lunedì 4 maggio 2015

Subcomandante Marcos: Luis lo zapatista (3/3)

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UN REGALO IN STILE ZAPATISTA
Un'altra alba. Don Luis, l'allora Tenente Colonnello ed oggi Subcomandante Insurgente Moisés ed io avevamo iniziato la discussione intorno alle 17:00 ora del fronte di combattimento sudorientale. Alle 21:00 il SupMoy si scusò perché doveva andare a controllare le postazioni circostanti.
Il modo di discutere di Don Luis era particolare: mentre altri gesticolano ed alzano la voce, lui sorride vagamente assente. Quando altri parlano solo per slogan, lui dice uno sproposito â€" “Solo per prendere tempo”, dicevo a me stesso.
Di solito quelle discussioni sembravano incontri di scherma. Benché sia superfluo dirlo, il più delle volte mi batteva. Così accadde una certa volta. Don Luis allora rise e disse: “Battuto, ma non distrutto!”. Io mi ricomposi a parole, facendogli notare quanto sarebbe malvisto un filosofo neopositivista che citi, intenzionalmente o meno, la seconda lettera dell'apostolo Paolo ai Corinti. E lui, con sorriso furbo: “e sarebbe ancor peggio che un capo zapatista riconosca la citazione”. Allora si alzò e recitò in tono drammatico: “Siamo tormentati da tutto, ma non angosciati; in difficoltà, ma non disperati; perseguiti, ma non abbandonati; battuti, ma non distrutti” quindi rivolgendosi a me: “e mi stupisco che lei non abbia detto che si tratta del capitolo IV, versetti 8 e 9”.
Ancora dolorante per la batosta dialettica, riposi: “ho sempre pensato che quel testo sembra più un comunicato zapatista che descrive la resistenza, che parte dal Nuovo Testamento”.
“Ah! la resistenza zapatista!”, esclamò con entusiasmo.
Poi: “Sa una cosa Subcomandante? Dovreste aprire una scuola”.
“Non una, tante”, gli dissi.
Erano gli anni 2005-2006, anni prima Don Luis era entrato tra le nostre file e le Giunte di Buon Governo erano impegnate nelle necessità in ambito di salute ed educazione nelle zone, regioni e comunità.
Don Luis allora precisò: “No, non mi riferisco a quelle scuole. Naturalmente, bisogna aprirne molte, senza dubbio. Io mi riferisco ad una scuola zapatista. Non una dove si insegni zapatismo, ma dove si mostri lo zapatismo. Una dove non si impongano dogmi, ma si discuta, si pongano domande, si costringa a pensare. Una il cui motto sia "E tu che fai?".
Veramente l’idea di Don Luis non era originale. L'avevano già abbozzata prima con diversi enunciati, Pablo González Casanova ed Adolfo Gilly.
Ma la nostra idea non era né è insegnare, neppure "mostrare". Ma provocare. Il "Tu che fai?" non richiedeva una risposta, ma sollecitare ad una riflessione.
Proseguo:
La discussione si trasformò in conversazione, nello stesso modo in cui un torrente raggiunge una piana nel suo corso tortuoso e si trasforma in un sereno fluire. Sereno, sì, ma inarrestabile.
Era ormai l'alba. La guardia notturna ci avvertì che Moy era ancora occupato e ci offrì del caffè. Alla mia occhiata Don Luis rispose con un gesto affermativo. Non so nemmeno se realmente Don Luis bevesse caffè, lasciò sempre la sua tazza intatta. Allora l'attribuivo al calore della discussione. Ora mi rendo conto che non gli ho mai nemmeno chiesto se era sua abitudine berlo. Si poteva supporre, naturalmente, filosofo, certo, che "caffè" per un filosofo fosse qualcosa di non gradito. O forse lo beveva. Siamo in Chiapas. Venire in Chiapas e non bere caffè è… come andare a Sinaloa e non mangiare chilorio, come andare ad Amburgo e non farsi un hamburger, come andare alla Realidad e non imbattersi in idem.
Il fatto è che, senza rendercene conto, stavamo parlando di regali.
“Immagini quale potrebbe essere il regalo perfetto”, proposi.
“Il più sorprendente”, risposi senza pensarci.
"No, quello per cui non si potrebbe ringraziare", rilanciò.
"O quello che non sarebbe un regalo", contrattaccai.
"Come?", chiese intrigato.
"Per esempio un enigma, o il pezzo di un puzzle. Cioè, un regalo senza una ragione. Se non c'è un motivo, aumenta la sorpresa", dissi.
"Certo, ma per chi lo dà, potrebbe essere un regalo non poter essere ringraziato per il dono", disse come a sé stesso.
Più l'argomentazione logica si vivacizzava, più pensavo che Don Luis si stava stancando. Invece no, era animato ed aveva gli occhi lucidi, come se…Mi alzai e gli toccai la fronte. Non dissi niente, ma andai sulla porta e dissi alla guardia: “Fai venire la compa di salute”.
