lunedì 12 dicembre 2011

Sup Marcos: Una morte.. o una vita (2/3)

 


... segue dalla prima arte

Don Luis, credo che concorderà con me che, rispondendo a questi testi provocatori di Tomás Segovia, la riflessione su Etica e Politica deve toccare il tema del Potere. 
Forse in un'altra occasione, e chiamando altri, possiamo scambiare idee e sentimenti (che altro non sono i fatti che animano queste riflessioni), su questo argomento.
Per adesso, vada questa evocazione a Don Tomás Segovia, che dichiarava di non avere tempo di non essere libero e senza imbarazzo confessava: "quasi tutta la vita l'ho guadagnata onestamente, cioè, non come scrittore".
Non solo per portare qui la sua parola irredenta, perché capita a proposito. 
Ma anche, e soprattutto, perché più che il poeta, è il pensatore che ha aperto una terza porta verso il movimento indigeno zapatista. Guardando, vedendo, sentendo ed ascoltando, Don Tomás Segovia attraversò quella porta.
Cioè, capì.
III.- Il Potere e la Pratica della Resistenza.
Municipio Autonomo Ribelle Zapatista San Andrés Sacamchen de Los Pobres, Altos del Chiapas. La mattina del 26 settembre 2011, il comandante Moisés stava andando a lavorare nella sua piantagione di caffè. Come tutti i dirigenti dell'EZLN, non riceveva salario o prebenda alcuna. Come tutti i dirigenti dell'EZLN, doveva lavorare per mantenere la sua famiglia. L'accompagnavano i suoi figli. 
Il veicolo sul quale viaggiavano si ribaltò. Tutti rimasero feriti, ma le ferite subite da Moisés erano mortali. Quando arrivò alla clinica di Oventik era ormai morto.
Nel pomeriggio, com'è abitudine a San Cristóbal de Las Casas rincorrere le voci, la morte di Moisés attrasse giornalisti avvoltoi che pensarono che il morto era il Tenente Colonnello Insurgente Moisés. Quando seppero che non era lui, ma un altro Moisés, il Comandante Moisés, persero ogni interesse. A nessuno di loro importava qualcuno che non era apparso in pubblico come dirigente, qualcuno che era sempre stato nell'ombra, qualcuno che apparentemente era solo un altro indigeno zapatista…
Nel calendario doveva essere il 1985-1986. Moisés seppe dell'EZLN e decise di unirsi allo sforzo organizzativo quando negli altos del Chiapas gli zapatisti si contava sulle dita delle mani… (ed avanzavano le dita). 
Insieme ad altri compagni (Ramona tra loro), cominciò a percorrere le montagne del sudest messicano, ma allora con un'idea di organizzazione. La sua piccola sagoma sbucava dalla nebbia nei territori tzotziles degli Altos. Con la sua parlata lenta snocciolava il lungo elenco di oltraggi perpetrati contro chi è del colore della terra.
"Bisogna lottare", concludeva.
L'alba del primo gennaio 1994, come uno dei combattenti, scese dalle montagne sull'altezzosa città di San Cristóbal de Las Casas. Era nella colonna che prese la presidenza municipale, costringendo alla resa le forze governative che la difendevano. Insieme agli altri membri tzotziles del CCRI-CG, si affacciò al balcone dell'edificio che dava sulla piazza principale. Dietro, nell'ombra, ascoltò la lettura che uno dei suoi compagni faceva della cosiddetta "Dichiarazione della Selva Lacandona" ad una folla di meticci increduli o scettici, e di indigeni colmi di speranza. Con la sua truppa ripiegò sulle montagne alle prime ore del 2 gennaio 1994.
Dopo aver resistito ai bombardamenti ed alle incursioni delle forze governative, tornò a San Cristóbal de Las Casas come parte della delegazione zapatista che partecipò ai cosiddetti Dialoghi della Cattedrale con rappresentanti del governo supremo. 
Ritornò e continuò a percorrere i territori per spiegare e, soprattutto, per ascoltare. 
"Il governo non mantiene la parola", concludeva. 
Insieme a migliaia di indigeni, costruì l'Aguascalientes II, ad Oventik, quando l'EZLN subiva ancora la persecuzione zedillista. 
