sabato 3 gennaio 2009

Marcos: una degna gioventu' arrabbiata

SETTE VENTI NEI CALENDARI E
GEOGRAFIE IN BASSO.

Primo Vento: una degna gioventù arrabbiata

Buona sera.

Sintrófisa, síntrofe, Ekseyerméni Eláda. Emís, i pió
mikrí, apó aftí ti goniá tu kósmu se jeretáme.

Déksu ton sevasmó mas ke ton zavmasmó mas giaftó pu
skéftese ke kánis. Apó makriá mazménume apó séna. Efjaristúme.

(Spero di non aver detto qualcosa di sconvenienza, quello
che volevo dire è "Compagna, compagno, Grecia ribelle. Noi, i più piccoli,
da questo angolo del mondo ti salutiamo. Ricevi il nostro rispetto ed
ammirazione per quello che pensi e fai. Da lontano impariamo da te.
Grazie".)

I
Delle violenze e di altre cose.

Da molto tempo il problema dei calendari e delle geografie
ha svelato e scoperto il Potere. Negli uni e nelle altre si è visto (e si
vedrà) come il suo brillante ingranaggio di dominazione si blocca e
scompone. Per questo motivo bisogna fare molta attenzione a maneggiare le
geografie ed i calendari.

Nelle geografie può sembrare più chiaro: nel suo rozzo
trucco, che questo Festival ha scoperto, la Grecia è molto lontana dal
Chiapas.
E nelle scuole si insegna che il Messico è separato da un oceano dalla
Francia, dai Paesi Baschi, dallo Stato Spagnolo, dall'Italia. E se guardiamo
una mappa, possiamo notare che New York è molto a nord del Chiapas indigeno
messicano. Qualcosa che qualche ora fa è stato confutato dalle compagne e
compagni della Movimento Justicia para el Barrio. E l'Argentina è molto a
sud di questa terra, cosa che ha sfidato il compagno di Solano che ha appena
parlato.

Ma né sopra né sotto c'è questa separazione. La brutale
globalizzazione neoliberista, la IV Guerra Mondiale come la chiamiamo noi
zapatisti, ha messo i luoghi più distanti in simultaneità spaziale e
temporale per il flusso di ricchezze… e per la loro appropriazione.

Non più i racconti fantasiosi sui presunti eroici
scopritori-conquistatori che vincevano con la spada e la croce la debolezza
di chi veniva "civilizzato". Invece delle tre caravelle, una
calcolatrice ad alta velocità. Invece di Hernán Cortés, un burattino fatto
governo in ogni angolo del pianeta. Invece di spade e croci, un macchinario
di distruzione di massa ed una cultura che ha in comune con il "fast food"
non solo la sua onnipresenza (McDonalds, come dio, c'è ovunque), ma anche la
sua difficile digestione ed il suo inesistente potere nutritivo.

Questa stessa globalizzazione fa sì che le bombe dei governi
israeliano e nordamericano cadano su Gaza e nello stesso tempo scuotano il
mondo intero.

Con la globalizzazione il mondo intero dell'alto è alla
nostra portata… per meglio dire, ai nostri occhi ed alla nostra coscienza.
Le bombe che assassinano civili palestinesi sono anche un'avvertenza che
bisogna imparare ed assimilare. E la scarpata a Bush in Iraq può essere
riprodotta in quasi qualsiasi angolo del pianeta.

E tutto passa dal culto dell'individuale. L'entusiasmo che
ha risvegliato tra i benpensanti la scarpata a Bush (che evidenzia solo la
pessima mira del giornalista) è plaudire un gesto coraggioso ma inutile e
ininfluente per la cosa fondamentale, come settimane dopo dimostra
l'appoggio del governo di Bush al crimine che il governo israeliano perpetra
in territorio palestinese… e, perdonate se deludo qualcuno che ha acceso le
candele ai piedi dell'immagine di Barack Obama, che il successore di Bush
appoggia.

E mentre la scarsa mira in Iraq provoca applausi,
l'insurrezione in Grecia provoca preoccupazioni: "C'è il pericolo",
allertano ed esorcizzano, "che la ribellione in Grecia si estenda al resto
d'Europa".

