venerdì 8 febbraio 2008

MESSICO FERITO di CLAUDIO ALBERTANI

 
 

 Messico ferito

 

Claudio Albertani

 

Il Messico è ferito. È vero che nella sfortunata geografia della sofferenza ci sono paesi che stanno molto peggio, ad esempio l'Iraq o la Palestina. Tuttavia, in Medio Oriente e altrove ciò che predomina è il fragore delle armi. Ricordo l'inutile sforzo che feci alcuni anni fa di spiegare la ribellione indigena del Chiapas a dei rifugiati pachistani che avevo conosciuto in Europa. Io parlavo di quanto innovatore fosse il messaggio zapatista, del ruolo delle donne insorte, dei progetti di autonomia territoriale… Nulla di tutto ciò pareva loro importante. Le domande erano: "quanti kalashnikov hanno? Quante granate di frammentazione? Mine antiuomo?" Secondo i miei interlocutori, l'unica cosa importante era la capacità offensiva che potevano esibire gli insorti.

L'aneddoto aiuta a capire la tragedia del Messico ed, al tempo stesso, la forza della sua gente. Qui, nonostante condizioni assai difficili e preoccupanti livelli di repressione, i movimenti sociali sono, in gran parte, pacifici. La violenza si trova da una sola parte – quella del governo – e, come ebbe a dire Gandhi, la violenza è la risorsa dei deboli.

Ecco il primo dato. È difficile afferrare il perché dell'enorme sproporzione tra violenza ufficiale e domande sociali. A Oaxaca, i 23 morti confermati tra giugno e dicembre 2006 (più un numero ancora imprecisato di desaparecidos) sono da una sola parte, quella dei cittadini che protestano. I 45 martiri di Acteal (dicembre 1997) non erano pericolosi terroristi, bensì gente pacifica, in maggioranza donne (di cui alcune incinta), bambini ed anziani intenti a pregare.

Le donne violentate, gli adolescenti picchiati e le due giovani vite stroncate a San Salvador Atenco (maggio 2006) non rappresentavano una minaccia per la sicurezza nazionale. Tuttavia, è stato applicato loro lo stesso trattamento sadico che abbiamo visto nei documentari su Abu Grahib.

Il dottor Guillermo Selvas e sua figlia Mariana, rilasciati qualche giorno fa dal carcere statale Molino de Flores, non sono pericolosi fanatici disposti ad uccidere, bensì persone che prestavano aiuto medico ad Atenco e per questa tremenda colpa hanno passato un anno, otto mesi e quindici giorni in prigione. Con che accusa? Nessuna, visto che sono usciti scagionati da ogni colpa.

"In Messico non vi é uno stato di diritto, bensì due", dice Mariana. "Uno è per i poveri, l'altro per i ricchi. Le carceri sono piene di persone che lottano per dare da mangiare alle loro famiglie".

Héctor Galindo Ochoa è un giovane avvocato, consulente giuridico del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT), organizzazione contadina che nel 2002 vinse una battaglia per impedire l'espropriazione di terre fertili ed irrigate al prezzo di 7 pesos al metro quadro per costruire un aeroporto. Insieme con Ignacio del Valle Medina e Felipe Álvarez Hernández, Héctor sconta una condanna di sessantasette anni e sei mesi in una prigione federale di massima sicurezza con l'accusa (fabbricata) di sequestro equiparato, il che equivale a una sentenza di morte.

Fa male il reclamo di Magdalena García Durán, una rispettabile signora dell'etnia mazahua, che è rimasta detenuta un anno, sei mesi e cinque giorni, solo per essersi trovata al momento sbagliato nel luogo sbagliato. "Dov'è il diritto? È giusto che mi abbiano incarcerata senza che io sappia di che cosa mi si accusa?".

Parole terribili nella loro schiettezza. Parole che riassumono la condizione dei popoli autoctoni, la cui sensibilità e creatività furono ammirate da scrittori del calibro di Benjamín Peret, il grande poeta surrealista: "in Messico – scrisse molti anni fa – chiunque, per quanto umile, possiede un senso artistico che ha solo bisogno di condizioni favorevoli per svilupparsi. L'amore per i fiori che si può osservare sulle porte e finestre delle abitazioni più umili ne è la manifestazione elementare ed evidente. Se il senso artistico non fosse così diffuso, non si spiegherebbe l'inaudita ricchezza e varietà di un'arte popolare che meraviglia anche il visitante più distratto di qualsiasi mercato messicano".

