venerdì 29 ottobre 2010

Cideci e la resistenza indigena

 

La Jornada – Martedì 26 ottobre 2010

Cideci e la resistenza indigena

Luis Hernández Navarro

Sono arrivati arroganti e minacciosi a bordo di un veicolo con il logo della Commissione Federale di Elettricità (CFE). Si sono presentati alle porte del Centro Indigeno di Formazione Integrale Fray Bartolomé de Las Casas AC-Università della Terra Chiapas (Cideci-Unitierra Chiapas) per consegnare un documento giudiziario. Erano due uomini e una donna. Uno ha mostrato la credenziale di personale del tribunale federale del distretto di Tuxtla. Ha detto che dovevano consegnare un'ingiunzione perché il centro educativo ha un debito di molti soldi con l'ente parastatale.

Il giorno dopo, altri due furgoni della "società a livello mondiale" sono tornati. Gli occupanti dei veicoli pretendevano, con modi aggressivi, di entrare nella struttura per eseguire la lettura dei contatori. 

Il fatto può sembrare insignificante, solo un altro incidente fra i tanti che si verificano quotidianamente nel paese, e sempre ancora in Chiapas, tra utenti della rete elettrica e la CFE. Tuttavia, non lo è, per due ragioni importanti. In primo luogo, perché Cideci-Uniterra da tempo non è connessa alla rete elettrica. Loro stessi generano da sé l'elettricità che consumano. Secondo, perché il centro educativo è uno dei baluardi della resistenza indigena in Chiapas, uno degli spazi nel quale la società civile internazionale si è incontrata in diverse occasioni con gli zapatisti.

Cideci-Unitierra Chiapas è sia un'istituzione educativa esemplare sia un terreno di ricostituzione indigena privilegiato. È una comunità di comunità indie, uno spazio aperto per condividere saperi, conoscenze e studi, dove si recano giovani, donne e uomini di molte comunità indigene. È nato nel 1989 sotto l'auspicio di Don Samuel Ruiz, vescovo di San Cristóbal.

Le sue installazioni nel municipio di San Juan Chamula sembrano appartenere ad un altro mondo. Aule, biblioteche, laboratori, auditorium, allevamenti, centrali elettriche, dormitori, cucina e caffetteria somigliano ad una missione. Al suo interno regnano un ordine ed una pulizia poco frequenti nei progetti di promozione popolare. La semplicità e l'eleganza della sua architettura conferiscono al centro una dignità impressionante.

Il Cideci ha instaurato accordi accademici con l'Università di Santo Tomás, a Bogotà, Colombia. Funziona come centro universitario di educazione aperta e a distanza per giovani indigeni che hanno conseguito la licenza media, benché sia aperto a tutti quegli adulti che vogliano iniziare o completare i propri studi universitari o che vogliano conseguire un altro diploma. È uno spazio di educazione interculturale informale.

I principi pedagogici che orientano la sua opera sono: "imparare a fare", "imparare ad imparare" e, infine - quella che ritengono essere la parte formativa profonda, la considerazione "dell'altro" nella sua integralità - "imparare ad essere di più".

Il direttore del progetto è il dottor Raymundo Sánchez Barraza, che ha svolto un ruolo centrale nella ormai sciolta Commissione Nazionale di Intermediazione. Chi l'ha conosciuto, scorge in lui un'intelligenza privilegiata ed il suo impegno totale nella causa indigena. Conoscitore profondo del mondo dei popoli originari, la sua formazione è attraversata - tra altre - da tre grandi influenze: Iván Illich, Raimón Panikar ed Immanuel Wallerstein. E' così importante questo autore che l'istituzione ha costituito come uno dei componenti del suo sistema il Centro di Studi, Informazione e Documentazione Immanuel Wallerstein.

Intervistato da Nic Paget-Clarcke (http://www.inmotionmagazine.com/global/rsb_int_esp.html), il dottor Sánchez Barraza spiegava così la chiave del progetto che dirige: "Ci siamo detti, che cosa ha permesso ad alcuni popoli di sopravvivere? E abbiamo studiato alcune esperienze del secolo XVI qui nel nostro paese ed in altri luoghi dell'America Latina, che hanno permesso ai popoli di sopravvivere e resistere, mantenendo la loro identità. [...]Abbiamo guardato all'esperienza di Vasco de Quiroga con gli ospedali della Santa Fe nei villaggi sul lago Pátzcuaro, ispirato lo stesso Vasco de Quiroga dall'utopia di Tommaso Moro. Poi abbiamo visto l'esperienza dei gesuiti in Paraguay, nel sud del Brasile, nel nord dell'Argentina, in Bolivia. Come queste iniziative dall'occidente stesso, con quella vena utopica, permisero a questi popoli, in un certo modo, di resistere, di  conservarsi, di non perdere il fulcro del riferimento identitario di base. Ci siamo detti, lì abbiamo qualcosa da imparare ed il concetto che abbiamo imparato è quello di resistere e sopravvivere".

Bolivar Echeverría, recentemente scomparso, spiegava la ribellione degli indios in Chiapas nel 1994 come parte del non compimento della conquista dei popoli indigeni. Secondo il filosofo, la sollevazione mise in evidenza una situazione storica che è ancora il nostro presente, nella quale si vive presente un processo sia di conquista interrotta sia di meticciato interrotto. Per lui, gli stati borghesi e le repubbliche liberali di tutta l'America Latina proseguono la linea storica della corona spagnola. "Il compito di questi nuovi stati - disse - continua ad essere lo stesso: distruggere le forme di vita indigene".

È in questo contesto che l'aggressione al Cideci (ed alle comunità in lotta in Chiapas) acquisisce senso compiuto. Non si tratta di una provocazione isolata della "impresa di livello mondiale", ma di una cosa molto più grave: è un nuovo anello nella catena dell'offensiva che vuole usurare la resistenza indigena in una delle sue enclavi più importanti.

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)



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