Abbiamo sentito e letto quello che ci comunica la gioventù
ribelle greca della sua lotta e quello che affronta. La stessa cosa di
coloro che in Italia si preparano a resistere alla forza del governo. E la
lotta quotidiana de@ nostr@ compagn@ nel nord del nord.

Di fronte a questo tutti là in alto tirano fuori i loro
dizionari e cercano la parola "violenza" e la contrappongono a
"istituzionalità". E senza darle contesto, cioè, posizione di classe,
accusano, giudicano e condannano.

E ci dicono che è violenta la gioventù greca che fa bruciare
la penisola ellenica. Chiaro che si corregge, si mutila, si cancella il
fatto che la polizia ha assassinato un ragazzo.

In Messico, nella geografia segnata dalla città con lo
stesso nome, un governo di sinistra istituzionale ha assassinato un gruppo
di giovani, adolescenti in maggioranza. Un settore dell'intellighenzia
progressista ha mantenuto un silenzio complice adducendo che questo è stato
per distrarre l'attenzione pubblica, sembra presa nel carnevale in cui si è
trasformata la presunta difesa del petrolio. La successiva aggressione
sessuale alle giovani donne nei locali della polizia si è persa nel suono
delle grancasse che annunciavano una consultazione che poi è stata un
fallimento.
Invece, non si è condannata la violenza della polizia che, contrariamente a
quanto è stato detto, non ha agito in maniera disordinata. Questa polizia da
anni è addestrata a reprimere, vessare ed abusare di giovani, venditori
ambulanti, lavoratori e lavoratrici sessuali, di coloni e di tutto ciò che
dissenta dal governo delle piste di ghiaccio, dei mega spettacoli in stile
Fujimori e delle ricette per fare i biscotti. E non bisogna dimenticare che
la dottrina che anima questa polizia è stata importata a Città del Messico
dall'oggi presidente "legittimo" del Messico quando era capo di governo del
DF.

A Città del Messico ed in Grecia i governi assassinano
giovani.

Il tandem governativo Stati Uniti-Israele segna ora a Gaza
il modello da seguire: è più efficace ucciderli quando sono bambini.

Già prima, in Messico, nel presente calendario saranno ormai
10 anni, giovani studenti della UNAM crearono un movimento che fece
impazzire la sinistra benpensante che, isterica come oggi, li calunniò e
screditò con ferocia. Ed anche allora si disse che era un movimento violento
per distrarre l'attenzione dalla grigia campagna elettorale del grigio
candidato presidenziale del grigio partito della rivoluzione democratica.
Ora, 10 anni dopo, bisognerebbe ricordare che la UNAM continua ad essere
pubblica e gratuita grazie all'impegno di quegli uomini e donne, ragazze e
ragazzi chi oggi salutiamo.

Nel nostro addolorato Messico chi è al primo posto nell'uso
ed abuso dell'abusato termine 'violenza' sono Felipe Calderón Hinojosa ed i
mezzi di comunicazione che lo accompagnano (che sono sempre meno). Il signor
Calderón, appassionato di giochi elettronici di strategia in tempo reale (il
suo gioco preferito, l'ha dichiarato lui, è "L'Epoca degli Imperi"), ha
deciso che, al posto di pane e circo, al popolo si doveva dare sangue.
Siccome il circo già lo fanno i politici di professione ed il pane è molto
caro, Calderón ha deciso, appoggiando una banda di narcotrafficanti, di fare
la guerra all'altra banda. Violando la Costituzione ha messo l'esercito a
svolgere compiti di polizia, di pubblico ministero, giudice, carceriere ed
esecutore.
Che stia perdendo questa guerra lo sa chiunque non sia del suo gabinetto. E
che la morte del suo partner fu un omicidio lo sanno tutti, anche se non si
scrive.

E nella sua guerra, le forze del governo di Calderón hanno
nel loro conto l'omicidio di persone che non c'entravano niente, di bambini
e di non nati.

Con Calderón alla guida il governo del Messico è un passo
avanti a quelli di Stati Uniti ed Israele: lui li uccide quando ancora
stanno nel ventre materno.

Ma si è detto, ed ancora lo ripetono annunciatori ed
editorialisti, che si sarebbe usata la forza dello Stato per combattere la
violenza del crimine organizzato.

