mercoledì 10 ottobre 2012

Rosa, Alfredo, Juan, Enrique e Rosario,storie di ingiustizia e tortura


La Jornada – Mercoledì 10 ottobre 2012
 
 
Hermann Bellinghausen. Inviato San Cristóbal de las Casas, Chis., 9 ottobre. Il gruppo di detenuti Solidarios de la Voz del Amate è nato nell'ambito della Voz del Amate che dal 2006 diffonde pubblicamente le domande di giustizia dentro le prigioni del Chiapas, e di libertà per quelli che si sentono ingiustamente condannati. Nella sua storia c'è tortura poliziesca, spesso atroce. Fabbricazione grossolana di prove. Vendette private che  corrompono con i soldi poliziotti e pubblici ministeri per catturare, estorcere confessioni sotto tortura ed arrestare innocenti. E le vittime hanno perso più della loro libertà. 
Nel Centro Statale di Reinserimento Sociale dei Condannati (CERSS) numero 5, gli aderenti all'Altra Campagna Solidarios della Voz del Amate sono: Pedro López Jiménez, Rosa López Díaz, Alfredo López Jiménez, Juan Collazo Jiménez, Alejandro Díaz Santis e Juan Díaz López. Inoltre, Enrique Gómez Hernández si trova nel CERSS 14. Dell'organizzazione originaria restano Alberto Patishtán Gómez (acttalmente ricoverato in un ospedale di Città del Messico) e Rosario Díaz Méndez.
 
Quattro di loro (Rosa, Alfredo, Juan Collazo ed Enrique) condividono la stessa condanna penale e la loro storia dimostra come in Chiapas la giustizia ha un prezzo, e non molto alto. Sono in prigione per presunto sequestro aggravato (a scopo di riscatto), criminalità organizzata e violenza su una minorenne. La storia la racconta quello che paga, in questo caso il cacicco priista di Mitontic, e fallito candidato a sindaco, Rafael Guzmán Sántiz, padre della giovane Claudia Estefani, che nella primavera del 2009 fuggì col suo fidanzato Juan Collazo, come è frequente nelle comunità indigene quando la famiglia della fidanzata non approva il fidanzato e per evitare la dote, un'abitudine onerosa per molti.
La storia bisogna raccontarla in chiave urbana, anche se si tratta di indigeni. I quattro vivevano a San Cristóbal de las Casas. Rosa e Alfredo, tzotziles originari di questo municipio, erano amici di Collazo e Claudia Estefani, e quando decisero di fuggire (lui l'ha rubata, si dice colloquialmente) i loro amici gli prestarono la casa. Enrique era l'amico del compagno. Sono giovani, ed allora lo erano di più, ragazzi di città o di periferia, come ce ne sono tanti nella valle di Jovel, che per il puro fatto di emigrare in città sfidano i costumi comunitari. In questo caso del municipio tzotzil di Mitontic, uno dei più isolati e poveri degli Altos.
L'indignazione del padre della fidanzata, il signor Guzmán Sántiz, in questo caso ha avuto conseguenze penali non solo eccessive, ma soprattutto sono il prodotto della corruzione, la tortura e l'impunità. All'epoca, Rosa era incinta. Fu torturata con ferocia e diede alla luce in prigione un bambino che nacque seriamente malato ed handicappato che sopravvisse pochi anni. Le autorità della prigione accusarono Rosa delle condizioni del figlio. 
Domenica scorsa, durante un incontro de La Jornada con i detenuti organizzati del CERSS N. 5, Rosa era accompagnata dalla documentarista chiapaneca Concepción Suárez, che sta lanciando il documentario su Rosa e l'esperienza dei quattro giovani indigeni coinvolti in questa storia. Alfredo, suo marito, è vivace, come Collazo, e rivela che in prigione hanno completato gli studi. Non perdo tempo. Mi preparo per la libertà.
Guzmán Sántiz, il suocero offeso, raccolse circa 30 mia pesos come prova del riscatto pagato per sua figlia. E il Pubblico Ministero accettò la sua parte per dare seguito alle sue accuse. "Videro che Claudia non era vergine e così 'provarono' la violenza. Che cosa si aspettavano? Perché sarebbe fuggita col fidanzato se non proprio per questo?", dice Alfredo, guardando Juan con ironia. Tutti hanno subito gravi torture che hanno ripetutamente descritto e denunciato. Ora, il loro caso è allo studio sul tavolo del governo per la sua revisione.
 
Un'altra storia di tortura è quella di Rosario Díaz Méndez (La Jornada 9/10/12) arrestato il 23 agosto 2005 a Huitiupan dalla polizia municipale. I poliziotti non si identificarono e non mostrarono nessun mandato di cattura. Non gli fu nemmeno comunicato il motivo del suo arresto. Lo portarono presso la Procura Indigena nel municipio, e da lì alla procura statale di Tuxtla Gutiérrez. Dopo essere stato picchiato sulle orecchie, una borsa di plastica in testa e spray al peperoncino per asfissiarlo, legato mani e piedi, confessò quello che gli ordinarono di dire i suoi aguzzini. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/10/politica/023n1pol
 


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