Don Luis aveva la febbre. La insurgenta di salute raccomandò antipiretico, un bagno freddo e molti liquidi. Don Luis non si oppose a nulla. Ma quando la compagna se ne andò mi disse “basta un po’ di riposo” e si addormentò. Restò così per 2 giorni, svegliandosi solo per mangiare qualcosa e andare in bagno.
Ormai ripresosi del tutto, mi disse che doveva andarsene, mi raccomandò di rileggere i suoi rapporti di guardia e salutò.
Giunto sulla porta, senza voltarsi a guardarmi ma tra sé, mormorò: “Ecco, un regalo per il quale non si possa ringraziare. Sarebbe molto zapatista”. Si sistemò il basco, mi disse qualcosa d'altro e se ne andò.
Ora, a più di 12 lune dalla sua assenza, posso raccontare quello che mi disse salutandomi quella mattina, con il sole che disegnava luci ed ombre.
“Compagno subcomandante insurgente marcos”, mi disse mettendosi sull'attenti con grande vitalità.
“Compagno Luis Villoro Toranzo”, gli dissi seguendo la mia vecchia abitudine di fare così per dire che ero pronto ad ascoltare.
“Voglio chiederle una cosa”.
Non mi sfuggì l'abbandono dell'informalità, ma lo attribuii alla sua nuova professione.
“Non dica niente a nessuno di tutto questo, almeno per il momento”, chiese.
“Naturalmente”, dissi, “capisco. Il segreto, la clandestinità, certo, la famiglia non deve saperlo”.
“Non è questo”, mi disse.
“Voglio che lo dica in seguito”.
“Quando?”, gli chiesi.
“Lo saprà quando sarà il momento giusto. Per dirla a modo nostro: “quando arriverà il calendario e la geografia”.
“Perché”, domandai curioso.
“È un regalo che voglio fare ai miei figli e alla mia compagna”.
“Don Luis, non scherzi, è meglio che regali a Juan una cravatta verde a pois rossi ed a Miguel una rossa a pois verdi, o viceversa; a sua figlia Renata un vaso e a Carmen un portacenere, o viceversa. Come in ogni buona famiglia, litigheranno. A Fernanda un quaderno di appunti, di quelli a righe. Sono inutili ed orribili tutti questi regali, ma quel che conta è il pensiero”.
Don Luis rise di gusto. Poi continuò serio:
"Racconti loro la mia storia. O meglio, questa parte della mia storia. Capiranno così che non mi nascondevo da loro. L'ho solo custodita come un regalo. Perché l'incantesimo dei regali è che sono una sorpresa. Non crede?".
"Dica loro che gli regalo questo pezzo della mia vita. Dica loro che l'avevo tenuto nascosto non come si nasconde un crimine, ma come si conserva un regalo".
"Guardi Sup, si diranno molte cose sulla mia vita, alcune buone, altre cattive. Ma questa parte, credo, sbaraglierà tutto, ma non con pena e dolore, ma con la vivacità di quel venticello fresco che tanto ci manca quando la pena dell'assenza ed i grigiori della serietà, della formalità e le citazioni si trasformano in lapide ed epitaffio".
"Va bene, Don Luis", gli dissi, "ma non scarti l'idea delle cravatte, del vaso, del portacenere e del quaderno di appunti".
Se ne andò sorridendo.
Dunque Juan, Fernanda, familiari di Don Luis Villoro Toranzo, per anni ho conservato in segreto questo pezzo del grande puzzle che è stata la vita di Don Luis.
Non quella volta, ma in seguito, mentre la rabbia ed il dolore scaturivano dal corpo massacrato del compa maestro zapatista Galeano, ho capito il perché di conservare questo pezzo della sua vita.
Non lo nascondeva perché si vergognasse, né perché temesse che lo denunciassero al nemico dalle mille teste, o perché così si evitassero i tentativi di dissuaderlo.
Era perché voleva farvi questo regalo.
Un pezzo che provoca, che infonde coraggio, che agita, proprio come il suo pensiero che si fa vento birichino in noi.
Un pezzo in più della vita di Don Luis.
Il pezzo che si chiamava Luis Villoro Toranzo, lo zapatista dell'EZLN.
Cadde e tacque nel compimento del suo dovere, coprendo la posizione di sentinella in questo mondo assurdo, terribile e meraviglioso che siamo impegnati a costruire.
So bene che ha lasciato un’eredità di libri e di brillante traiettoria intellettuale.
Ma, mi ha lasciato anche queste parole affinché oggi io le pronunciassi:
“Perché ci sono segreti di cui non vergognarsi, ma di cui andare orgogliosi. Perché ci sono segreti che sono regali e non affronti”.
Ora e solo adesso, mentre vi consegno queste pagine, potrete leggere il titolo di questo testo in cui viene avvolto, con le mie rozze parole, il pezzo del puzzle che si chiamava:
“Luis Villoro Toranzo, lo zapatista”
Bene. Salute e ricevete da tutti e tutte noi l’abbraccio che ci ha lasciato in custodia per voi il compa zapatista Don Luis.
Dalle montagne del Sudest Messicano, ed ora sotto terra.
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 2 maggio 2014
Reso pubblico il 2 maggio 2015





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