E ancora una volta si è visto che è il crimine organizzato a
guidare la forza dello Stato.

Forse tutto questo si tratta di un intelligente stratagemma
di Calderón ed il suo obiettivo è distrarre l'attenzione della gente.
Occupato com'è il pubblico col sanguinoso fallimento della guerra contro il
narcotraffico, può essere che non si renda conto del fallimento calderonista
in politica economica.

Ma torniamo alle condanne della violenza che arrivano dall'alto.

C'è un'ingannevole trasmutazione, una falsa tautologia:
dicono di condannare la violenza ma in realtà condannano l'azione.

Per loro, quelli in alto, il dissenso è un male del
calendario o, quando sfida anche questo, una patologia cerebrale che si
cura, secondo alcuni, con molta concentrazione mentale, mettendosi in
armonia con l'universo e così tutti siamo esseri umani… o cittadini.

Per questi violenti pacifisti tutti sono esseri umani: lo è
la giovane greca che alza il braccio con una molotov in mano ed il
poliziotto che uccide gli Alexis che sono stati nel mondo e lo saranno; lo è
il bambino palestinese che piange al funerali dei suoi fratelli morti per le
bombe israeliane ed il pilota dell'aeroplano di combattimento con la stella
di David sulla fusoliera; lo è il signor George W Bush ed il clandestino
assassinato dalla Border Patrol in Arizona, Stati Uniti; lo è il miliardario
Carlos Slim e la cameriera di un Sanborns che deve viaggiare 3 o 4 ore per
andare al lavoro e
se arriva tardi la licenziano; lo è il signor Calderón che si dice capo
dell'Esecutivo federale messicano, ed il contadino privato della sua terra;
lo è il signor López Obrador e gli indigeni assassinati in Chiapas che non
ha visto né sentito; lo è il signor Peña Nieto, predatore dello Stato del
Messico ed il contadino Ignacio Del Valle, del FPDT, arrestato per aver
difeso i poveri; infine, lo sono gli uomini e le donne che hanno la
ricchezza ed il potere, e le donne e gli uomini che non hanno nient'altro
che la loro degna rabbia.

E là in alto chiedono ed esigono: "Bisogna dire no alla
violenza, da qualcunque parte venga"… facendo attenzione a porre l'enfasi
se la violenza viene dal basso.

Secondo loro tutti e tutte devono mettersi in armonia
affinché si risolvano le loro differenze e contrapposizioni e gridino:
"anche il popolo armato è sfruttato", riferendosi a soldati e
poliziotti.

La nostra posizione di zapatisti è chiara. Non appoggiamo il
pacifismo che si solleva affinché sia un altro a porgere l'altra guancia, né
la violenza che si scatena quando sono altri che ci mettono i morti.

Noi siamo come siamo, con tutto il bene ed il male che
portiamo dietro e che è nostra responsabilità.

Ma sarebbe ingenuo pensare che tutto il buono che abbiamo
fatto, compreso il privilegio di ascoltarvi ed imparare da voi, si sarebbe
raggiunto senza la preparazione di un intero decennio affinché sorgesse il
Primo Gennaio come sorse 15 anni fa.

Non è stato con una marcia o un documento dei
qui-sotto-frmatari che ci siamo fatti conoscere. E' stato con un esercito
armato, con i combattimenti contro le forze federali, con la resistenza
armata che ci siamo fatti conoscere dal mondo.

Ed i nostri compagni e compagne caduti, morti e scomparsi,
lo sono stati in una guerra violenta che non è cominciata 15 anni fa, ma 500
anni fa, 200 anni fa, 100 anni fa.

Non sto facendo un'apologia della violenza, sto segnalando
un fatto verificabile: in guerra ci hanno conosciuto, in guerra siamo
rimasti questi 15 anni, in guerra proseguiremo fino a che questo angolo del
mondo chiamato Messico faccia suo il proprio destino, senza trappole, senza
finzioni, senza simulazioni.

Il Potere nella violenza ha una risorsa di dominazione, ma
ce l'ha anche nell'arte e nella cultura, nella conoscenza,
nell'informazione, nel sistema di giustizia, nell'educazione, nella politica
istituzionale e, ovviamente, nell'economia.

