giovedì 12 maggio 2011

Intervento di Gustavo Esteva su Etica e Politica - Parte1/2

 

Scambio Epistolare su Etica e Politica

 

Questione di interezza

Gustavo Esteva

 

Marzo 2011:

Don Gustavo: Saludos. Abbiamo letto uno dei suoi ultimi scritti editi e crediamo di trovarci sulla stessa barca. Per questo vogliamo invitarla a scrivere su questo dimenticato e disdegnato (da chi sta in alto) tema dell'Etica e Politica. Un abbraccio. SupMarcos.

 

Interezza. a. Integrità | b. Rettitudine | c. Forza, costanza, fermezza d'animo.

 

Mi azzardo ad entrare in conversazione. Non voglio interferire. Ma nemmeno posso non farlo: tanto le circostanze come la lettera impongono esigenze etiche. E mi accingo a partecipare sostenuto dalle stampelle prestate da qualche amico - qualcuno vicino e immediato ed altri con la vicinanza data dai libri e dalle incarnazioni delle loro idee.

 

Pensare con la propria testa

Domandando provocatoriamente se pensiamo e perché ci rifiutiamo di farlo, Pietro Ameglio poco tempo fa ha mostrato il modo in cui il rumore a cui siamo continuamente sottoposti ostacola i pensieri e porta ad accettare infantilmente quello che viene affermato con autorità. Evoca Fromm quando segnala che, per ottenere questo risultato, si procede col distruggere ogni immagine strutturata del mondo, riducendola a piccoli pezzettini, ognuno separato dall'altro e sprovvisto di qualunque senso di totalità. I notiziari televisivi, mescolando notizie di massacri o ingiustizie sociali con cronache rosa o sport, illustrerebbero questo dispositivo che ci conduce ad ubbidire all'autorità, a piegarci ai suoi ordini. Per questo Pietro ci chiede di pensare, come condizione per essere liberi. E cita Canetti: "L'uomo libero è quello che ha imparato a liberare gli ordini" e non quello che, come un soldato, "è costantemente in attesa di essi". 1

Arrivo all'argomento, anche prima di mettere le carte in tavola. Mi chiedo, con allarme e preoccupazione, perché milioni di messicani sono in attesa dell'ordine che indicherà loro cosa segnare sulla scheda elettorale l'anno prossimo… Mi domando come potremmo riflettere criticamente su quello che è davvero importante, senza cortine di fumo né fuochi d'artificio.

 

Pensare criticamente

Nella lettera, il sup segue don Luis per mostrare come la filosofia può prendere il posto della religione al fine di giustificare la dominazione e la barbarie, conferendo loro un fine accettabile, e come i mezzi di comunicazione di massa prendono ora il posto della filosofia in questa funzione.  

Riflettendo sulla fine dell'era attuale, in una conversazione con David Cayley, Illich fa riferimento agli annunci pubblicitari che ci inondano di istruzioni e consigli che non sono più trasmessi con delle frasi, ma con icone. Le immagini sono impiegate come argomenti. "Un'icona è una cornice, scelta non da me, ma da un altro per me. Non è il caso di una frase: mediante quella libertà singolarmente bella e inerente al linguaggio che impone al mio interlocutore di aspettare pazientemente che mediti quelle parole nella mia bocca, le mie frasi possono sempre rompere la cornice che tu vuoi imporre loro. L'icona, invece, fissa subito ciò che evoca, producendo una paralisi visiva che immediatamente viene interiorizzata… La rappresentazione visiva, iconica, determina la parola al punto che non si può più pronunciare una senza evocare l'altra". Per Illich, "la guerra del Golfo, quella guerra informatizzata che ha mostrato agli uomini la sua perfetta impotenza e contemporaneamente la sua grande assiduità dagli schermi sui quali la videro" illustra bene la condizione a cui siamo arrivati.

Illich in quell'occasione ricordava che uno dei suoi amici, il linguista tedesco Uwe Pörksen, chiamava quelle icone visiotipi, che sono forme elementari di interazione sociale che, al contrario delle parole, non permettono di formulare una frase. Nascono quando già si sono generalizzati gli "spazi virtuali" che sono apparsi negli anni settanta. "Ogni volta che vediamo un visiotipo lasciamo che la virtualità di cui è portatore ci contamini".

