giovedì 14 aprile 2011

SupMarcos: Seconda lettera a Luis Villoro - Parte 2/2

 



Ma supponiamo che a loro interessi discutere e convincere.

Discutiamo, per esempio, delle reali conseguenze del progetto ultradecennale di Azione Nazionale di cambiare una nota strofa dell'Inno Nazionale Messicano per mettere al suo posto "Pensa, Oh Amata Patria! il cielo una vittima collaterale in ogni figlio ti diede", e rispetto al quale nessuno degli altri partiti ha presentato un'alternativa puntuale e decisa.

O la presunta bontà del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale ed il conseguente ritorno di tutta una cultura di corruzione e crimine che ha travolto l'insieme della classe politica messicana.

O le possibilità reali del progetto di far fare retromarcia alla ruota della storia e tornare allo Stato Benefattore, che è la proposta dell'ancor debole coalizione di opposizione.

Tutti, oltre a detestare la riflessione teorica (chiaro, quella che non sia un puerile autocompiacimento), si propongono l'impossibile: mantenere, riscattare o rigenerare le macerie di uno Stato Nazionale che ha generato e dato corpo al sistema di partiti di Stato. Quel sistema che ha trovato nel Partito Rivoluzionario Istituzionale il suo migliore specchio e rispetto al quale l'intera classe politica di quelli che stanno in alto, oggi si sforza di somigliare.

O non si sono resi conto fino a che punto sono distrutte le basi di questo Stato? Come mantenere, riscattare o rinnovare un cadavere? Ed anche così, è molto tempo che la classe politica e gli analisti che l'accompagnano si impegnano invano ad imbalsamare le rovine.

Ma si capisce, l'ignoranza non è condannabile. Chiaro, a meno che si vesta di saggezza.

Non è possibile, diciamo noi, presentare qualunque tipo di soluzione al disastro dello Stato Nazionale senza toccare il sistema responsabile di questa rovina e dell'incubo che avvolge il paese intero.

Noi diciamo che ci sono le soluzioni, ma possono nascere solo dal basso, da una proposta radicale che non aspetta un consiglio di saggi per legittimarsi, ma è già in atto, cioè, si lotta in molti angoli del nostro paese. Pertanto, non è una proposta unanime nella sua forma, nel suo modo, nel suo calendario, nella sua geografia. Ma è plurale, includente, partecipativa. Niente a che vedere con le unanimità che pretendono di essere imposte da azzurri, gialli, rossi, verdi, rosa, e le varie comparse che li accompagnano.

Ma noi, ammettiamo che possiamo sbagliarci. Che può essere, è un'ipotesi, che la distruzione perpetrata lasci ancora un margine di manovra per rifare, dall'alto, il tessuto sociale.

Ma, invece di incoraggiare un dibattito serio e profondo, ci viene chiesto di tornare a tacere e, un'altra volta, ci si esorta di nuovo ad appoggiare i nostri persecutori, chi, per esempio, copre con le sue parole o il suo silenzio persone come Juan José Sabines Guerrero, chi dal governo del Chiapas persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di lodi per le sue bugie fatte governo, chi persegue i difensori dei diritti umani sulla Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón che si rifiutano di prostituire la loro terra, chi fomenta l'azione di gruppi paramilitari contro le comunità indigene zapatiste.

Chi realmente conosce quello che si sta facendo e disfacendo in Chiapas e non ha paura, ha così ribattezzato lo slogan di Sabines: "Disfatti, non parole". Sabines Guerrero è ciò che meglio rappresenta la putrefatta classe politica messicana: ha l'appoggio del PAN, del PRI, del PRD e del movimento di AMLO; è generoso con i media perché dicano quello che gli conviene e tacciano su quello che non gli conviene; ha un aspetto inconsistente, un'immagine pronta a polverizzarsi in qualsiasi momento; e governa come se fosse il solerte capoccia di una tenuta porfirista.

Ed ancora ci viene chiesto di "fornire contributi critici e costruttivi" ad un movimento diretto e guidato per ripetere la stessa storia di oppressione, ma con altri nomi.

Quando capiranno che esistono individui, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti, ai quali non interessa cambiare quello che sta sopra né rinnovare (cioè, riciclare) una classe politica parassita?

Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni o supremi salvatori, ma non averne nessuno.

Infine, se di qualcosa bisogna ringraziare là in alto, è che ancora una volta hanno rivelato la povertà teorica e l'evidente debolezza strategica di chi si proponeva e propone di mantenere, sostituire o riciclare quelli che stanno sopra per esorcizzare la ribellione di quelli che stanno sotto.

Credo sinceramente che una profonda riflessione critica dovrebbe cercare di allontanare lo sguardo dall'ipnotico carosello della classe politica e guardare ad altre realtà.