Ogni lotta, ogni movimento, nelle sue particolari geografie
e calendari, deve ricorrere a diverse forme di lotta. Non è l'unica e
probabilmente non sarà la migliore, ma la violenza è una di queste.

È un bel gesto affrontare con i fiori le canne dei fucili,
ci sono perfino fotografie che immortalano il gesto. Ma a volte è necessario
fare che quei fucili cambino obiettivo e si dirigano verso l'alto.

L'accusatore e l'accusato.

Ci accusano di molte cose, è vero. E probabilmente siamo
colpevoli di alcune, ma ora voglio soffermarmi su una:

Non abbiamo sparato all'orologio del tempo quel primo gennaio, né lo abbiamo
trasformato in una festa nostalgica di sconfitta, come hanno fatto col 68
alcun@ di quella generazione in tutto il mondo, come hanno fatto in Messico
con l'88 ed ora perfino col 2006. Su questo culto malaticcio per i calendari
truccati tornerò poi.
Neppure abbiamo modificato la storia per rinominarla dicendo
che siamo o fummo gli unici o i migliori, o entrambe le cose (che è ciò che
fa quest'isteria di gruppo che è il movimento lopezobradorista, ma tornerò
poi su questo).


C'è stato e c'è chi ci critica per non aver fatto il salto
"nella realpolitik" quando i nostri buoni politici, cioè il nostro
rating mediatico, offriva un buon prezzo per la nostra dignità sul mercato
delle opzioni elettorali (non politiche).

Ci accusano, in concreto, di non aver ceduto alla seduzione
del potere, ciò che è riuscita ad ottenere che gente molto brillante di
sinistra dica e faccia cose che sarebbero una vergogna per chiunque.

Ci hanno anche accusato di "delirio" o "radicalismo" perché nella VI
Dichiarazione denunciamo il sistema capitalista come la causa dei principali
mali che angosciano l'umanità. Oggi non insistono più su questo, perché lo
dicono perfino i portavoce del capitale finanziario di Wall Street.

Di sicuro, ora che tutto il mondo dice e ridice sulla crisi
globale, bisognerebbe ricordare che già 13 anni fa, nel 1996, fu segnalata
da uno scarabeo degno e rabbioso. Don Durito de La Lacandona, nella
relazione più breve che ho ascoltato nella mia breve età, disse "il problema
con la globalizzazione è che poi i globi esplodono".

Ci accusano di non rintanarci nella sopravvivenza che, con
sacrifici e l'appoggio di quelli in basso negli angoli del pianeta, abbiamo
costruito in queste terre indie, e di non rinchiuderci in quello che le
menti lucide (così si dicono) chiamano "il laboratorio zapatista" o
"la comune della Lacandona".

Ci accusano di venire fuori, sempre, per affrontare il Potere
e cercare altre, altri, voi, che lo
affrontate senza false consolazioni né conformismi.

Ci accusano di essere sopravvissuti.

E non si riferiscono alla resistenza che 15 anni dopo ci
permette di dire che continuiamo a lottare, non solo a vivere.

Quello che li disturba è che siamo sopravvissuti come altro
riferimento della lotta, della riflessione critica, dell'etica politica.

Ci accusano, chi l'avrebbe detto, di non esserci arresi, di
non esserci venduti, di non aver tentennato.

Ci accusano, insomma, di essere zapatisti dell'Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale.

Oggi, 515 anni dopo, 200 anni dopo, 100 anni dopo, 25 anni
dopo, 15 anni dopo, 5 anni dopo, 3 anni dopo, dichiariamo: siamo
colpevoli.

E, dato che è il modo neozapatista, non solo lo confessiamo,
ma lo celebriamo.


Non immaginavamo che questo avrebbe disturbato qualcuno che
là in alto finge progressismo o si veste di una sinistra giallo scolorito o
senza nemmeno colore, ma bisogna dirlo:

L'EZLN vive. Evviva l'EZLN!

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 2 gennaio 2009

P.S. - Sette Racconti per Nessuno.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/comision-sexta/1201#Marcos

(Traduzione "Maribel" – Bergamo)

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