giovedì 14 aprile 2011

SupMarcos: Seconda lettera a Luis Villoro - Parte 1/2

 

Alla pagina http://chiapasbg.wordpress.com  la versione in .pdf in italiano e spagnolo.


DELLA RIFLESSIONE CRITICA, INDIVIDUI E COLLETTIVI

(Seconda Lettera a Luis Villoro nell'Interscambio Epistolare su Etica e Politica)

Aprile 2011

"Se in cielo c'è unanimità, riservatemi un posto all'inferno"

(SupMarcos. Istruzioni per la mia morte II)

 

I. - LA PROSA DEL TESCHIO

 

Don Luis:

Salute e saluti maestro. Speriamo veramente che stia meglio di salute e che la parola sia come quei rimedi casalinghi che alleviano anche se nessuno sa come.

Mentre inizio queste righe, il dolore e la rabbia di Javier Sicilia (lontano per distanza ma da sempre vicino per ideali), si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C'è d'aspettarsi e dà speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola e azione, riesca a radunare le rabbie e i dolori che si moltiplicano sui suoli messicani.

Di don Javier Sicilia ricordiamo le critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità indigene zapatiste e la sua ostinazione nel ricordare periodicamente, alla fine della sua colonna settimanale sulla rivista messicana PROCESO, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.

La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia privata che l'ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua voce accorpi, che non guidi, le ignorate voci di indignazione.

E succede anche che intorno alla sua figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della politica dell'alto, per i quali una morte vale solo se aggiunge o toglie nei loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro la rappresentatività.

Si scopre un nuovo assassinio? Allora bisogna vedere come questo impatta la puerile contabilità elettorale. Là in alto interessano le morti se possono incidere sull'agenda elettorale. Se non si possono capitalizzare nei sondaggi e nelle tendenze di voto, allora tornano nel lugubre conto dove le morti non interessano più, anche se sono decine di migliaia, perché tornano ad essere una questione individuale.

Nel momento di scriverle queste parole, ignoro i passaggi di questo dolore che convoca. Ma il suo reclamo di giustizia, e tutti quelli che si sintetizzano in questo reclamo, meritano il nostro rispetto e sostegno, anche se con il nostro essere piccoli ed i nostri grandi limiti.

Nell'andirivieni delle notizie su quell'evento, si ricorda che don Javier Sicilia è un poeta. Forse per questo la sua persistente dignità.

Nel suo stile molto particolare di guardare e spiegare il mondo, il Vecchio Antonio, quell'indigeno che è stato maestro e guida per tutti noi, diceva che c'erano persone capaci di vedere realtà che ancora non esistevano e che, siccome non esistevano nemmeno le parole per descrivere quelle realtà, allora dovevano lavorare con le parole esistenti e sistemarle in un modo strano, in parte canto e in parte profezia.

Il Vecchio Antonio parlava della poesia e di chi la fa. (Io aggiungerei di chi la traduce, perché anche le traduttrici e i traduttori della poesia che parla lingue lontane devono essere molto creatrici e creatori di poesia).

I poeti, le poetesse, vedono più lontano o vedono in altro modo? Non lo so, ma cercando qualcosa che, dal passato, parlasse del presente che ci fa male e del futuro incerto, ho trovato questo scritto di José Emilio Pacheco, che tempo fa mi mandò un mio fratello maggiore e che viene a proposito perché nessuno capisca:

 

Prosa del Teschio

Come il demonio dei Vangeli il mio nome è Legione. Sono te perché sei me. O sarai perché fui. Tu ed io. Noi due. Voi, gli altri, gli innumerevoli voi che si risolvono in me.

(…)

Poi fui, al punto di trasformarmi in luogo comune, simbolo di saggezza. Perché la cosa più saggia è anche la più ovvia. Siccome nessuno vuole guardarlo in faccia non sarà mai superfluo ripeterlo: Non siamo cittadini di questo mondo ma passeggeri in transito per la terra prodigiosa e intollerabile. Se la carne è erba e nasce per essere tagliata, sono per il tuo corpo quello che l'albero è per la prateria: non invulnerabile, neppure durevole, ma materiale consistente o resistente. Quando tu e tutti i nati nel vuoto del tempo che ti fu dato in prestito, terminerete di rappresentare il vostro ruolo in questo dramma, questa farsa, questa tragica e buffa commedia, io rimarrò per lunghi anni: scarno disincarnato. Serena smorfia, volto segreto che ti rifiuti di guardare (togliti la maschera: in me troverai il tuo vero volto), benché lo sai intimo e tuo e che sempre ti accompagna. E porta dentro, in fugaci cellule che ogni istante muoiono a milioni, tutto ciò che sei: il tuo pensiero, la tua memoria, le tue parole, le tue ambizioni, i tuoi desideri, le tue paure, i tuoi sguardi che attraverso la luce erigono l'apparenza del mondo, il tuo allontanamento o intendimento di ciò che realmente chiamiamo realtà. Quello che ti eleva al di sopra dei tuoi dimenticati simili, gli animali, e quello che ti pone sotto di essi: il segno di Caino, l'odio verso la tua specie, la tua capacità bicefala di fare e distruggere, formica e tarlo.