Nel Messico di inizio millennio, a quanto pare,  l'amore per i fiori è un delitto imperdonabile. Infatti, la strage di Atenco si deve alla solidarietà che alcuni militanti del FPDT espressero precisamente ad alcuni venditori di fiori ingiustamente sgomberati a Texcoco.

 

"La legge più che garantire diritti serve per negoziare privilegi", spiega Frnacisco López Bárcenas, avvocato mixteco, difensore giuridico di San Pedro Yosotato (Oaxaca), una comunità che da anni lotta per la conservazione dei propri diritti agrari e in cui su tutti i capifamiglia (così come sullo stesso López Bárcenas) pendono mandati di cattura. A Yosotato l'ultimo omicidio risale a poco più di un mese fa. Il 24 dicembre 2007, Plácido López Castro, leader indigeno e figlio del Signor Marcial Salvador López Castro, assessore ai lavori pubblici, è stato giustiziato da tre persone armate.

Chiapas, Atenco, Oaxaca: tre ferite aperte. Però non è tutto. Ci sono anche i 155 desaparecidos degli ultimi quindici anni; le centinaia di donne massacrate a Juárez (e in altre zone) per il delitto di essere povere lavoratrici. C'è il ritorno della guerra sporca con il sequestro (da parte delle forze dell'ordine) e la successiva scomparsa di due militanti dell'EPR. Ci sono gli arresti illegali che – secondo il Foro Detenute politiche e sistema di giustizia penale, organizzato il 24 gennaio da studenti dell'Università statale (UNAM) e della Scuola Nazionale di Antropologia e Storia (ENAH) – dagli inizi degli anni '90 alla fine dell'anno scorso, sono state secondo calcoli conservatori almeno 1.718, di cui 1.480 sono stati già rilasciati e 238 sono ancora in prigione. E ci sono i 267 attivisti sociali detenuti dall'inizio del governo di Calderón (in quello di Vicente Fox ve ne furono 614).

Questa è la realtà che analizza la Commissione Civile Internazionale per l'Osservazione dei Diritti Umani (CCIODH) durante la sua sesta visita al paese. Nata in Europa poco dopo la strage di Acteal, quest'organizzazione lotta da dieci anni contro l'impunità e la violenza ufficiale. È composta da specialisti di diverse discipline e si è guadagnata un solido prestigio che il governo non si azzarda più a mettere in discussione.

"Una visita molto opportuna", spiega il padre Miguel Concha, veterano difensore dei diritti umani e presidente del Centro dei Diritti Umani Fray Francisco de Vitoria. "Una visita – continua – che ha luogo in un momento cruciale. L'esercito pattuglia le strade, i gruppi paramilitari continuano ad essere attivi in Chiapas e in altre parti. Il governo induce la violenza intercomunitaria, insabbiando conflitti agrari. Abbiamo alle porte una riforma giudiziaria che, se sarà approvata, criminalizzerà ulteriormente la protesta sociale, legalizzando le perquisizioni senza autorizzazioni giudiziarie e calpestando la libertà d'espressione e di associazione".

Sì, il Messico è ferito. "La violenza governativa è così comune che non viene più nemmeno registrata. L'apatia e il mal governo sono formule magiche perché tutto continui ad essere uguale", afferma il dottor Selvas. Speriamo che la visita della CCIODH aiuti a rompere il circolo vizioso.



México duele

 

Claudio Albertani

 

 

México duele. Es verdad que en la desdichada geografía del sufrimiento hay países que están muchísimo peor: Irak, por ejemplo, o Palestina. Sin embargo, en Medio Oriente y en otras partes lo que predomina es el trueno de las armas. Recuerdo un intento que hice, hace algunos años, de explicar la rebelión indígena de Chiapas a unos refugiados pakistaníes que conocí en Europa. Yo hablaba de lo novedoso del mensaje zapatista, del papel de las mujeres alzadas, de los proyectos autonómicos… Nada de esto les pareció pertinente. Sus preguntas eran: "¿con cuántos kalashnikov cuentan? … ¿tienen granadas de fragmentación? … ¿minas antihombre?" Según mis interlocutores, lo único importante era la capacidad ofensiva que, en su caso, podrían desplegar los insurrectos chiapanecos.

Esa anécdota ayuda a entender la tragedia de México, pero también la fuerza de su gente. Aquí, a pesar de condiciones sumamente difíciles y preocupantes niveles de represión gubernamental, los movimientos sociales son, en gran parte, pacíficos. La violencia se halla de una parte sola - la del gobierno - y como bien lo explicó Gandhi, la violencia es el recurso de los débiles.  