Che cosa hanno da perdere? In ogni caso, avranno più argomenti per auto-costituirsi come  "l'unica alternativa possibile". Dopo tutto, le altre e gli altri sono così piccoli e (uffa!) così radicali.

Anche se a volte riescono a vedere ..…

Che l'eroico lavoro di collettivi anarchici e libertari per sottrarsi alla logica del mercato capitalista è effetto e causa di un pensiero radicale. E che il futuro scommette principalmente sul pensiero radicale. Cosicché farebbero bene a guardare con rispetto quel variopinto modo di avere identità propria: i piercing, i tatuaggi, le chiome multicolore e tutti quegli accessori che tanto gli fanno orrore.

O la lotta di organizzazioni sociali di sinistra indipendenti che scelgono di organizzare autisti, mini-micro-nano commercianti (...), invece di organizzare automobilisti, camere di commercio ed associazioni di categoria, e che possono rendere conto di cambiamenti importanti delle loro condizioni di vita. E non grazie all'assistenzialismo elettorale, ma attraverso l'organizzazione collettiva con progetti immediati, mediati e a lungo termine. Si mantengono indipendenti e così resistono.

O la leggendaria resistenza dei popoli originari. Se c'è qualcuno conosce dolore e lotta, sono loro.

O la degna rabbia delle madri e dei genitori di assassinat@, desaparecid@s, detenut@. Perché farebbero bene a ricordare che in questo paese non succede niente… fino a che le donne non decidono che succeda.

O l'indignazione quotidiana di opera@, impiegat@, contadin@, indigen@, ragazz@ di fronte al cinismo dei politici, senza distinzione di colore.

O la dura lotta delle lavoratrici e dei lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti nonostante, loro sì, avere contro una gigantesca campagna mediatica, repressione, prigione e minacce e vessazioni.

O la tenace lotta per la libertà de@ prigionier@ politic@ e la presentazione in vita dei desaparecidos.

O no? La democrazia che loro vogliono non è altro che un'amnesia amministrata a convenienza? Si seleziona cosa vedere, e così si sceglie che cosa dimenticare?

 

III. - L'INDIVIDUO CONTRO IL COLLETTIVO?

Nella sua missiva, Don Luis, lei tocca il tema dell'individuo e del collettivo. Una vecchia discussione di quelli che stanno sopra li contrappone, e l'hanno già usata per fare l'apologia di un sistema, il sistema capitalista, rispetto alle alternative che nascono in sua opposizione.

Collettivo, ci dicono, cancella l'individualità, la soggioga. Quindi, con un rozzo balzo teorico, si cantano le lodi del sistema dove, si ripete, qualunque individuo può diventare ciò che è, buono o cattivo, perché esiste la garanzia di libertà.

Mi rendo conto che questo concetto di "libertà" è qualcosa su cui bisognerebbe andare più a fondo, ma forse sarà in un'altra occasione, per ora torniamo all'individuo… o individua, secondo il caso o cosa.

Il sistema canta le lodi dell'individuo che sta sopra o di quello che sta sotto.

Di quello che sta sopra perché risaltando la sua individualità, buona o cattiva, efficiente o inefficiente, brillante od oscura, occulta la responsabilità di una forma di organizzazione della società. Così, abbiamo individui governanti cattivi… o più cattivi (scusate, non ne ho trovato nessuno che mi permettesse di dire "o buoni"), idem per individui di potere economico, eccetera.

Se l'individuo che sta sopra è perverso, volgare, crudele e ostinato (lo so, sembra il profilo di Felipe Calderón Hinojosa), quello che bisogna fare è eliminare questo individuo cattivo e mettere al suo posto un individuo buono. E se non ci sono individui buoni, allora il meno peggio (lo so, sembra che stia ripetendo lo slogan elettorale di 5 anni fa e che sta per essere riciclato).

Il sistema, cioè, la forma di organizzazione sociale, resta intatta. O soggetta alle variazioni permesse. Cioè, si possono fare alcuni cambiamenti, ma senza che cambi la cosa fondamentale: pochi che stanno sopra, molti che stanno sotto, e quelli che stanno sopra ci stanno a costo di quelli che stanno sotto.

Si plaude e si ammira l'individuo che sta sotto, perché la ribellione individuale non è in grado di mettere in serio pericolo il funzionamento di quella forma di organizzazione sociale. O lo si ridicolizza ed attacca, perché l'individuo è vulnerabile.

Mi permetta dunque un arbitrio retorico: diciamo che le aspirazioni fondamentali di ogni essere umano sono: vita, libertà, verità. E che forse si può parlare di una gradualità: miglior vita, più libertà, maggiore conoscenza.

