giovedì 27 dicembre 2012

Le profezie dei Maya zapatisti


Le profezie dei Maya zapatisti

di CITLALI ROVIROSA-MADRAZO*
 
Quando le popolazioni indigene Maya del sud-est del Messico lanciarono una rivoluzione nel 1994, non avevano certo in mente la "fine del mondo". Se c'era, nell'immaginazione zapatista, una data che evocava un giorno del giudizio, questo poteva essere il primo gennaio 1994, data di inaugurazione dell'Accordo nordamericano di libero commercio (Nafta).
Per gli zapatisti, l'imposizione della globalizzazione economica è stata a dir poco una "condanna a morte", perché hanno capito che questo avrebbe comportato implicazioni letali per la terra e le antiche tradizioni dei Maya. In quel freddo giorno d'inverno, armati di bastoni, pietre e pochissime armi da fuoco, i ribelli Maya dell'Ejercito Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) hanno inaugurato una nuova era. Ma nuovo non significa migliore: l'insurrezione non ha ottenuto che la Costituzione messicana riconoscesse pienamente i popoli indigeni come soggetti con personalità giuridica.
In effetti, le ripercussioni a lungo termine sia della globalizzazione economica che della rivolta Maya, vennero chiaramente previste dagli zapatisti, che hanno previsto non la fine del mondo, ma il collasso dell'economia capitalista occidentale. Inoltre, le previsioni zapatiste avevano un certo significato di "profezia" – con tutte le connotazioni che la parola ha: nel senso di "insegnamento" e di "predire" o "anticipare". Quando l'EZLN ha indicato, nella Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, che l'era dei partiti politici era finita, questo non significava solo profetizzare modi alternativi di fare politica – invocando la democrazia diretta (basata, tra l'altro, sulle antiche tradizioni maya, e differente dalla democrazia rappresentativa), ma significava, in realtà, anticipare il collasso di una serie di istituzioni politiche della modernità occidentale.
Nel 1999 e nel 2007 il portavoce dei ribelli Maya, il Subcomandante Marcos, ha anticipato il collasso dei sistemi finanziari e bancari. In effetti, l'EZLN aveva previsto niente di meno che la scomparsa di Lehman Brothers: "Le imprese e gli stati crolleranno nel giro di pochi minuti, non a causa delle tempeste di rivoluzioni proletarie, ma per l'urto di uragani finanziari". Non erano queste parole palesemente profetiche?
Se non altro, la profezia Maya zapatista poteva essere l'annuncio della fine di un mito: una consapevolezza echeggiata dal movimento Occupy anni dopo. E se i miti si stavano sbriciolando, il Nafta ha segnato l'inizio di una nuova serie di crisi, e gli zapatisti sono stati i primi a capire veramente questo, insieme con la frantumazione delle promesse della modernità.
Per il governo messicano, il Nafta aveva rappresentato il legittimo accesso al futuro, il diritto ad entrare nel club d'élite del mondo emergente delle potenze multinazionali, ma, per gli zapatisti, il Nafta ha significato l'inizio di un'ennesima lunga guerra contro la voracità coloniale e neocoloniale. Per alcuni, i Maya rappresentano una fonte di delusione apocalittica e "una cosa del passato" utile al solo consumo turistico. Ma, affermando che Maya oggi sono estinti, come fanno in molti, non solo mostrano una grottesca ignoranza e un atteggiamento conformista, ma compiono una manovra retorica per convalidare il loro sfruttamento, convenientemente trasformandoli in manodopera a basso costo per servire l'industria turistica miliardaria.
Oggi le sfide abbondano: dalle compagnie minerarie insaziabili più a nord dei Maya, dove gli Huicholes Wixárika lottano contro le compagnie minerarie canadesi, al posizionamento dei paesi emergenti, Cina e Russia, nella disputa egemonica per l'industria turistica, nella penisola dello Yucatan e nella "Riviera Maya". Ciò che sembra imminente è la battaglia per miniere e turismo, e per l'accesso esclusivo al monopolio e all'eredità della cultura materiale (siti archeologici) e della cultura immateriale (astronomica, botanica e linguistica), con il tentativo di imporre la brevettabilità del patrimonio maya, compreso la sua preziosa, complessa e unica scrittura geroglifica – insieme alla genetica, a brevetti sulla ricca biodiversità della regione, un fenomeno ormai comunemente noto come "biopirateria".
Più a sud, notevoli sforzi sono stati fatti negli ultimi anni per migliorare la situazione dei Maya del Chiapas – con la più recente introduzione di piani di gestione per affrontare la povertà, nel quadro degli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite. Ma ci sono serie preoccupazioni circa la loro efficienza e la legittimità, anche perché il governo non è riuscito a rispettare le disposizioni nazionali e internazionali riguardanti l'obbligo di consultare gli indigeni Maya sul destino delle risorse naturali nella loro terra.
Mentre l'investimento federale per le popolazioni indigene è più che raddoppiato negli ultimi anni, il suo impatto, in termini di riduzione della povertà, è stato trascurabile nelle comunità indigene. Un recente rapporto del Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social (Coneval) ha dimostrato che, mentre la povertà estrema e moderata nel 2010 riguardava il 46,2% della popolazione totale, il suo impatto sulla popolazione indigena era del 79,3%.
Se l'antica civiltà Maya è perita a causa di una catastrofe climatica (come un numero crescente di scienziati tendenzialmente è d'accordo sia avvenuto), la conservazione dei Maya di oggi sta nel proteggere le loro risorse naturali da catastrofi climatiche artificiali, provocata dallo sfruttamento e dalla privatizzazione della loro terra di proprietà comune. Nessuna "fine del mondo" in vista, allora, solo quella dei Maya di oggi, che continuano a far parte di una grande civiltà che si rifiuta di morire.
 
* Articolo pubblicato sul sito del quotidiano britannico The Guardian (http://www.guardian.co.uk/) venerdì 21 dicembre 2012.
* L'autrice, Citlali Rovirosa-Madrazo, sociologa messicana, è docente alla School of Government and International Affairs alla Durham University, in Gran Bretagna. In Italia è stato pubblicato da Laterza, nel 2011, "Vite che non possiamo permetterci. Conversazioni con Citlali Rovirosa-Madrazo" di Zygmunt Bauman.
 

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