Fu uno delle migliaia di indigeni zapatisti che, a mani nude, affrontarono la colonna di carri armati federali che volevano posizionarsi ad Oventik nei giorni funesti del 1995. 
Nel 1996, nei dialoghi di San Andrés vigilava, come uno dei tanti, sulla la sicurezza della delegazione zapatista, accerchiata da centinaia di militari. 
In piedi, nelle gelate albe degi Altos del Chiapas, resisteva sotto la pioggia che faceva scappare i soldati a rifugiarsi sotto un tetto. Non si muoveva. 
"Il Potere è traditore", diceva come per scusarsi.
Nel 1997, con i suoi compagni, organizzò la colonna tzotzil zapatista che partecipò alla "Marcia dei 1,111", e raccolse informazioni vitali per fare luce sul massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell'anno, perpetrato dai paramilitari sotto la direzione del generale dell'esercito federale, Mario Renán Castillo, e con Ernesto Zedillo Ponce de León, Emilio Chuayfett e Julio César Ruiz Ferro quali autori intellettuali.
Nel 1998, dagli Altos del Chiapas, organizzò e coordinò l'appoggio e la difesa delle compagne e dei compagni sfollati dagli attacchi contro i municipi autonomi da parte del "Croquetas" Albores Guillén e di Francisco Labastida Ochoa.
Nel 1999 partecipò all'organizzazione e coordinamento della delegazione indigena tzotzil zapatista che partecipò alla consultazione nazionale, quando 5 mila zapatisti (2500 donne e 2500 uomini) coprirono tutti gli stati della Repubblica Messicana.
Nel 2001, dopo il tradimento di tutta la classe politica messicana degli "Accordi di San Andrés" (allora si allearono PRI, PA e PRD per chiudere le porte al riconoscimento costituzionale dei diritti e della cultura dei popoli originari del Messico), continuò a percorrere i territori tzotziles degli Altos del Chiapas, er parlare ed ascoltare. E, dopo aver ascoltato, diceva: "Bisogna resistere".
Moisés era nato il 2 aprile 1956, ad Oventik.
Senza che se lo fosse prefissato e, soprattutto, senza guadagnarci niente, divenne uno dei capi indigeni più rispettati nell'EZLN.
Dopo pochi giorni prima della sua morte, lo vidi in una riunione del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell'EZLN, dove si analizzava la situazione locale, nazionale ed internazionale, e si discutevano e decidevano i passi da fare.
Spiegavamo che una nuova generazione di zapatisti stava giungendo ad incarichi di dirigenza. Ragazzi e ragazze nati dopo la sollevazione e che si sono formati nella resistenza, educati nelle scuole autonome, sono ora scelti come autorità autonome ed arrivano ad essere membri delle Giunte di Buon Governo.
Si discuteva e concordava come aiutarli nei loro compiti, come accompagnarli. Come costruire il ponte della storia tra i veterani zapatisti e loro. Come i nostri morti ci lasciano in eredità impegni, memoria, il dovere di andare avanti, di non indebolirsi, di non vendersi, di non tentennare, di non arrendersi.
Non c'era nostalgia in nessuno dei miei capi e cape.
Né nostalgia dei giorni e delle notti in cui, in silenzio, forgiavano la forza di quello che sarebbe stato conosciuto nel mondo come "Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale". 
Né nostalgia per i giorni in cui la nostra parola era ascoltata in molti angoli del pianeta. 
Non c'erano risate, vero. C'erano facce serie, preoccupate di trovare insieme il percorso comune.
C'era, questo sì, quello che Don Tomás Segovia una volta ha chiamato "nostalgia del futuro".
"Bisogna raccontare la storia", disse il Comandante Moisés, a conclusione della riunione. Ed il Comandante tornò nella sua capanna ad Oventik.
Quella mattina del 26 settembre 2011, uscì di casa dicendo "torno subito", ed andò nel suo campo per ricavare dalla terra il sostentamento e il domani.
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