lunedì 4 giugno 2012

La disputa per la selva Lacandona


La Jornada – Domenica 3 giugno 2012
 
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 2 giugno. Secondo una ricerca dell'Università Autonoma Metropolitana (UAM) Xochimilco, intorno alle risorse della selva Lacandona ed alla loro gestione esistono due posizioni fondamentali: Chi ritiene che la natura deve essere conservata e non c'è spazio per i gruppi umani, e che luoghi come la Lacandona valgono a partire dalla loro mercificazione, dove le comunità locali hanno poca partecipazione nella presa delle decisioni rispetto alle risorse presenti nei loro. Questa visione conservazionista tende solo a recuperare l'ambito locale, perché si è scoperto che si può commercializzare in uno schema globalizzato: ecoturismo, bioprospezione, monocolture. Progetti di questo tipo sono presentati come opportunità produttive che garantiscono l'attenzione per l'ambiente, ma in realtà quello che perseguono è il saccheggio e lo sfruttamento delle comunità locali.
La seconda posizione sarebbe il contrario, sottolinea la ricercatrice Adriana Gómez Bonilla: È la visione dell'autonomia, la quale critica il neoliberismo e ritiene che devono essere gli attori locali a decidere come utilizzare le risorse, ma soprattutto quali devono essere le strategie per preservarle, e che nello stesso tempo si rispetti il modo in cui interagiscono con l'ambiente.
La disputa tra le due posizioni si fa sempre più accesa perché i conservazionisti hanno fretta, aggiunge Gómez Bonilla. Tuttavia, la resistenza delle comunità zapatiste è maggiore. Davanti ai fallimenti degli sgomberi delle comunità per impadronirsi delle risorse naturali e della loro conoscenza, gli interessi conservazionisti, in complicità col governo messicano, hanno optato per la violenza sotto forma di militarizzazione, col pretesto di un drammatico aumento delle attività criminali, in particolare del narcotraffico.
Un buon esempio della posizione conservazionista è fornito dalla monografia Usumacinta. Bases para una política de sustentabilidad ambiental, pubblicata da Julia Carabias e Javier de la Maza (Natura y Ecosistemas Mexicanos e Instituto Mexicano de Tecnología del Agua, 2011). Parte dalla premessa, fondata, dell'allarmante deterioramento ambientale al quale si deve provvedere con urgenza. Essendo i suoi autori ex funzionari ambientali ed attori attivi nell'attuale gestione della selva Lacandona e Montes Azules, la pubblicazione, impattante per il suo contenuto visivo, può essere interpretata anche come un progetto politico, una proposta per il prossimo governo. 
Riferendosi al bacino del grande fiume mesoamericano, il volume propone linee strategiche di azione immediata per le unità socioambientali della regione selvaggia messicana, dopo l'analisi delle cause del degrado ambientale. Benché citi gli abitanti della zona, si tratta di un'argomentazione istituzionale in continuità con le politiche di conservazione che ha promosso nella zona.
Sebbene in Usumacinta siano assenti i concetti di ecoturismo, bisogna segnalare che l'organizzazione privata Natura, col sostegno del Ministero dell'Ambiente e delle Risorse Naturali, è esattamente il promotore del centro turistico nella laguna di Miramar, già preso in esame dal nostro giornale.
La seconda posizione rispetto alla preservazione della selva alla quale alludee Gómez Bonilla, venendo dal basso, affronta enormi sfide e non poche contraddizioni. Il suo studio (nel volume collettivo Luchas muy otras. Zapatismo y autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas, UAM, Ciesas y Universidad Autónoma de Chiapas, 2011) postula che, riprendendo la terra tra il 1994 e il 1998, gli zapatisti hanno avviato un processo di recupero degli ecosistemi, principalmente il sistema alta selva perennifoglia. Ma è danneggiata, "ci vorrà motlo perché torni ad essere 'montagna', perché qui per molto tempo ci sono state le mucche", dice un abitante del municipio autonomo Ricardo Flores Magón. 
Tra le cause del deterioramento percepite dagli indigeni ci sono i programmi governativi, come quello della Certificazione dei Diritti Ejidales e di Proprietà dei Casolari Urbani (Procede), Oportunidades e Procampo. Prima arrivano nelle comunità quelli del malgoverno che dicono che bisogna accettare il Procede, che porterà vantaggi e che gli indigeni avranno le loro terre in maniera più sicura. Ma non è vero, perché quando avviene la certificazione arriva gente da fuori e compra le terre, e le comunità devono andare via, e quelli che hanno comperato la terra introducono ecoturismo, biocoyotes, palma africana, e con la terra ormai venduta i popoli non possono fare più niente. Alla fine, col Procede le autorità vogliono mettere in conflitto tra loro le comunità e distruggere l'organizzazione. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/03/politica/017n1pol
 

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