Faccio questo giro perché pensare alla libertà richiede oggi di difenderci attivamente dai visiotipi che ci catturano col loro bombardamento programmato dagli specialisti e formano percezioni generali. Questo sarà sempre più difficile. Siamo in una nuova fase di programmazione. Siccome la guerra ha creato "più gente spaventata che gente insicura", ora si cercherà di far sì che i media "modulino con rigore e intelligenza l'informazione". Così Héctor Aguilar Camín ha spiegato il nuovo decalogo che uniformerà i criteri editoriali dei principali mezzi di comunicazione del paese. Alle 10 del mattino del 24 marzo, i 10 comandamenti dell'Accordo per la Copertura Informativa della Violenza furono presentati su una "catena nazionale volontaria" alla presenza di alti "rappresentanti" della società - lo stesso rettore della UNAM che i dirigenti del Consiglio Messicano degli Industriali, l'Unione Nazionale dei Genitori o il Comitato Centrale della Comunità Ebraica… Felipe Calderón celebrò immediatamente l'Accordo, preso per "non ignorare la violenza che quotidianamente accompagna i messicani in tutti gli ambiti della vita". Gli sembrò "cruciale per consolidare la politica dello Stato in materia di sicurezza". Avrebbe permesso "la gestione dell'informazione legata alla violenza".

Cittadini allarmati, coscienti della nuova minaccia, reagirono immediatamente su twitter contro questa "gestione": "uniformare invece di informare"; "nasce un nuovo cartello della disinformazione"; "meglio che la censura, l'autocensura"; "perché non si senta parlare di massacri prima delle elezioni"… Qualcuno decise di "spegnere la televisione e la radio". Va bene, ma non basta scollegarsi. Per pensare con la nostra testa bisogna arrivare alla riflessione critica. "L'etica critica inizia", scrisse Villoro, come cita il sup, "quando l'individuo si allontana dalle forme di moralità esistenti e si pone domande sulla validità delle sue regole e comportamenti. Può comprendere che la moralità sociale non rispetta le virtù che proclama". Gli zapatisti ci convocano oggi a praticare questa etica critica.

In un momento come questo, dice Jean Robert, una dimensione etica addizionale permette di raggiungere "una nuova comprensione del nostro posto nel mondo e nella storia". Esplorando il suo significato, Jean ricorda cosa diceva Hugo, l'amico di Illich nel secolo XII: "attraverso quello che si dice di fare, si vuole dire qualcosa che si deve fare". Di questo si tratta, in effetti. La guerra zapatista "è una guerra per smettere di essere quello che ora siamo e così essere quello che dobbiamo essere", sottolinea il sup, perché "vuole annullare il terreno della sua realizzazione e le possibilità dei contendenti" (zapatisti compresi), e si riconosce in altri "che anelano un mondo senza eserciti". Se ci arrendiamo, ci fanno essere quello che non siamo. Invece di farci essere, senza senso critico, dobbiamo passare alla condizione in cui quello che facciamo è anche quello che dobbiamo fare.

 

La via armata

"La guerra è pace", "La libertà è schiavitù", "L'ignoranza è forza". Queste erano le parole d'ordine del Partito Interno nel racconto allucinante di Orwell.

Tutti i giorni si ripete che la violenza di ogni tipo scatenata contro di noi non ha altro scopo che "portare tranquillità e sicurezza ai messicani". Così ha detto Felipe Calderón celebrando l'accordo sull'uniformità, la censura e la disinformazione, che sarebbe "pieno rispetto della libertà di espressione e della libertà editoriale".

Sì, ha detto questo.

Orwell ricorse alla sua immaginazione letteraria per avvertirci della strada che seguivano gli Stati del suo tempo - strada che sembrava invisibile benché fosse sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo trasferire il suo avvertimento nella nostra attuale situazione.

