mercoledì 16 febbraio 2011

Marcos: La guerra di Calderon, un lucroso affare


La Jornada – Martedì 15 febbraio 2011

Marcos discute su chi beneficerà di questo affare e a quale cifra ammonta

EZLN: la guerra di Calderón produrrà migliaia di morti e lauti guadagni economici

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 14 febbraio. Se la guerra di Felipe Calderón Hinojosa (benché si sia cercato, invano, di addossarla a tutti i messicani) è un commercio (e lo è), manca la risposta alla domanda per chi o quale è l'affare, e a che cifra ammonta, perché non è poco quello che è in gioco, sostiene il subcomandante Marcos in uno scritto sulla guerra del Messico dell'alto, diffuso oggi.

Da questa guerra non solo ne verranno migliaia di morti e lucrosi guadagni economici. Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione irrimediabilmente distrutta, spopolata, spezzata, avverte il capo militare dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN): La nostra realtà nazionale è invasa dalla guerra, per il resto persa dal governo perché concepita non come la soluzione ad un problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità. Questa guerra ora distrugge l'ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto sociale.

L'esperienza bellica non solo non è più lontana per chi era abituato a vederla in geografie o calendari distanti, ma incomincia a governare le decisioni e le indecisioni di chi pensava che i conflitti stavano solo nei notiziari e nei documentari di luoghi lontani come Iraq, Afghanistan o Chiapas.

Scambio epistolare

Marcos sottolinea che la guerra si svolge ora in tutto il Messico. Grazie al patrocinio di Calderón Hinojosa non dobbiamo ricorrere alla geografia del Medio Oriente per riflettere criticamente sulla guerra, dice al filosofo Luis Villoro come parte di uno scambio epistolare in corso su etica e politica: Non è più necessario ripercorrere il calendario fino al Vietnam, Playa Girón, sempre la Palestina. E non cito il Chiapas e la guerra contro le comunità indigene zapatiste, perché si sa che non sono più di moda.

Per questo, aggiunge il capo zapatista, "il governo dello stato del Chiapas ha speso un mucchio di soldi per far sì che i media non lo collochino sull'orizzonte della guerra, ma dei 'progressi' nella produzione di biodiesel, nel 'buon' trattamento degli emigranti, dei 'risultati' in agricoltura ed altre storielle ingannevoli passate a comitati di redazione che firmano come proprie le veline governative povere di forma e contenuti".

L'irruzione della guerra nella vita quotidiana del Messico attuale non arriva da un'insurrezione, né da movimenti indipendentisti o rivoluzionari. Secondo il subcomandante Marcos, viene, come tutte le guerre di conquista, dal Potere. E questa guerra ha in Felipe Calderón Hinojosa il suo iniziatore e promotore istituzionale (e vergognoso).

Calderón "si è impossessato della titolarità dell'esecutivo federale per le vie di fatto", ma non si è accontentato del supporto mediatico ed è dovuto ricorrere a qualcosa di più per distrarre l'attenzione ed eludere la massiccia messa in discussione della sua legittimità: la guerra. Questo ha suscitato la sfiducia timorosa degli industriali messicani, l'entusiasta approvazione degli alti comandi militari ed il caloroso plauso di chi realmente comanda: il capitale straniero.

La critica a questa catastrofe nazionale chiamata "guerra contro il crimine organizzato", riflette Marcos, dovrebbe essere completata da un'analisi approfondita dei suoi sostenitori economici. Non mi riferisco solo al vecchio assioma che in epoche di crisi e di guerra aumenta il consumo superfluo. Nemmeno "agli incentivi che ricevono i militari (in Chiapas, gli alti comandi militari ricevevano, o ricevono, un salario extra del 130% per essere in 'zona di guerra')". Bisognerebbe cercare anche tra le licenze, i fornitori ed i crediti internazionali che non rientrano nella cosiddetta "Iniciativa Mérida".

Ricorrendo a fonti d'inchieste giornalistiche e cifre ufficiali, il comandante ribelle rileva che nei primi quattro anni della guerra contro il crimine organizzato, gli enti governativi incaricati (Segreteria della Difesa Nazionale, Marina e Pubblica Sicurezza – SSP – e Procura Generale della Repubblica) hanno ricevuto dal Bilancio di Spesa della Federazione una somma superiore a 366 mila milioni di pesos (circa 23 miliardi di Euro al cambio attuale).

Il capo ribelle tira fuori cifre inquietanti: Nel 2010 un soldato semplice federale guadagnava circa 46.380 pesos l'anno (2.852 Euro); un generale di divisione 1 milione 603 mila 80 pesos l'anno (98.575 Euro), ed il Segretario della Difesa Nazionale percepiva redditi per 1.859.712 pesos (114.317 Euro). Con il bilancio bellico totale del 2009 (113 mila milioni di pesos per i 4 enti - 6.948.820.000 Euro) si sarebbero potuti pagare i salari annui di 2 milioni e mezzo di soldati semplici; o di 70.500 generali di divisione; o di 60.700 titolari della Segreteria della Difesa Nazionale.

Ovviamente, non tutto quello che è a bilancio viene speso per stipendi e prestazioni. C'è bisogno di armi, attrezzature, munizioni… perché quelle a disposizione non servono più o sono obsolete, aggiunge nell'analisi. "Lasciamo da parte la domanda ovvia di come è stato possibile che il capo supremo delle forze armate, Felipe Calderón Hinojosa, si lanciasse in una guerra ("di lungo respiro", dice lui) senza avere le condizioni materiali minime per sostenerla, non diciamo per 'vincerla'.."

Per il subcomandante zapatista, "il principale promotore di questa guerra è l'impero delle torbide stelle e strisce (a conti fatti, in realtà gli unici complimenti ricevuti da Felipe Calderón Hinojosa sono arrivati dal governo nordamericano)". Stando così le cose, gli Stati Uniti vinceranno con questa guerra locale? La risposta è sì, sostiene.

Lasciando da parte i guadagni economici e gli investimenti monetari in armi, munizioni e equipaggiamenti, il risultato è la distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordino geopolitico che li favorisce.

Marcos lamenta che la guerra (persa dal governo perché concepita non come la soluzione ad un problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità), sta distruggendo l'ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto sociale. E questo, per il potere statunitense, è l'obiettivo da raggiungere.

Ritiene che ad ogni passo di questa guerra, per il governo federale è sempre più difficile spiegare dove stia il nemico. E questo non solo perché i mezzi di comunicazione di massa sono stati superati dalle forme di scambio di informazioni della gran parte della popolazione (non solo, ma anche dalle reti sociali e dalla telefonia mobile); ma anche e, soprattutto, perché il tono della propaganda governativa è passata dal tentativo di inganno allo scherzo. Nello stesso tempo, le "rivelazioni di Wikileaks sulle opinioni dell'alto comando statunitense circa le 'deficienze' dell'apparato repressivo messicano (la sua inefficienza ed il suo connubio con la criminalità) non sono nuovi".

Fin dall'origine, questa guerra non ha una fine ed è persa, perché non ci sarà un vincitore messicano (a differenza del governo, il potere straniero ha sì un piano per per ricostruire / riordinare il territorio), e lo sconfitto sarà l'ultimo angolo dello Stato Nazionale agonizzante: le relazioni sociali che, dando identità comune, sono la base di una nazione. In conclusione, l'identità collettiva del Messico sta per essere distrutta e soppiantata da un'altra. 

La versione completa di questo passaggio dello scritto Sulle Guerre si trova on-line. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/15/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)

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