(…)

Perché vengo con voi ovunque. Sempre con lui, con lei, con te, aspettando senza protestare, aspettando. Degli eserciti dei miei simile si è forgiata la storia. Delle mie polveri è impastata la terra.

(…)

Dunque, chi lo direbbe, io - maschera della morte - sono il più profondo dei tuoi segni di vita, la tua impronta finale, la tua ultima offerta di spazzatura al pianeta che non sta più in sé stesso per tanti morti. Sebbene perdurerò solo per breve tempo, in ogni caso molto superiore a quello che hanno concesso a te.

(…)

Ogni bellezza ed ogni intelligenza giacciono in me, e mi ripudi. Mi vedi come segno della paura dei morti che si rifiutano di essere morti, o morte pura e semplice: la tua morte. Perché posso venire a galla solo col tuo naufragio. Appaio solo quando hai toccato il fondo. Ma ad una certa età mi insinuo nei solchi che mi disegnano, nei capelli che condividono il mio consunto biancore. Io, il tuo vero volto, la tua apparenza ultima, il tuo viso finale che ti rende Nessuno e diventa Legione, oggi ti offro uno specchio e ti dico: Contemplati.

 

(José Emilio Pacheco, "Prosa del Teschio", da "Fine di secolo ed altre poesie", Messico, Fondo de Cultura Económica / Secretaría de Educación Pública, Lecturas Mexicanas No. 44, 1984, pp. 114-117)

 

II. - LA PERTINENZA DELLA RIFLESSIONE CRITICA.

"Quando l'ipocrisia comincia ad essere di pessima

qualità, è ora di cominciare a dire la verità"

Bertold Brecht.

La guerra dell'alto prosegue, e col suo passo di distruzione si vorrebbe anche che tutti incomincino ad accettare quest'orrore quotidiano come se fosse qualcosa di naturale, qualcosa di impossibile da cambiare. Come se la confusione imperante fosse premeditata e volesse democratizzare una rassegnazione che immobilizza, che conforma, che sconfigge, che arrende.

In tempi in cui si organizza la confusione e si esercita coscientemente l'arbitrio, è necessario fare qualcosa.

E qualcosa è tentare di disorganizzare questa confusione con la riflessione critica.

Don Luis, come potrà vedere nelle missive che le allego, si sono uniti a questo scambio di riflessioni su Etica e Politica, Carlos Antonio Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano e Gustavo Esteva. Speriamo che altri pensieri si aggiungano in questo spazio.

In questa seconda nostra lettera, vorrei toccare alcuni dei punti che lei affronta nella sua risposta e che, direttamente o indirettamente, segnalano anche i nostri corrispondenti che lanciano le loro idee da Città del Messico, Oaxaca e Uruguay.

Tutti affrontano, con le proprie particolarità, cioè, nel calendario e geografia propri, questo tema della riflessione critica. Sono sicuro che nessuno di noi (lei, loro, noi) pretendiamo di stabilire verità assolute. Il nostro proposito è lanciare il sasso, le idee, nello stagno apparentemente tranquillo dell'attuale ambito teorico.

La similitudine del sasso che ho usato, va oltre la retorica della superficie momentaneamente agitata dal sasso. Si tratta di arrivare al fondo. Di non accontentarsi dell'evidente, ma di attraversare con irriverenza lo stagno immobile delle idee ed arrivare al fondo, sotto.

Nell'epoca attuale la riflessione critica è apparentemente stagnante. E dico apparentemente se ci si attiene a quello che viene presentato come riflessione teorica sui media stampati ed elettronici. E non si tratta solo del fatto che quello che è urgente abbia soppiantato ciò che è importante, in questo caso, i tempi elettorali la distruzione del tessuto sociale.

Si dice, per esempio, che l'anno che ci preoccupa, il 2011, è un anno elettorale. Bene, lo sono stati anche tutti gli anni precedenti. Inoltre, l'unica data che non è elettorale nel calendario di quelli che stanno sopra è… il giorno delle elezioni.

Ma ormai si vede che l'immediatezza difficilmente può distinguere tra quello che è accaduto ieri da quello che è successo 17 anni fa.

