martedì 1 gennaio 2008

Insegniamo ai nostri figli a non derubare il popolo' -La Jornada 31dic07


La Jornada – Lunedì 31 dicembre 2007
"Noi insegniamo ai nostri figli a non derubare il popolo", dichiarano a La Garrucha

Donne in lotta per "un mondo dove tutte abbiamo un pane in mano"

Durante l'incontro internazionale dichiarano: "siamo molte madri che continuereno a parlare in diverse parti del mondo. La lotta zapatista è la nostra speranza di vita"
Hermann Bellinghausen (Inviato)
La Garrucha, Chis., 30 dicembre. "Un mondo dove siamo tutte con un pane in mano", riassume questa mattina Esmeralda, una delle quattro madri che parlano per il caracol Madre de los caracoles del mar de nuestros sueños. E si dichiara "per un mondo dove ci siano le nuove donne ed i nuovi uomini". Si chiama utopia? 
"Noi insegniamo ai nostri figli a non derubare il popolo del Messico e a non fare inganni per avere denaro. Insegniamo ai nostri giovani a svolgere incarichi nei villaggi senza ricevere stipendio." La voce di Esmeralda risuona con decisione nell'auditorium di La Garrucha. Centinaia di donne, tra zapatiste con passamontagna e donne in visita dal Chiapas, dal resto della Repubblica e dai cinque continenti, ascoltano le madri tojolabales e tzeltales.
"Siamo circondati da soldati e paramilitari nelle nostre comunità. Il malgoverno fa pattugliamenti nelle nostre montagne", prosegue Esmeralda. "Siamo molte madri che continueremo a parlare in molte parti del mondo. La lotta zapatista è la nostra speranza di vita". 
Ora sono commissarie, consigliere, rappresentanti, membri delle giunte di buon governo (JBG). "Facciamo il lavoro con coscienza. Non cerchiamo posti per beneficio personale. I nostri figli lavorano con noi affinché imparino". La pedagogia casalinga delle ribelli si dipana con semplicità quasi eroica davanti a donne indigene di Guatemala, Ecuador e Oaxaca, e molte altre giunte nella selva Lacandona da Senegal, Nuova Zelanda, Australia, Repubblica Dominicana, Giappone o Cuba. Contadine di Francia, Canada, Corea. Femministe ed attiviste di tutta America e buona parte d'Europa.
"Sono molti le morti che ci deve il malgoverno", sentenzia Esmeralda che cede il passo a Marisol che dichiara: "Come mamme insegniamo la democrazia. A non dover chiedere permesso al governo. Fin da piccoli insegniamo ai nostri figli i diritti di uomo e donne. Li educhiamo affinché si faccia la rivoluzione e non siamo mai dimenticate". 
Un'altra, Elizabeth, descrive altri insegnamenti ai suoi bambini, come "rispettare gli adulti ed i loro pari. Insegniamo loro di questa lotta perché non finisca, e del nostro esercito. Le truppe di insurgentas ed insurgentes sono le nostre stesse comunità, i nostri figli e fratelli". 
La quarta madre, Griselda, si rivolge alle prigioniere politiche e all'altra campagna e dichiara superato lo sfruttamento che subivano i popoli indigeni "prima della nuova storia". Ciò nonostante, dichiara che "c'è sempre più povertà qui in Chiapas; è diventata più grave nei mesi recenti". "Le sorelle delle campagne vengono ingannate dal governo e dai partiti politici. Offrono loro denaro, le circuiscono, le ingannano, danno loro il denaro dei programmi ed i loro mariti se lo prendono per bere, come fanno col Procampo.
Intanto l'utopia, o come si chiami, delle donne in carica ed al comando segue il suo corso in questo caracol sovversivo. Interrogata sul "ritorno alla normalità" previsto per martedì, secondo i cartelli, doña Laura, che vende brodo di pollo, tamales di mais scuro con fagioli neri o mole, ride: "Ritorniamo alla normalità, ma adesso la normalità sarà diversa". 
Nelle cucine comuni, uomini della comunità, miliziani e perfino autorità dei diversi municipi autonomi maneggiano pentole di fagioli e brodo, impastano il mais, vanno e vengono dalle lavanderie con piatti e pentole. Alcuni, entrati nel personaggio, indossano passamontagna e fiammanti grembiuli con scritte come "pomodoro" o "EZLN" scritto con vernice rossa.
Tra i grandi striscioni appesi nell'auditorium ed attorno al nuovo palco di popolo (in versione zapatista) che alludono alla comandante Ramona, alle figlie del mais, alle contadine della terra e quelli di dimensione cosmica, uno grande riporta integralmente la Legge Rivoluzionaria delle Donne, mentre un gruppo di donne della città ha preparato un altro striscione con la stessa legge ricamata a mano. 
Le oltre 40 delegate degli Altos, in maggioranza tzotziles, espongono anche il loro processo per accedere all'educazione e diventare promotrici. E la salute. E la possibilità di accedere, come donne, al diritto alla terra. Lo spazio di questo incontro delle zapatiste con le donne del mondo non sembra essere vissuto con un'ideale da amazzone, ma con la messa in pratica, diciamo, di un significativo contrappeso al testosterone. E nell'aria si sente. Per esempio, non sono poche le coppie di lesbiche in visita che si comportano con naturalezza senza che le indigene mostrino stupore.
C'è da supporre che qualche impronta farà fare un passo avanti alle indigene zapatiste che nei mesi scorsi hanno seguito un processo di organizzazione che va oltre il Terzo Incontro Internazionale con i Popoli del Mondo. Chissà come faranno domani questi ragazzi col grembiule a posare mestoli, comal e scope. 
Leidi, in rappresentanza delle commissarie della regione del caracol di La Realidad e "facendo uso della parola di tutte loro", racconta del suo lavoro come autorità contadina: "siamo noi a decidere le date e l'ora per bruciare le milpas ed a fare attenzione affinché il fuoco non raggiunga le montagne o le altre coltivazioni. Vediamo la distruzione degli alberi che sono la ricchezza della montagna. Si esige che per ogni albero abbattuto se ne pianti un altro. Questo insegniamo ai nostri figli".
Ed aggiunge altre funzioni delle commissarie: "organizziamo la pulizia delle strade principali ogni due mesi facendo accordi prima con l'altra comunità raggiunta dalla strada. Lavoriamo collettivamente le terre recuperate ed il ricavato della vendita lo usiamo anche per pagare i trasporti delle commissioni che devono andare a fare accordi con i consigli municipali". 
A conclusione di ognuna delle quattro sessioni giornaliere, circa 200 zapatiste con passamontagna, choles, tzeltales, tzotziles, tojolabales, zoques e mames, si mettono in fila e marciano attraverso il caracol verso i loro refettori, mentre il gruppo musicale le saluta con un prolungato appaluso.
Questo mezzogiorno, circa 40 zapatiste hanno interrotto la marcia per inscenare una "rappresentazione" in cui "la povertà" (una di loro sotto uno striscione immenso) "gridava" per i dolori del parto mentre da sotto uscivano donne con cartelli con le scritte "Esercito Zapatista", "municipi autonomi", "accampamenti di Pace", "JBG", "altra campagna", "collettivi". È la prima volta che lo zapatismo rappresenta sé stesso come un parto.
(Traduzione Comitato Chiapas "Maribel" – Bergamo)

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