giovedì 19 maggio 2011

Sergio Rodriguez Lascano: La classe politica e la guerra(Parte 2/2)


Tutto questo in piena democrazia rappresentativa

Già nel numero precedente avevamo parlato del carattere di Stato d'emergenza che sta acquisendo lo Stato messicano, che lo sta trasformando in uno Stato penale di controllo che ha perso ogni prospettiva di legittimità sociale, a partire dalla mancanza di consenso. Il dominio è diventato crudo, privo di qualsiasi copertura sociale. Per questo, per il potere tutto è guerra.

Ma la cosa peculiare è che tutto questo si svolge nella cornice del sistema di democrazia rappresentativa, con un potere legislativo e giudiziario apparentemente separati dall'esecutivo.

Dalla prospettiva di detta democrazia rappresentativa, nessuno sta presentando un progetto di nazione diversa, non diciamo socialista - che sarebbe chiedere troppo - ma semplicemente alternativo alla politica della terra bruciata che si sta portando avanti contro la società e il paese.

In ultima istanza, se qualcuno vuole un'ulteriore dimostrazione dei limiti di questo sistema rappresentativo, oggi la può trovare in quello che sta accadendo in Messico.

Hanno diviso il paese in amici e nemici. I primi si trovano nel potere politico ed economico, e i secondi sono ogni cittadino al quale si vogliono togliere tutti i diritti, ad eccezione di quello di votare per i suoi carnefici.

Questo sistema consente solo una cittadinanza sotto controllo; per questo il cumulo di leggi che vogliono criminalizzare, non diciamo la protesta sociale, ma chiunque voglia esercitare i propri diritti più elementari come quello del libero transito o quello di fare una festa con gli amici, o uscire di scuola e camminare per le strade, o essere un vero difensore dei diritti umani, o dipingere graffiti, o chiamarsi Reyes, o vivere ad Apatzingán o a Ciudad Mier o a Ciudad Juárez, o quello di non andare negli Stati Uniti, o andare ad una festa, o, perfino consumare uno stupefacente.

Gli unici che hanno diritti sono i membri della classe politica e quelli che appaiono nell'elenco della rivista Forbes.

La democrazia rappresentativa, si presume, ha come base il fatto che il potere è il risultato di un'autorizzazione concessa da tutti e da ognuno degli individui. Questo, ora è chiaro, non è così. Il potere esiste nonostante lo stato di malessere che regna nella società, ed ora governa per i mezzi di comunicazione e per sé stesso.

Prima, il potere rappresentativo esisteva in funzione dell'esistenza dei diritti dell'essere umano. Oggi, questo potere rappresentativo si è trasformato in una brutta caricatura da quando i messicani sono stati espropriati dei propri diritti.

L'obiettivo non è più semplicemente garantire la vendita della forza lavoro, ma il controllo della vita stessa (il biopotere) dei cittadini in quanto tali: di quello che fanno, con chi passeggiano, con chi vanno alle feste, con chi giocano, con chi convivono, con chi si rapportano, con chi fanno l'amore.

In questo senso, si vuole generare l'idea di unanimità, di omogeneità. Non sorprende la campagna a favore del film Presunto colpevole, prodotta e diretta dagli avvocati degli assassini di Acteal. Tutti nella classe politica si sono lanciati nella difesa della libertà di espressione, come se questa fosse in pericolo, quando è completamente inesistente per la stragrande maggioranza della società, e si perseguita un ragazzo che aveva osato presentare un ricorso, mentre non è stato interpellato sull'utilizzo della sua immagine in un documentario che non è vero che semplicemente rifletteva quello che era successo in tribunale, ma rivelava quello che il direttore e l'editore volevano.

E' stato patetico sentire commentatori "progressisti" parlare di qualcuno che strumentalizzava quel ragazzo, perché non poteva essere che uno così ignorante, che aveva fatto solo le elementari potesse presentare un ricorso.

Con un'azione di potere sono stati eliminati i diritti civili di un giovane povero, mentre gli avvocati dei criminali vivevano i loro 15 minuti di gloria. Queste sono le cause di tutta la classe politica. Ed i morti di Acteal? Qui è meglio voltare pagina e non importunare le buone coscienze che controllano i mezzi di comunicazione. Qui abbiamo un buon esempio di quello che in altri paesi è noto come "governanza". Si crea l'immagine che, dalla società civile, esiste un movimento per frenare gli "eccessi" dello Stato e tutti i mezzi di comunicazione si muovono in quella direzione. Lo Stato felice crea un movimento di distrazione. Alla fine, si autorizza l'esibizione del documentario che mostra che la società civile ha vinto, la libertà di espressione è garantita. Nel frattempo, la guerra rade al suolo il paese.

Si può dire lo stesso dei partiti politici, concentrati come sono nel 2012. Tutti sono fuochi artificiali: alleanze sì o no, l'arrivo di Moreira al PRI, la crisi terminale del PRD, le campagne di AMLO ed Ebrard, eccetera.

Nessuno si occupa né si preoccupa dei 35 mila morti, del fatto che il mandante del Nord inonda con armi il territorio nazionale. L'unica cosa che a loro interessa è quello che succede nella propria bottega. Mai prima nella loro storia, la classe politica e le istituzioni statali sono state così inutili come oggi.

