mercoledì 3 settembre 2008

MESSICO IN GUERRA - PEGGIO DI COLOMBIA E IRAQ


Il Manifesto – 2 settembre 2008

 

MESSICO IN GUERRA - PEGGIO DI COLOMBIA E IRAQ: CON CALDERÓN GIÀ 5000 MORTI

L'«offensiva militarizzata» del governo contro la violenza e i sequestri, è solo una vuota messinscena (a cui i narcos hanno subito risposto con undici cadaveri decapitati e lasciati bene in vista), che non riesce a nascondere i legami del potere con il crimine organizzato. E dietro a tutto c'è sempre il nodo rovente della privatizzazione del petrolio

Gianni Proiettis

 

CITTÀ DEL MESSICO

È stato un fine settimana di grandi mobilitazioni in tutto il paese. Il sabato, la grande manifestazione serale ¡Iluminemos México! ha inondato il centro della capitale con un mare di lumini, che chiedevano la fine della violenza e della criminalità, ambedue rampanti. C'è voluto lo studio di una ong olandese - Ikv Pax Christi - per sapere in cifre che il Messico è campione mondiale di sequestri, in testa a Iraq e Colombia: settemila nel 2007, e con una stima di molto inferiore alla realtà, perché considera solo i casi denunciati e non include i cosiddetti sequestri-express, considerati come rapine. Da quando, venti mesi fa, il governo di Felipe Calderón ha imboccato il vicolo della «guerra alla criminalità organizzata», il risultato più appariscente sono i cinquemila morti che ha prodotto. E pochi giorni dopo il vertice sulla sicurezza a Palacio Naciona l con la partecipazione di tutti i governatori e il lancio di un programma straordinario, il ritrovamento, giovedì scorso, di undici decapitati alla periferia di Mérida, in Yucatán, non poteva essere un messaggio più esplicito. Patrocinata originalmente da una dozzina di associazioni civili fra cui primeggiava México unido contra la delincuencia, la manifestazione nazionale - perché non è stata solo nella capitale, ma in molte altre città - ha incarnato una richiesta di sicurezza che proviene dall'intera società messicana, di qualunque livello sociale. E in quel mare di gente vestita di bianco, che alcuni cronisti hanno descritto come «da classe media in su», ci si è accorti che c'era anche il popolo. «Non solo i ricchi hanno i loro cari sequestrati e passano per un calvario - dice la senatrice Rosario Ibarra -, ci sono anche i desaparecidos per mano dello Stato, per togliere di mezzo gli attivisti sociali. Sono più di trenta nell'anno e mezzo di Calderón." Strana manifestazione quella di sabato, a pensarci bene. Di quelle che mettono d'accordo greci e troiani. Il presidente Calderón avrebbe voluto mandare la sua adesione ma gli è stato fatto notare che, in quanto parte in causa, era meglio astenersi. Chi ha mandato la sua adesione senza mezzi termini è stato l'Epr, l' Ejercito Popular Revolucionario, che reclama la ricomparsa di due suoi dirigenti, arrestati l'anno scorso a Oaxaca e da allora desaparecidos. Fra i manifestanti, «c'erano anche i poveri», ha notato un cronista di El Universal, quotidiano della destra perbene. «Si no pueden, renuncien », se non siete capaci, dimettetevi. E' stato il padre di Fernando Martí, un adolescende sequestrato e assassinato dai rapitori, a lanciare per primo questo reclamo, che è dilagato come fuoco nella steppa. Mentre negli spot delle due onnipotenti tv private, Televisa e TvAzteca , è sempre il governo quello che trionfa, nelle ore precedenti alla manifestazione del sabato contro la delinquenza, sommando i rapporti provenienti dagli stati di Sonora, Durango, Chihuahua e Guerrero a quelli dello Yucatán, i ritrovamenti di cadaveri decapitati diventavano 19. E una serie di striscioni in vari stati con messaggi dei narcos alle autorità, accusando il governo Calderón di proteggere il Chapo Guzmán, uno dei grandi boss, e gli altri capi della droga. Ostinato nel non vedere che la sua «guerra alla criminalità» non solo non sta ottenendo i risultati voluti ma sta sprofondando il paese nel caos e nell'insicurezza, cattivo giocatore nel non riconoscere