo complicato e multiplo ponte tra Don Tomás Segovia ed il Comandante Moisés, tra l'intellettuale critico e l'alto capo indigeno zapatista.
Si potrebbe pensare che è la loro morte, perché evocandoli li riportiamo tra noi, tanto simili perché erano, e sono, diversi.
Ma no, è per le loro vite.
Perché la loro assenza non produce in noi frivoli omaggi o sterili statue.
Perché lasciano in noi una pendenza, un debito, un'eredità.
Perché di fronte alle tentazioni alla moda (mediatiche, elettorali, politiche, intellettuali), c'è chi afferma che non si arrende, né si vende, né tentenna.
E lo fa con una parola che si pronuncia in maniera autentica solo quando si vive: "Resistenza".
Là in alto la morte si esorcizza con omaggi, a volte monumenti, nomi a strade, musei o festival, premi con i quali il Potere festeggia il tentennamento, il nome in lettere dorate su qualche parete da abbattere.
Così si afferma quella morte. Omaggio, parole di circostanza, giro di pagina e avanti un altro.
Ma…
Eduardo Galeano dice che nessuno se ne va del tutto finché c'è qualcuno che lo nomina.
Il Vecchio Antonio diceva che la vita era un lungo e complicato puzzle che si riusciva a completare solo quando gli eredi nominavano il defunto.
Ed Elías Contreras dice che la morte deve avere la sua dimensione, e che ce l'ha solo quando si mette di fianco ad una vita. Ed aggiunge che bisogna ricordare, quando se ne va un pezzo del nostro cuore collettivo, che quella morte è stata ed è una vita.
Già.
Nominando Moisés e Don Tomás, li riportiamo, completiamo il puzzle della loro vita di lotta, e riaffermiamo che, qua in basso, una morte è soprattutto una vita.
-*-
V.- Arrivederci.
Don Luis:
Credo che con questa missiva possiamo concludere la nostra partecipazione a questo fruttuoso (per noi lo è stato) scambio di idee. Almeno per ora. 
La pertinenza delle finestre e delle porte che si sono aperte con l'andare e venire delle sue idee e delle nostre, è qualcosa che, come tutto qua, si andrà sistemando nelle geografie e nei calendari ancora da definire.
Ringraziamo di cuore l'accompagnamento delle penne di Marcos Roitman, Carlos Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Arturo Anguiano, Gustavo Esteva e Sergio Rodríguez Lazcano, e della rivista Rebeldía, che è stata anfitrione.
Con questi testi, né loro, né lei, né noi, siamo in cerca di voti, seguaci, fedeli. 
Cerchiamo (e credo troviamo) menti critiche, vigili ed aperte. 
Ora in alto proseguirà il frastuono, la schizofrenia, il fanatismo, l'intolleranza, i tentennamenti mascherati di tattica politica. 
Poi arriverà la risacca: la resa, il cinismo, la sconfitta. 
In basso prosegue il silenzio e la resistenza. 
Sempre la resistenza… 
Bene Don Luis. Salute e che siano vite quelle che ci lasciano i morti. 
 
Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Ottobre-Novembre 2011
 
 
VI. P.S. ATTACA DI NUOVO.- Non volevamo dire niente. Non perché non avessimo niente da dire, ma perché chi ora si indigna giustamente contro la calunnia analfabeta, ci ha calunniato fino a chiuderci i ponti verso altri cuori. Ora, piccoli noi e piccola la nostra parola, solo pochi, alcuni di quegli ostinati che fanno ruotare la ruota della storia, cercano il nostro pensiero, ci cercano, ci nominano, ci chiamano.
Non volevamo dire niente, ma…
Uno dei tre imbroglioni che si disputeranno il trono sulle rovine del Messico, è venuto nelle nostre terre a chiederci di stare zitti. È lo stesso che è appena maturato e riconosce i suoi errori ed inciampi. Lo stesso che guida un gruppo avido di potere, pieno di intolleranza, che ha cercato, cerca e cercherà in altri la responsabilità dei suoi errori e schizofrenie. Con un discorso più vicino a Gaby Vargas e Cuauhtémoc Sánchez che ad Alfonso Reyes, ora predica e basa le sue ambizioni nell'amore… per la destra.
Quelli che criticavano a Javier Sicilia le sue dimostrazioni di affetto verso la classe politica, criticheranno ora la "Repubblica Affettuosa"? Quelli che predicavano che Televisa era il male da sconfiggere, criticheranno ora l'affettuosa stretta di mani col lacchè dell'orario stellare?
Octavio Rodríguez Araujo scriverà adesso un articolo per chiedere "coerenza, leader, coerenza"? John Ackerman chiederà radicalità sostenendo che è questo quello che la gente vuole e spera? Il ciro-gómez-leyva di La Jornada, Jaime Avilés, lancerà le sue camicie brune a denunciare per negoziare con i cani e gli impresari, il suo odiato López Dóriga? Il laura-bozzo di La Jornada, Guillermo Almeyra, lo giudicherà e condannerà come collaborazionista intonando il ritornello "via, disgraziato!"?
No, guarderanno dall'altra parte. Diranno che è una questione tattica, che lo sta facendo per guadagnare i voti della classe media. Bene, così niente è ciò che sembra: il presidio di Reforma non era stato fatto per chiedere il riconteggio dei voti che avrebbe reso palese la frode, ma affinché la gente non si radicalizzasse; le critiche a Televisa non erano per denunciare il potere dei monopoli mediatici, ma affinché si aprissero le porte di questa impresa (ed essere di nuovo suo cliente con gli spot elettorali). E poi? Le brigate che raccolgono soldi per il teletón?
Ma potremmo intendere che egli stia solo seguendo una tattica (rozza ed ingenua, secondo noi, ma una tattica). Che non creda sul serio che gli impresari lo appoggeranno, che i cani non lo tradiranno, che il PT ed il Movimento Cittadino sono partiti di sinistra, che Televisa sta cambiando, che il suo interlocutore privilegiato in Chiapas deve essere il priismo (come prima fu il sabinismo). Perfino che creda di essere più intelligente di tutti loro e che li imbroglierà tutti facendo finta di servirli o scambiando usi e costumi nell'impossibile gioco politico di "tutti vincono" e "amore e pace".
Ok, è una tattica… o una strategia (in ogni caso non si capisce cosa una ecosa è l'altra). Quello che si capisce è che sta raccogliendo a destra (disertori del PAN inclusi) e che non c'è niente alla sua sinistra. Segue gli stessi passi del suo predecessore, Cuauhtémoc Cárdenas Solórzano, che si alleò con i potenti contando sul fatto che le sinistre non avrebbero potuto fare altro che appoggiarlo "perché non si poteva fare altro". Ok, strategia o tattica, lo spiegheranno i burattini nelle loro sedi. Noi domandiamo solo: quando, in Messico, ha dato risultati positivi alla sinistra, spostarsi a destra? Quando l'essere servili con i potenti è andato oltre il fatto di divertirli? Certo, i "cagnolini" renderanno conto del successo di questa tattica politica (o strategia?), ma non si sta percorrendo la stessa strada… o no?
Nel frattempo, il gruppo di intelligentoni che lo promuove continuerà a fare equilibrismi per giustificare il cambiamento di rotta… o scommetteranno sulla smemoratezza.
In ogni modo, non mancherà chi incolpare del terzo posto, no?
Salve di nuovo.
Il Sup che fuma in attesa della valanga di calunnie che, in nome della "libertà di espressione" e senza diritto di replica, prepara l'opposizione dell'alto.
 



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