Andrés Manuel López Obrador ripete continuamente che le uniche opzioni per accedere al potere politico sono la via armata e l'esercizio elettorale. Siccome la prima sembra essere condannata dalla storia dalla maggioranza dei messicani, secondo lui non ci resta altra scelta che le elezioni. Per questo, contro ogni esperienza, dobbiamo concentrare la nostra energia su quelle del 2012; ora sì, afferma, potremo sconfiggere la mafia politica che si è impadronita del paese.

È vero che la maggioranza dei messicani respinge la violenza. Ma nella sua rappresentazione orwelliana AMLO dissimula che queste opzioni politiche sono diventate una. Felipe Calderón ha adottato la via armata. Incapace di governare con un potere politico che non ha mai avuto - come ha constatato perfino l'ambasciatore statunitense - è ricorso ad esercito e polizia per dimostrare che governava, immagine che i media si sono affrettati a rafforzare. Le elezioni fanno parte del dispositivo. Cambiare killer non modifica la caratteristica dell'arma né la sua funzione.

"Perché - rileva la lettera a don Luis - perché la presunta grande organizzazione nazionale che si prepara affinché nelle prossime elezioni federali vinca un progetto alternativo di nazione, non fa qualcosa adesso? Se pensano di poter mobilitare milioni di messicani a votare per qualcuno, perché non mobilitarli per fermare la guerra e far sì che il paese sopravviva?".

Non cadiamo nella trappola di valutare l'entità e la qualità di questa "organizzazione nazionale", ancora rinchiusa nelle sue beghe di cortile, che si spegneranno solo nel circo mediatico della campagna elettorale. Speculare sulle sue possibilità non sarebbe pensare liberamente. Implicherebbe attenersi agli ordini del Ministero della Verità e del Partito Interno, rifiutarsi di pensare.

Dobbiamo rendere evidente, come dice don Luis, che la moralità attuale non ha le virtù che proclama. Il paese cade a pezzi. "Si sta distruggendo il tessuto sociale su quasi tutto il territorio nazionale". Dalla guerra attuale "non solo ne verranno migliaia di morti.... e lauti  guadagni economici. Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione distrutta, spopolata, irrimediabilmente spezzata". È questo quello che ci sta accadendo. Dobbiamo guardarlo con chiarezza per agire di conseguenza. Queste proposte, invece, sostenendo in maniera equivoca, che non c'è altra strada che le elezioni, ci condannano alla paralisi. Vogliono alimentare illusioni statistiche per inciampare di nuovo nella stessa pietra. Ostacolano la nostra attuale lotta.

È necessario riconoscere fortemente, senza vacillare, senza paura, la condizione in cui siamo. Al margine di qualsiasi discussione teorica e storica sul valore e sul significato della democrazia rappresentativa, le elezioni oggi in Messico non costituiscono un'autentica alternativa politica. Non importa chi vincerà. Sono solo un'altra forma della via armata che prevale nel paese, quella che tiene la quinta parte dei messicani negli Stati Uniti ed esclude gli altri, abbassa le loro condizioni di vita, distrugge i loro ambienti naturali e cancella passo dopo passo le loro libertà.

Le elezioni di 2012 non farebbero largo al cambiamento per ricostruire in pace quello che rimane del paese. Esposte come unica opzione, presuntamente pacifica, non sono altro che un ingrediente in più della guerra scatenata contro di noi. Contribuiscono ad estenderla ed approfondirla. Alzano un muro, nella percezione di milioni di persone, che impedisce loro di costruire un'alternativa reale.  

Alcuni, diceva Foucault, vogliono cambiare l'ideologia senza modificare le istituzioni: sostituire solamente le teste. Altri vogliono riformare le istituzioni senza cambiare l'ideologia. Quella che manca è l'incontro simultaneo tra ideologie e istituzioni. Per questo dobbiamo chiederci in che misura si impone, oggi e qui, quello che esprime con eloquenza Ali Abu Awwad, un giovane palestinese che guida un nuovo movimento nei territori occupati da Israele: "La pace stessa è la strada per la pace…e non c'è pace senza libertà".


.... segue


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