Salvo le "fastidiose" interruzioni dovute alle catastrofi naturali ed umane (perché i crimini quotidiani di questa guerra sono una catastrofe), i teorici dell'alto, o i pensatori dell'immediato, tornano sempre sul tema elettorale… o fanno equilibrismi per legare qualunque cosa al tema elettorale.

La teoria spazzatura, come il cibo spazzatura, non nutre, intrattiene soltanto. E di questo sembra trattarsi se ci atteniamo a quello che appare sulla stragrande maggioranza dei quotidiani e delle riviste, così come nelle pagine degli "specialisti" dei media elettronici del nostro paese.

Quando questi dispensatori di teoria spazzatura guardano in altre parti del Mondo e deducono che le mobilitazioni che abbattono i governi sono il prodotto di telefoni cellulari e reti sociali, e non di organizzazione, capacità di mobilitazione e potere di convocazione, esprimono, oltre ad un'estrema ignoranza, il desiderio inconfessato di ottenere, senza sforzo, il loro posto nella "STORIA". "Twitta e guadagnerai i cieli" è il loro moderno credo.

E, come i "prodotti miracolosi", questi esaltatori dell'Alzheimer teorico e politico, promuovono soluzioni facili per l'attuale caos sociale.

A nessuno accade che, come si vede nelle pubblicità, se usa la tale lozione per uomo o il tal profumo per donna, si troverà istantaneamente in Francia, ai piedi della Torre Eiffel, o nei bar della Londra di chi sta in alto.

Ma, come i prodotti miracolosi che promettono di far perdere peso senza fare esercizio fisico e astenersi dal cibo, e ci sono persone che ci credono, c'è anche chi crede che si possa avere libertà, giustizia e democrazia solo tracciando un segno su una scheda a favore della permanenza del Partito Azione Nazionale, dell'arrivo del Partito della Rivoluzione Democratica o del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale.

Quando queste persone sentenziano che esiste una sola opzione, la via elettorale o la via armata, non solo dimostra la sua mancanza d'immaginazione e di conoscenza della storia nazionale e mondiale. Ma anche, e soprattutto, torna a tessere la trappola che è servita da pretesto per l'intolleranza e l'esigenza di unanimità fascista e retrograda da parte di uno o un altro schieramento dello spettro politico.

"Brillante" analisi questa che pone l'urgenza di definizioni… rispetto alle opzioni che impongono quelli che stanno in alto.

Sulle false opzioni pone molto bene l'allerta Gustavo Esteva, nel suo testo, e credo che lanci un argomento speciale in questo scambio a distanza.

Invece di cercare di imporre i loro deboli assiomi, potrebbero scegliere di discutere, di argomentare, di tentare di convincere. Invece no. Si trattò e si tratta di imporre.

Credo sinceramente che a loro non interessi discutere sul serio. E non solo perché non hanno argomenti di peso (fino ad ora è tutto solo un elenco di buone intenzioni e ingenuità che sfiorano il patetico, dove il Partito Azione Nazionale dimostra che lo "stile Fox" non è un caso isolato, ma tutta una scuola di dirigenti in quel partito; dove il Partito Rivoluzionario Istituzionale predica l'autismo rispetto alla propria storia; dove il variopinto mondo dell'autodefinita sinistra istituzionale vuole convincere con slogan in mancanza di argomenti), ma perché non si vuole cambiare niente di fondo.

È perfino comico vedere gli equilibrismi per compiacere le masse (sì, le disprezzano ma ne hanno bisogno) e contemporaneamente corteggiare senza pudore il potere economico.

Per loro si tratta esattamente di agire nel ristretto margine di manovra delle macerie dello Stato Nazionale in Messico, per tentare di esorcizzare una crisi che, quando scoppierà, spazzerà via anche loro, cioè, la classe politica nel suo insieme. Insomma: per loro è una questione di sopravvivenza individuale.

La vocazione di informatori, delatori e gendarmi calza bene a questa spazzatura teorica che ha animato l'isteria intellettuale ed artistica, prima contro il movimento studentesco del 1999-2000 e del suo Consiglio Generale di Sciopero, e poi contro tutto quello che non accettava le direttive di questo covo di poliziotti del pensiero e dell'azione.

Si vuole stabilire una differenziazione che è piuttosto un esorcismo: ci sono loro, i perbene, cioè, i civilizzati, e ci sono gli altri, i barbari.

Nella loro esile struttura teorica ci sono, da una parte (sopra), gli individui brillanti, saggi, misurati, prudenti; e dall'altra parte (sotto) c'è la massa oscura, ignorante, disordinata e provocatoria.

Di là: i prudenti e maturi usurpatori della rappresentatività delle maggioranze.

Di qua: le minoranze violente che rappresentano solo sé stesse.


.......... segue


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