mercoledì 26 settembre 2007

E' MORTO ANDRES AUBRY - L.H. NAVARRO

 

La Jornada – Martedì 25 settembre 2007
 
Luis Hernández Navarro
 

Andrés Aubry: il destriero slegato

 
Aveva 80 anni. Tornava da una visita medica. Andrés Aubry voleva andare con la sua auto fino a Vicam, Sonora, per partecipare all'incontro indigeno. Stava tornando a San Cristóbal de las Casas. Non vi è giunto. Un tir di colore blu si è scontrato frontalmente con la sua auto bianca tracker.
 
Andrés Aubry si trovava in un momento di grande produttività. Aveva superato il profondo dolore provocatogli dalla perdita della sua compagna, Angélica Inda. Interlocutore privilegiato dell'esperienza autonomista zapatista, manteneva con i suoi dirigenti un dialogo fecondo. La sua era una visione maturata del Chiapas.
 
La sua formazione ortodossa divenne eterodossa. Nato in Francia nel 1927, ha studiato etnosociologia a Beirut, Libano, e sociologia e storia a Parigi. Ha lavorato nel suo paese nativo, in Belgio e Spagna. È stato consulente del Concilio Vaticano II, del Celam, dell'UNESCO e della Conai. Il suo incontro con Samuel Ruiz in Colombia fu fondamentale per il suo trasferimento a vivere in Messico. Arrivò in Chiapas nel 1973, anno dell'ultima storica inondazione di Jovel. La catastrofe – disse – gli insegnò che questa entità è uno stato dimenticato dalla natura e dagli uomini.
 
Partecipò al Congresso Nazionale Indigeno del 1974. Fondò, insieme a Jan Rus, l'Istituto di Consulenza Antropologica per la Regione Maya AC (Inaremac). Con Angélica Inda pubblicò 34 numeri del Bollettino dell'Archivio Diocesano di San Cristóbal de las Casas.
 
Andrés Aubry è stato, simultaneamente, un intellettuale dell'altra Chiesa cattolica chiapaneca e del mondo indigeno. Accompagnò la fucina dell'istituzione ecclesiale popolare di Samuel Ruiz nella diocesi di San Cristóbal, la formulazione della teologia india e la ricostituzione dei popoli originari in Chiapas.
 
In Bartolomé de las Casas trovò la matrice della sua ribellione. "La Chiesa latinoamericana - scrisse - come la lotta indigena, ha 500 anni. In Chiapas nacque ribelle perché il fondatore della diocesi, Fray Bartolomé de las Casas, fu condannato dal re e dall'Inquisizione nel 1570. La ragione? Tra molte altre, ma la principale: la sua tesi secondo cui la sovranità del continente è degli indios…".
 
Questo carattere duale l'ha accompagnato fino alla sua morte. Nella cattedrale di San Cristóbal si è officiato il rito funebre. I suoi resti sono stati vegliati nel tempio di San Nicolás, convertito in camera ardente. Lì sono accorsi gli indigeni ribelli di Oventic. Sul feretro grigio hanno collocato la bandiera rosso-nera dell'EZLN.
 
Contemporaneamente antropologo, storico e geografo, scommise sulla gestazione di una nuova antropologia che processava l'esperienza indigena. Una disciplina che sistematizzava le loro esperienze, teorizzava le loro pratiche e recuperasse il loro sapere, creando le condizioni per riattivare la memoria collettiva. Trovò nell'opera di Ferninand Braudel, Edgar Morin, Inmanuel Wallerstein e Paulo Freire gli strumenti concettuali per intraprendere questa impresa.
 
Critico acerrimo dell'accademia tradizionale, Aubry divenne alunno degli indios. Accusò gli scienziati sociali di compiere il "furto intellettuale" delle conoscenze e della saggezza dei popoli che "studiano", con fini totalmente estranei a quelli dei popoli stessi.
 
"Senza la rivoluzione dell'accademia - affermò - è impensabile un'altra scienza sociale con approcci dettati da quelli che stanno in basso, elaborati e processati da loro e a loro beneficio, non programmata dalle classi accademiche del SNI, Conacyt ed altre burocrazie intellettuali, ma dagli attori sociali, non oggetto di studio, ma programmatori dei nostri studi". L'esperto dovrà realizzare "un compito ed un impegno di dimensione comunitaria o intercomunitaria, rurale o urbana, dove investigherà ascoltando e risolverà investigando".
 
Aubry scriveva regolarmente su La Jornada. Il suo primo articolo, sulla Convenzione Nazionale Democratica, realizzata nella Selva chiapaneca, fu pubblicato nel 1994. L'ultimo: "Terra, luogo di origine, territorio", è del giugno 2007. Nelle sue collaborazioni ha analizzato le questioni relative ai paramilitari, ai disastri naturali nel Soconusco, alla Diocesi di San Cristóbal ed i successivi vescovi,al l'iniziativa Cocopa ed alla trasformazione del Chiapas da repubblica delle banane a repubblica maquiladora.
 
Più che articoli di opinione, i suoi scritti sono saggi e testimonianze illuminanti sulla questione chiapaneca. La sua redazione, sempre erudita, soffriva per doversi adattare alla dimensione richiesta per un quotidiano. Non protestò mai per questo. La sua prosa era disseminata di termini ed immagini originate sia dal minuzioso lavoro negli archivi storici che dal castigliano parlato nelle antiche fincas.
 
Alla fine degli anni '70 coordinò il progetto nel quale giovani indigeni avevano raccolto i ricordi rivoluzionari dei vecchi di Zinacantán e poi pubblicati in tzotzil e spagnolo in Cuando dejamos de ser aplastados. Il suo ultimo libro è una polemica interpretazione della genealogia del suo stato adottivo: Chiapas a contrapelo. Una agenda de trabajo para su historia en perspectiva sistémica.
 
A volte, per spiegare l'importanza degli Accordi di San Andrés e dell'autonomia per i popoli indios, ricorreva all'immagine di un destriero.
 
Secondo il suo racconto, uno splendido cavallo aveva un unico ed imbarazzante problema: non riusciva a correre. Il suo padrone spese fortune per consultare specialisti. Non si arrivò a niente: non correva. Ma il ragazzo che se ne occupava, guardava tutti con un sorrisetto furbo. Disperato, il padrone gli chiese:
 
– Se credi di sapere qualcosa, perché non parli? Cosa credi che abbia?
 
– Davvero lo vuoi sapere? – gli rispose il ragazzo.
 
– Certo, avanti!
 
- Ma, non mi crederai - insistette il sorvegliante. 
 
- Dimmelo, accidenti - ribadì il padrone. 
 
- Non vedi, padrone? - disse il ragazzo - Il fatto è che questo cavallo è legato. Perché non lo sciogliamo?
 
Come il ragazzo del racconto, Andrés Aubry passerà alla storia come l'uomo che ha dedicato la sua vita ad aiutare a sciogliere le corde che impediscono che il destriero dell'autonomia indigena corra, riattivando la memoria storica dei popoli originari.
 
(Traduzione Comitato Chiapas "Maribel" – Bergamo)

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