la superiorità economica e militare dei narcos , infiltrati a tutti i livelli, Calderón dimostra poco realismo e sta facendo crescere irragionevolmente i livelli di psicosi in tutta la società. A meno che non sia un effetto voluto, per poter militarizzare sempre di più le piazze in previsione delle future proteste. La domenica mattina, la piazza del monumento alla Revolución nella capitale - insieme alle piazze delle capitali statali - si è riempita del movimento che si riconosce in López Obrador e nella lotta contro i disegni di «riforma energetica» (la privatizzazione di Pemex) del governo. Il Frente Amplio Progresista , che riunisce il Prd, il Pt e Convergencia , ha presentato una sua proposta, che scaturisce dalla società civile attraverso accademici, tecnici e intellettuali. Questo nuovo disegno di riforma di Pemex, elaborato collettivamente si affianca così alla proposta del governo e a quella del Pri, che coincidono nello scorporo e privatizzazione il più possibile. Sostenuta da un referendum consultivo che ha fatto votare più di due milioni e mezzo di persone in difesa di Pemex, la proposta del popolo di sinistra va in senso diametralmente opposto, verso «una politica energetica di stato», come la chiama Amlo. Unico leader dell'opposizione a riunire moltitudini, López Obrador ha denunciato la compravendita di una nave petroliera che è costata a Pemex cinque volte il suo valore. Solo un esempio. Ci sono i contratti firmati dall'attuale ministro degli interni, Juan Camilo Mouriño, a nome delle sue aziende familiari, quando Felipe Calderón era ministro dell'energia. La trama degli interessi che lega il governo messicano e la famiglia Mouriño, insieme a una ristretta oligarchia, alla compagnia spagnola Repsol e al governo iberico ha cominciato ad affiorare mesi fa. Anzi, da quando Rodríguez Zapatero si congratulò con Calderón per una vittoria che l'istituto elettorale messicano non aveva ancora decretato. Nel suo intervento in piazza domenica mattina, Amlo si è riferito alla marcia contro la insicurezza del giorno prima, dicendo di condividerne il reclamo di pace e per la fine della violenza, ma di differire sull'analisi delle cause e sui rimedi. Le ragioni dell'insicurezza che attraversa tutta la società sono da ricercare, secondo López Obrador, negli ultimi 25 anni senza crescita economica - in cui non c'è stato che lo sfogo dell'emigrazione illegale negli Stati uniti - e le soluzioni non sono certo più polizia, più carceri e pene più severe, come sostiene il governo del Pan. Amlo promette una resistenza dura ai piani di privatizzazione del governo, specie per settembre, mese delle «feste patrie» dell'indipendenza e del rientro parlamentare. Ma non vuole svelare le prossime forme di lotta per non dare un vantaggio strategico all'avversario. Il governo Calderón può vantare successi trionfali nei suoi spot, ma secondo la Cepal - la Commissione economica dell'Onu per l'America latina e i Caraibi - la crescita economica del Messico è la più bassa del contintente: solo il 2.5% all'anno, in confronto a una media latinoamericana del 4.7. In fatto di diritti umani, il Messico annaspa alle ultime posizioni, secondo Amnesty international e l'Onu. Preoccupa la tendenza a politicizzare la giustizia. A Ignacio del Valle, il popolare leader del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di San Salvador Atenco, è stata aumentata la condanna da 67 a 112 anni di carcere solo per aver resistito ai progetti governativi di un aeroporto sulle terre della loro comunità. Sua figlia, América del Valle, è costretta a vivere in latitanza per quella che ha tutti gli aspetti di una vendetta di stato. Altri dirigenti del Fpdt sono rinchiusi in carcere con condanne fino a 30 anni. Ma gli atencos , noti a tutti per l'ostinata lotta in difesa delle proprie terre, sanno di costituire un modello e non si separano dai loro machete , che li hanno resi celebri.

 


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