sabato 12 marzo 2011

Subcomandante Marcos: Sulle Guerre - Parte 1/2


SULLE GUERRE

Scambio epistolare tra Luis Villoro ed il Subcomandante Marcos su Etica e Politica
Gennaio-Febbraio 2011

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Gennaio-Febbraio 2011

Per: Don Luis Villoro.
Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Dottore, La saluto.

Speriamo davvero che stia meglio in salute e che accolga queste righe non solo come uno scambio di idee, ma anche come un abbraccio affettuoso da noi tutti. 

La ringraziamo per aver accettato di partecipare come corrispondente a questo scambio epistolare. Speriamo che da questo sorgano riflessioni che ci aiutino, qua e là, a tentare di comprendere il calendario che patisce la nostra geografia, il nostro Messico.

Mi permetta di iniziare con una specie di bozza. Si tratta di idee, frammentate come la nostra realtà, che possono seguire la loro strada indipendente o allacciarsi come una treccia (l'immagine migliore che ho trovato per "disegnare" il nostro processo di riflessione teorica), e che sono il prodotto della nostra inquietudine per quanto sta attualmente accadendo in Messico e nel mondo.

E qui iniziano questi veloci appunti su alcuni temi, tutti loro relazionati con l'etica e la politica. O piuttosto su quello che noi riusciamo a percepire (e a patire) di loro, e sulle resistenze in generale, e la nostra resistenza in particolare. Come c'è d'aspettarsi, in questi appunti regneranno la schematicità e la riduzione, ma credo che bastino a tracciare una o molte linee di discussione, di dialogo, di riflessione critica.

E si tratta proprio di questo, che la parola vada e venga, scavalcando posti di blocco e pattugliamenti militari e di polizia, del nostro da qua fino al Suo là, anche se poi succeda che la parola se ne vada da altre parti e non importa se qualcuno la raccoglie e la rilancia (che è per questo che sono fatte le parole e le idee).

Sebbene il tema su cui ci siamo accordati sia Politica ed Etica, forse è necessaria qualche deviazione, o meglio, avvicinamenti da punti apparentemente distanti.

E, dato che si tratta di riflessioni teoriche, bisognerà iniziare dalla realtà, quello che gli investigatori chiamano "i fatti".

In "Scandalo in Boemia", di Arthur Conan Doyle, il detective Sherlock Holmes dice al suo amico, il Dottor Watson: "È un errore capitale teorizzare prima di avere dati. Senza rendersi conto, uno comincia a deformare i fatti affinché si adattino alle teorie, invece di adattare le teorie ai fatti".

Potremmo cominciare dunque da una descrizione, affrettata e incompleta, di quello che la realtà ci presenta nella stessa forma, cioè, senza anestesia alcuna, e ricavare alcuni dati. Qualcosa come cercare di ricostruire non solo i fatti ma la forma con la quale prendiamo conoscenza di essi. 

E la prima cosa che appare nella realtà del nostro calendario e geografia è una vecchia conoscenza dei popoli originari del Messico: La Guerra.

I.- LE GUERRE DI QUELLI CHE STANNO IN ALTO.

"E in principio furono le statue".

Così potrebbe iniziare un saggio storico sulla guerra, o una riflessione filosofica sulla reale generatrice della storia moderna. Perché le statue belliche nascondono più di quanto mostrano. Erette per glorificare in pietra la memoria di vittorie militari, non fanno altro che occultare l'orrore, la distruzione e la morte di ogni guerra. E le figure in pietra di dee o angeli incoronati con l'alloro della vittoria non solo servono affinché il vincitore abbia memoria del suo successo, ma anche per forgiare la smemoratezza del vinto.

Ma attualmente questi specchi di roccia sono in disuso. Oltre ad essere seppelliti quotidianamente dalla critica implacabile di uccelli di ogni tipo, hanno trovato nei mezzi di comunicazione di massa un avversario insuperabile.

La statua di Hussein, abbattuta a Baghdad durante l'invasione nordamericana dell'Iraq, non è stata sostituita da una di George Bush, ma dai cartelloni pubblicitari delle grandi multinazionali. Benché il volto ebete dell'allora presidente degli Stati Uniti sarebbe stato adatto a promuovere cheese-burger, le multinazionali hanno preferito auto-erigersi l'omaggio di un nuovo mercato conquistato. All'affare della distruzione, è seguito l'affare della ricostruzione. E, benché si susseguano le perdite tra le truppe nordamericane, la cosa importante è il denaro che va e viene come deve essere: con fluidità e in abbondanza.

