...  segue dalla seonda arte    
          
Scrivere di lui mi fa dolere le mani, Don  Luis.  
 Non solo perché siamo stati insieme all'inizio  della sollevazione e poi in giorni luminosi e albe gelide.
 Ma soprattutto, perché facendo questo rapido  resoconto della sua storia, mi rendo conto che sto parlando della storia di  ognuno delle mie cape e capi, di questo collettivo di ombre che ci indica la  rotta, la strada, il passo.  
 Di chi ci dà identità ed eredità.   
 Forse, agli specialisti del pettegolezzo  coletos e simili non interessa la morte del Comandante Moisés perché era  solo un'ombra tra le migliaia di zapatisti.
 Ma a noi lascia un debito molto grande, tanto  grande come il senso delle parole con le quali, sorridendo, mi salutò in quella  riunione:
 "La lotta non è finita", disse mentre  raccoglieva il suo zaino.
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 IV.- Una morte, una vita.
 Si potrebbe elucubrare su cos'è quello che  porta le mie parole a lanciare questo complicato e multiplo ponte tra Don Tomás  Segovia ed il Comandante Moisés, tra l'intellettuale critico e l'alto capo  indigeno zapatista.
 Si potrebbe pensare che è la loro morte, perché  evocandoli li riportiamo tra noi, tanto simili perché erano, e sono,  diversi.
 Ma no, è per le loro vite.
 Perché la loro assenza non produce in noi  frivoli omaggi o sterili statue.
 Perché lasciano in noi una pendenza, un debito,  un'eredità.
 Perché di fronte alle tentazioni alla moda  (mediatiche, elettorali, politiche, intellettuali), c'è chi afferma che non si  arrende, né si vende, né tentenna.
 E lo fa con una parola che si pronuncia in  maniera autentica solo quando si vive: "Resistenza".
 Là in alto la morte si esorcizza con omaggi, a  volte monumenti, nomi a strade, musei o festival, premi con i quali il Potere  festeggia il tentennamento, il nome in lettere dorate su qualche parete da  abbattere.
 Così si afferma quella morte. Omaggio, parole  di circostanza, giro di pagina e avanti un altro.
 Ma…
 Eduardo Galeano dice che nessuno se ne va del  tutto finché c'è qualcuno che lo nomina.
 Il Vecchio Antonio diceva che la vita era un  lungo e complicato puzzle che si riusciva a completare solo quando gli eredi  nominavano il defunto.
 Ed Elías Contreras dice che la morte deve avere  la sua dimensione, e che ce l'ha solo quando si mette di fianco ad una vita. Ed  aggiunge che bisogna ricordare, quando se ne va un pezzo del nostro cuore  collettivo, che quella morte è stata ed è una vita.
 Già.
 Nominando Moisés e Don Tomás, li riportiamo,  completiamo il puzzle della loro vita di lotta, e riaffermiamo che, qua in  basso, una morte è soprattutto una vita.
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 V.- Arrivederci.
 Don Luis:
 Credo che con questa missiva possiamo  concludere la nostra partecipazione a questo fruttuoso (per noi lo è stato)  scambio di idee. Almeno per ora.  
 La pertinenza delle finestre e delle porte che  si sono aperte con l'andare e venire delle sue idee e delle nostre, è qualcosa  che, come tutto qua, si andrà sistemando nelle geografie e nei calendari ancora  da definire.
 Ringraziamo di cuore l'accompagnamento delle  penne di Marcos Roitman, Carlos Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Arturo Anguiano,  Gustavo Esteva e Sergio Rodríguez Lazcano, e della rivista Rebeldía, che è stata  anfitrione.
 Con questi testi, né loro, né lei, né noi,  siamo in cerca di voti, seguaci, fedeli.  
 Cerchiamo (e credo troviamo) menti critiche,  vigili ed aperte.  
 Ora in alto proseguirà il frastuono, la  schizofrenia, il fanatismo, l'intolleranza, i tentennamenti mascherati di  tattica politica.  
 Poi arriverà la risacca: la resa, il cinismo,  la sconfitta.  
 In basso prosegue il silenzio e la  resistenza.  
 Sempre la resistenza…  
 Bene Don Luis. Salute e che siano vite quelle  che ci lasciano i morti.  
 Dalle  montagne del Sudest Messicano.
 Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Ottobre-Novembre 2011
 Messico, Ottobre-Novembre 2011