"Se prendo uno Zeta lo uccido. Perché interrogarlo?"

Così ha dichiarato il titolare della Sicurezza della città di Torréon, il generale Carlos Viviano Villa Castro. Questa è la filosofia dei militari in questa guerra. Il problema è che con questa dichiarazione è evidente che viviamo in stato di emergenza. Il fermato non richiede un processo, neanche un interrogatorio; la sola cosa da fare è ucciderlo.

A questo si aggiunge che il generale dice che bisogna "avere le palle". E' comprensibile quando si ha il cervello nei genitale, e così, aggiunge: "Io diffido dei poliziotti federali perché non uccidono, arrestano soltanto". Ma, più ancora, basta e avanza che il generale creda che si tratti di uno Zeta per ucciderlo. E questo riguarda i testimoni sotto protezione, le voci, il non fermarsi ad un posto di blocco, ecc. Ed il generale dice che tutto questo fa parte del "codice d' onore".

Stato penale di controllo man mano che si riduce lo Stato sociale: non si tratta più di prevenire o di aiutare, si tratta di infliggere punizioni. Tutti siamo suscettibili di punizione, di morte. La punizione come metodo pedagogico. Come insegnare? Con le pallottole.

Naturalmente, dietro c'è l'obiettiva centrale di questa guerra che come abbiamo già visto non è sconfiggere il narcotraffico, ma distruggere il tessuto sociale. Paralizzare con la paura. Governare attraverso questi strumenti.

Per i mezzi di comunicazione, questi sono i nuovi eroi nazionali, per lo meno li presentano come qualcosa di spiritoso, folcloristico. Dietro, la realtà è che questa è la nuova filosofia del potere. E qui è indispensabile ripeterlo: non è un solo uomo il portatore di questa filosofia, ma l'insieme della classe politica, per azione o per omissione, è comproprietaria di questa struttura politica che si chiama Stato penale di controllo.

L'alternativa può venire solo dal basso

Se, come abbiamo detto e dimostrato, a nessuno là in alto importa niente di questo problema, ma sono la causa dello stesso; la sola alternativa reale, più reale che mai, verrà dal basso.

Seguendo le orme dei ragazzi che a Ciudad Juárez hanno deciso di controllare la loro paura ed uscire per strada a mostrare il corpo, comprendendo qualcosa che in prima istanza è complicato capire: che è lo Stato a causare il terrore; che questo è responsabile di aver messo la società civile nella situazione in cui si trova; che non è possibile parlare di due bande, mentre uno, lo Stato, è l'unico responsabile, in teoria, nel garantire la sicurezza dei cittadini.

Seguendo le orme di coloro che, tra i popoli originari, lottano per non permettere che i propri territori si trasformino in zone militarizzate e si perdano tutti i segni d'identità delle comunità.

E, soprattutto, seguendo le orme delle comunità zapatiste che hanno dimostrato, nel momento più terribile del paese, quando sembra che tutto sia ormai terra bruciata, che si può costruire un'altra cosa: una dove i militari non hanno potuto introdurre la loro filosofia di morte; dove lo Stato e la classe politica non sono riuscite ad imporre la loro agenda. Un'altra cosa dove la violenza è esiliata e si impone solo quando i paramilitari del PRI, del PRD o del Partito Verde attaccano su ordine del governatore più popolare del quotidiano La Jornada.

Lì dove non entra la droga, lì dove ciò che avanza è l'educazione, la salute, i progetti agroecologici. Lì, dove si sta costruendo il nuovo che ci permette di avere un punto di riferimento e propaganda in tutto il paese e nel mondo.

Come è stato possibile arrivare a questo?

Una parte della società civile è stata abbagliata dai giochi elettorali. Dice si sia costituito un governo legittimo, ma sembra che a questo governo i problemi reali della società facciano un baffo, e la sola cosa che ripete, in un interminabile e noioso monologo, è che è necessario prepararsi per il 2012. E, mentre si arriva a quell'appuntamento, se ci saranno altri 16 mila morti, anche questi saranno danni collaterali per raggiungere il grande obiettivo (che, d'altra parte, è sempre più remoto).

Mentre in alto si fa questo, in basso, non senza difficoltà, si sono costruite nuove organizzazioni che, indipendentemente dalla loro dimensione, fanno quello che devono fare; ancora una volta possiamo riprendere l'esempio di Ciudad Juárez.

Il malessere di fronte all'epoca in cui viviamo, epoca di morti, desaparecidos e imprigionati; epoca piena di soldati per le strade sempre con le armi spianate; epoca di canaglie che dagli scranni parlamentari si vantano della propria inettitudine e malvagità; epoca in cui, dalle corti, inclusa quella suprema, si dà copertura legale all'estremamente illegale; questa epoca richiede che avanzino le organizzazioni sociali per frenare la mano visibile del crimine che lo Stato sta compiendo. Nuove organizzazioni che guardino le comunità zapatiste e dicano "sì, si può". Organizzazioni sociali che impediscano che questo paese sia raso al suolo dalla politica che dall'alto ha decretato che "tutti sono miei nemici".

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)

 

Intervento di Sergio Rodríguez Lascano in castigliano: http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/11rodriguez.pdf


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