La caduta della statua di Saddam Hussein non è il simbolo della vittoria della forza militare multinazionale che invase l'Iraq. Il simbolo sta nel rialzo delle azioni delle aziende sponsor. 

"Nel passato erano le statue, ora sono le borse valori". 

Potrebbe essere questa la storiografia moderna della guerra. 

Ma la realtà della storia (questo caotico orrore guardato sempre meno e in maniera sempre più asettica), compromette, presenta conti, esige conseguenze, domanda. Uno sguardo onesto ed un'analisi critica potrebbero identificare i pezzi del rompicapo e dunque ascoltare, come un macabro urlo, la sentenza:

"In principio fu la guerra".


La Legittimazione della Barbarie.

Forse, in qualche momento della storia dell'umanità, l'aspetto materiale, fisico, di una guerra è stata la cosa determinante. Ma, con l'avanzare della pesante e turpe ruota della storia, questo non è bastato. Così come le statue sono servite per il ricordo del vincitore e la smemoratezza del vinto, nelle guerre i contendenti hanno dovuto non solo sconfiggere fisicamente l'avversario, ma anche servirsi di un alibi propagandistico, ovvero, di legittimità. Sconfiggerlo moralmente.

In qualche momento della storia è stata la religione a conferire questo certificato di legittimità alla dominazione guerriera (benché alcune delle ultime guerre moderne non sembrano aver progredito molto in questo senso). Ma poi è stato necessario un pensiero più elaborato e la filosofia ha preso il testimone.

Ricordo ora alcune sue parole: "La filosofia ha sempre avuto un rapporto ambivalente col potere sociale e politico. Da un lato, ha preso il posto della religione come giustificazione teorica della dominazione. Ogni potere costituito ha tentato di legittimarsi, prima con un credo religioso, poi con una dottrina filosofica. (…) Sembrerebbe che la forza bruta che sostiene il dominio manchi di significato per l'uomo se non si giustificasse con un fine accettabile. Il discorso filosofico, che subentra alla religione, è stato incaricato di conferirgli questo senso; è un pensiero di dominio." (Luis Villoro. "Filosofia e Dominio". Discorso di ingresso nel Colegio Nacional. Novembre 1978).

In effetti, nella storia moderna quest'alibi poteva arrivare ad essere talmente elaborato come una giustificazione filosofica o giuridica (gli esempi più patetici li ha dati l'Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU). Ma la cosa fondamentale era, ed è, munirsi di una giustificazione mediatica.

Se una certa filosofia (seguendola, Don Luis: il "pensiero di dominio" in contrapposizione al "pensiero di liberazione") ha sostituito la religione in questo compito di legittimazione, ora i mezzi di comunicazione di massa hanno sostituito la filosofia.

Qualcuno ricorda che la giustificazione della forza armata multinazionale per invadere l'Iraq era che il regime di Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa? Su questo si è costruita una gigantesca impalcatura mediatica che è stata il combustibile per una guerra che non è ancora finita, almeno in termini militari. Qualcuno ricorda che non si sono mai trovate queste armi di distruzione di massa? Non importa più se è stata una bugia, se c'è stato (e c'è) orrore, distruzione e morte, perpetrati con un falso alibi.

Si racconta che, per dichiarare la vittoria militare in Iraq, George W. Bush non aspettò i rapporti che dicevano del ritrovamento e distruzione di queste armi, né la conferma che la forza multinazionale controllava ormai, se non tutto il territorio iracheno, almeno i suoi punti nodali (la forza militare nordamericana era trincerata nella cosiddetta "zona verde" e non riusciva nemmeno ad avventurarsi nei quartieri vicini - si leggano gli stupendi reportage di Robert Fisk per il giornale britannico "The Independent" -).

No, il rapporto che ricevette Washington e gli permise di dichiarare finita la guerra (che di sicuro non è ancora finita), arrivò dai consulenti delle grandi multinazionali: l'affare della distruzione può cedere il passo all'affare della ricostruzione (su questo si vedano i brillanti articoli di Naomi Klein sul settimanale statunitense "The Nation", ed il suo libro "La Dottrina dello Shock").

Dunque, la cosa essenziale nella guerra non è solo la forza fisica (o materiale), è anche necessaria la forza morale che, in questi casi, è fornita dai mezzi di comunicazione di massa (come prima dalla religione e dalla filosofia).

..... segue


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