sabato 19 gennaio 2008
da La Jornada Il calendario chiapaneco di Carlos Fazio
lunedì 14 gennaio 2008,
Nel dicembre scorso, in "Sentire il rosso. Il calendario e la geografia della guerra", il subcomandante Marcos dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale avvertiva che tra un assordante silenzio in Chiapas si avvicinava una nuova fase del conflitto armato. La militarizzazione del paese sotto il regime di Felipe Calderón raggiunge in Chiapas la sua massima espressione, poiché lì si concentrano in maniera combinata le diverse espressioni delle forze coercitive dello Stato messicano: Esercito, Marina e le diverse polizie a cui si somma ora la ripresa di antiche strutture paramilitari e la presenza in loco di elementi dei "corpi di pace" statunitensi.
Nel contesto di uno schema di guerra contrainsurgente che sarà rafforzato quando il Congresso degli Stati Uniti approverà gli "aiuti" militari per la messa in pratica della cosiddetta Iniciativa Mérida, tale concentrazione di potere offensivo potrebbe fare di questo stato del sudest messicano il nuovo laboratorio per sperimentare il progetto di "sicurezza democratica" del calderonismo. Imitazione del Plan Colombia, il progetto del Pentagono per il Messico ha in Álvaro Uribe e nel suo governo il modello da seguire. Ricordiamo che in campagna elettorale, Calderón, come Uribe, si presentò come il candidato dalla "mano dura" e che dal primo secondo della sua fraudolenta imposizione a Los Pinos, il primo dicembre 2006, si è circondato di militari facendo un discorso bellicista.
Occultata dal bombardamento mediatico che ha accompagnato la liberazione di Clara Rojas e Consuelo González - l’altra guerra dietro la guerra: quella della propaganda - la "formula Uribe", adottata da Calderón sotto pressione di Washington, racchiude alcuni irrefutabili vantaggi che si presentano come obiettivi da raggiungere per il messicano.
Per cominciare, mediante la violenza ed il terrore ed un uso manicheo della propaganda che anteponeva ai "violenti sovversivi" la loro controparte "salvatrice", le istituzioni armate, durante il suo primo mandato Uribe ha ottenuto una unanimità pericolosa, incentrata nel marketing dell’immagine e della guerra psicologica, che ha rafforzato il culto del capo dell’Esecutivo e del potere presidenziale ed ha provocato l’indebilimento progressivo dei poteri Legislativo e Giudiziario, mentre per una corsia parallela si potenziava la forza militare.
Appoggiato sullo stato di shock interno, una misura costituzionale di carattere eccezionale che ha tagliato le garanzie civili e politiche, Uribe ha costruito un regime di sicurezza permanente basato su uno statuto antiterrorista che gli ha dato gli strumenti giuridici ed operativi per la guerra contrainsurgente, salvaguardando l’impunità delle forze armate.
Come sta accadendo in Messico dalla fase finale del foxismo con le repressioni violente ad Atenco e Oaxaca, la logica che permea la politica di "sicurezza democratica" di Uribe - benedetta nel 2002 dal cardinale primate della Colombia, Pedro Rubiano, allora presidente della Conferenza Episcopale cattolica - poggia nella vecchia dottrina della sicurezza nazionale di stampo statunitense che identifica il "nemico interno" ed abbraccia al cento percento la "guerra al terrorismo" dell’amministrazione Bush.
La similitudine col calderonismo è ineludibile ricordando che nei suoi primi anni di governo Uribe ottenne dal Senato colombiano una riforma costituzionale che permise alle forze militari di fare arresti e intercettare comunicazioni e corrispondenza senza mandato. A sua volta, come copia-carbone della Legge Patriottica statunitense, lo statuto antiterrorista imposto da Uribe era volto alla costruzione di una sovrastruttura statale di chiaro taglio autoritario che ha portato alla militarizzazione larvata della società.
Inoltre, sotto la copertura del Plan Colombia e con fondi milionari della Difesa e del Congresso di Washington, il Pentagono e la comunità dell’intellighentia hanno portato avanti un processo di reingegneria militare nelle forze armate locali che ha incluso la formazione, con la consulenza statunitense e di imprese di "contrattisti" privati (mercenari), di nuovi battaglioni contrainsurgentes di élite in zone sotto controllo della guerriglia o di importanza geoeconomica per lo sviluppo di mega-progetti del capitale multinazionale (sfruttamento industria petrolifera, idroelettrica, agroindustria, canale interoceanico); la ristrutturazione della presenza castrense in aree di pianificazione, logistica, addestramento, indottrinamento, strategia, intelligenza, reclutamento e tecniche di interrogatorio; la fornitura di attrezzature militari, armamento, elicotteri, apparati ed infrastrutture di aviazione per appoggiare voli di aerei spia e di combattimento, fornitura di radar aria-aria e di moderne apparecchiature di comunicazioni e sistemi di immagine infrarossa per operazioni notturne, così come la collocazione di una rete di radar a terra - il cui controllo è condiviso dagli Stati Uniti in tempo reale - disseminati su tutto il territorio colombiano. Inoltre, affine a questa logica bellicista e con la consulenza dell’Agenzia Centrale di Intelligenza (CIA), Uribe ha tentato la riconversione o "normalizzazione" di un vecchio strumento del terrorismo di Stato: i gruppi paramilitari creati dall’esercito e raggruppati poi nelle Unità di Autodifesa della Colombia (AUC).
È nello spettro della tanto reclamizzata "sicurezza democratica" di Uribe che si deve guardare al processo chiapaneco, compresi il marcato incremento dell’attività delle 56 basi militari permanenti dello Stato messicano e la nuova fase di paramilitarizzazione del conflitto, nel contesto di una lotta fino ad ora occultata per il territorio sotto il controllo delle autonomie zapatiste che necessita di essere "liberato" o recuperato per sottometterlo alla logica del mercato.
Sotto l’ombra di Washington, Calderón e l’Iniciativa Mérida sono per il Messico quello che Uribe ed il Plan Colombia rappresentano per il paese sud-americano.
(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
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