È possibile che l'individuo possa raggiungere in pienezza queste aspirazioni e le sue rispettive gradualità a livello collettivo? Noi crediamo di sì. In ogni caso, siamo sicuri che non può raggiungerli senza il collettivo.

"Dove, con chi, contro che cosa?". Queste, diciamo noi, sono le domande la cui risposta definisce il posto dell'individuo e del collettivo in una società, in un calendario ed una geografia precisi.

E non solo. Definiscono inoltre la pertinenza della riflessione critica.

Prima ho detto che queste riflessioni collettive non pretendono di arrivare alla verità in generale, ma vogliono allontanarsi dall'unanime bugia che ci vogliono imporre dall'alto.

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Solo qualche parola sul lavoro e i sacrifici che ora sembrano solo di individui solitari.

A chi critica le diverse iniziative che, ancora disseminate, nascono dal dolore sociale, bisognerebbe ricordare che, giudicando e condannando chi fa qualcosa, assolve chi non fa niente.

Perché distruggere l'arbitrio, disorganizzare la confusione, fermare la guerra, sono compiti collettivi.

 

 

IV. – COSA ACCADRÀ.

Il mondo come ora lo conosciamo sarà distrutto. Sconcertati e malconci, non potranno rispondere niente ai propri vicini quando gli domanderanno "Perché?"

Prima, ci saranno mobilitazioni spontanee, violente e fugaci. Poi un riflusso che permetterà loro di tirare un respiro di sollievo ("pfuiii! è passata!"). Ma, poi arriveranno nuove sollevazioni, ma organizzate, perché vi parteciperanno collettivi provvisti di identità.

Allora, vedranno che i ponti che hanno distrutto, credendo che fossero stati costruiti per aiutare i barbari, non solo sarà impossibile ricostruirli, ma si accorgeranno che quei ponti c'erano anche per essere aiutati.

E loro diranno che verrà un'epoca di oscurantismo, ma non sarà altro che semplice rancore, perché la luce che volevano fermare e gestire non servirà assolutamente a quei collettivi che hanno fatto luce propria, e con essa ed in essa camminano e cammineranno.

Il mondo non sarà più lo stesso mondo. Nemmeno sarà migliore. Ma si sarà dato una nuova opportunità di essere il luogo in cui sia possibile costruire la pace con lavoro e dignità, e non un continuo andare contro corrente in un incubo senza fine.

Allora, messo in poesia, in una scritta su un muro distrutto si leggeranno le parole di Bertold Brecht:

Voi, che emergerete dalla marea nella quale noi siamo annegati, ricordate quando parlate delle nostre debolezze, anche i tempi bui ai quali voi siete scampati. Abbiamo camminato, cambiando più spesso i paesi delle scarpe, attraverso le guerre di classe, disperati, quando c'era solo ingiustizia e nessuna rivolta. Eppure sappiamo che anche l'odio verso la bassezza distorce i tratti del viso. Anche l'ira per le ingiustizie rende la voce rauca. Purtroppo, noi, che volevamo preparare il terreno per la gentilezza non potevamo essere gentili. Ma voi, quando sarà venuto il momento in cui l'uomo sarà amico dell'uomo, ricordate noi con indulgenza.

 

Bene Don Luis. La saluto e che non vinca di nuovo l'immobilismo.

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Aprile 2011

 

 

P.S. - E per concludere questa missiva, la morte è arrivata un'altra volta col suo imprevisto passo. Felipe Toussaint Loera, un cristiano di quelli che credono nella necessità della giustizia terrena, se n'è andato un pomeriggio di questo caldo aprile. Di Felipe e di altr@ come lui abbiamo parlato in testi recenti. Egli è stato ed è parte di quella generazione di uomini e donne che sono stati dalla parte degli indigeni quando non erano ancora di moda, ed anche quando non lo erano più. Lo ricordo in una delle riunioni preparatorie dell'Altra Campagna, nel 2005, mentre ratifica il suo impegno nell'inscrivere la sua storia individuale nella storia di un collettivo che rinasce più volte. Salutiamo la sua vita, perché in vita, alle domande "dove?, con chi?, contro che cosa?" Felipe ha risposto: "in basso, con gli indigeni che lottano, contro il sistema che li sfrutta, li spoglia, li reprime e li disprezza". Tutte le morti di sotto addolorano, ma ci sono alcune che dolgono più da vicino. Con quella di Felipe, è come se ci fosse mancato qualcosa di molto nostro.

 

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/11/sci-marcos-de-la-reflexion-critica-individus-y-colectivs-carta-segunda-a-luis-villoro-en-el-intercambio-espistolar-sobre-etica-y-politica/

 

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)

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