VI. P.S. ATTACA DI NUOVO.- Non volevamo  dire niente. Non perché non avessimo niente da dire, ma perché chi ora si  indigna giustamente contro la calunnia analfabeta, ci ha calunniato fino a  chiuderci i ponti verso altri cuori. Ora, piccoli noi e piccola la nostra  parola, solo pochi, alcuni di quegli ostinati che fanno ruotare la ruota della  storia, cercano il nostro pensiero, ci cercano, ci nominano, ci chiamano.
 Non volevamo dire niente, ma…
 Uno dei tre imbroglioni che si disputeranno il  trono sulle rovine del Messico, è venuto nelle nostre terre a chiederci di stare  zitti. È lo stesso che è appena maturato e riconosce i suoi errori ed inciampi.  Lo stesso che guida un gruppo avido di potere, pieno di intolleranza, che ha  cercato, cerca e cercherà in altri la responsabilità dei suoi errori e  schizofrenie. Con un discorso più vicino a Gaby Vargas e Cuauhtémoc Sánchez che  ad Alfonso Reyes, ora predica e basa le sue ambizioni nell'amore… per la  destra.
 Quelli che criticavano a Javier Sicilia le sue  dimostrazioni di affetto verso la classe politica, criticheranno ora la  "Repubblica Affettuosa"? Quelli che predicavano che Televisa era il male da  sconfiggere, criticheranno ora l'affettuosa stretta di mani col lacchè  dell'orario stellare?
 Octavio Rodríguez Araujo scriverà adesso un  articolo per chiedere "coerenza, leader, coerenza"? John Ackerman chiederà  radicalità sostenendo che è questo quello che la gente vuole e spera? Il  ciro-gómez-leyva di La Jornada, Jaime Avilés, lancerà le sue  camicie brune a denunciare per negoziare con i cani e gli impresari, il suo  odiato López Dóriga? Il laura-bozzo di La Jornada, Guillermo  Almeyra, lo giudicherà e condannerà come collaborazionista intonando il  ritornello "via, disgraziato!"?
 No, guarderanno dall'altra parte. Diranno che è  una questione tattica, che lo sta facendo per guadagnare i voti della classe  media. Bene, così niente è ciò che sembra: il presidio di Reforma non era stato  fatto per chiedere il riconteggio dei voti che avrebbe reso palese la frode, ma  affinché la gente non si radicalizzasse; le critiche a Televisa non erano per  denunciare il potere dei monopoli mediatici, ma affinché si aprissero le porte  di questa impresa (ed essere di nuovo suo cliente con gli spot elettorali). E  poi? Le brigate che raccolgono soldi per il teletón?
 Ma potremmo intendere che egli stia solo  seguendo una tattica (rozza ed ingenua, secondo noi, ma una tattica). Che non  creda sul serio che gli impresari lo appoggeranno, che i cani non lo tradiranno,  che il PT ed il Movimento Cittadino sono partiti di sinistra, che Televisa sta  cambiando, che il suo interlocutore privilegiato in Chiapas deve essere il  priismo (come prima fu il sabinismo). Perfino che creda di essere  più intelligente di tutti loro e che li imbroglierà tutti facendo finta di  servirli o scambiando usi e costumi nell'impossibile gioco politico di "tutti  vincono" e "amore e pace".
 Ok, è una tattica… o una strategia (in ogni  caso non si capisce cosa una ecosa è l'altra). Quello che si capisce è che sta  raccogliendo a destra (disertori del PAN inclusi) e che non c'è niente alla sua  sinistra. Segue gli stessi passi del suo predecessore, Cuauhtémoc Cárdenas  Solórzano, che si alleò con i potenti contando sul fatto che le sinistre non  avrebbero potuto fare altro che appoggiarlo "perché non si poteva fare altro".  Ok, strategia o tattica, lo spiegheranno i burattini nelle loro sedi. Noi  domandiamo solo: quando, in Messico, ha dato risultati positivi alla sinistra,  spostarsi a destra? Quando l'essere servili con i potenti è andato oltre il  fatto di divertirli? Certo, i "cagnolini" renderanno conto del successo di  questa tattica politica (o strategia?), ma non si sta percorrendo la stessa  strada… o no?
 Nel frattempo, il gruppo di intelligentoni che  lo promuove continuerà a fare equilibrismi per giustificare il cambiamento di  rotta… o scommetteranno sulla smemoratezza.
 In ogni modo, non mancherà chi incolpare del  terzo posto, no?
 Salve di nuovo.
 Il Sup che fuma in attesa della valanga  di calunnie che, in nome della "libertà di espressione" e senza diritto di  replica, prepara l'opposizione dell'alto. 
  
 
 
 
 