Este es el primer dato que impresiona al visitante. Cuesta entender el por qué de la enorme desproporción entre la violencia oficial y las demandas sociales. En Oaxaca, los 23 muertos comprobados entre junio y diciembre de 2006 (más un número todavía indeterminado de desaparecidos) están de una parte sola, la de los ciudadanos inconformes. Los 45 mártires de Acteal (diciembre de 1997) no eran peligrosos terroristas, sino gente pacífica, en gran parte mujeres (algunas embarazadas), niños y ancianos que se encontraban de rodillas rezando en una ermita.

Las mujeres vejadas, los adolescentes vapuleados y las dos jóvenes vidas segadas en San Salvador Atenco (mayo de 2006) no representaban una amenaza para la seguridad nacional. Y sin embargo se les aplicó el mismo trato sádico que hemos visto en documentales sobre Abu Grahib.

El doctor Guillermo Selvas y su hija Mariana, recién liberados del penal estatal Molino de Flores, no son peligrosos fanáticos dispuestos a matar, sino personas que prestaban ayuda médica en Atenco y por esta culpa tremenda purgaron un año, ocho meses y quince días de prisión. ¿Bajo qué cargo? Ninguno, pues salieron libres de toda imputación.

"En México hay varios estados de derecho, opina Mariana. Uno es para los pobres y otro para los ricos. Las cárceles están llenas de personas que luchan para darles de comer a sus familias".

Héctor Galindo Ochoa es un joven abogado, asesor jurídico del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra (FPDT), organización campesina que en 2002 ganó una batalla para impedir la expropiación de tierras fértiles al precio de $7.00 por metro cuadrado con el fin de construir un aeropuerto. Junto a Ignacio del Valle Medina, y Felipe Álvarez Hernández purga una condena de 67 (sesenta y siete) años y seis meses en un Penal Federal de Máxima Seguridad por el delito (fabricado) de secuestro equiparado, lo que equivale a una sentencia de muerte.

Duele la pregunta de Magdalena García Durán, indígena mazahua, presa un año, seis meses y cinco días, por haber estado en el lugar equivocado, en el momento equivocado. "¿Dónde está el derecho? ¿Es justo estar presa sin saber de qué se me acusa?"

Palabras terribles en su desnudez. Palabras que resumen la condición de los pueblos originarios, cuya sensibilidad y creatividad admiraron poetas de la talla de Benjamín Peret: "en México – escribió - cualquier hombre, por humilde que sea su condición, encierra un sentido artístico que sólo pide condiciones favorables para desarrollarse. Su amor por las flores –que puede verse en la puerta o en la ventana de la más miserable casucha- es la manifestación elemental y más obvia de este sentido. Por lo demás, si el sentido artístico no estuviera tan generalizado, no podría explicarse el magnífico florecimiento de un arte popular de inaudita variedad y riqueza que maravilla al visitante más distraído de cualquier trivial mercado mexicano".

En el México de principio de milenio, el amor por las flores es un delito imperdonable, pues la masacre de Atenco tiene en su origen la solidaridad que integrantes del FPDT expresaron precisamente a unos vendedores de flores injustamente desalojados en Texcoco.

"La ley más que para proteger derechos sirve para negociar privilegios", explica Francisco López Bárcenas, abogado mixteco, defensor jurídico de San Pedro Yosotato, Oaxaca, una comunidad que, desde hace años, lucha por la preservación de sus derechos agrarios y donde todos los padres de familia (además del propio López Bárcenas) cuentan con orden de aprensión. En Yosotato, el último homicidio tiene poco más de un mes. El 24 de diciembre de 2007, Placido López Castro, líder indígena e hijo del Señor Marcial Salvador López Castro, presidente de bienes comunales, fue acribillado por tres personas armadas.

Chiapas, Atenco, Oaxaca. He aquí tres heridas abiertas. No son las únicas. Están, también, los 155 desaparecidos de los último quince años. Están las cientos de mujeres masacradas en Juárez (y en otra partes) por el delito de ser pobres y trabajadoras. Está el regreso de la guerra sucia con el secuestro-desaparición de dos militantes del EPR. Están las detenciones ilegales que - según el Foro Presas políticas y sistema de justicia penal, organizado el 24 de enero por estudiantes de la UNAM y la Escuela Nacional de Antropología e Historia - de inicios de los 90 a finales del año pasado, "en números conservadores", fueron 1,718, de los cuales 1,480 ya fueron liberados y 238 aún permanecen en prisión. Y están los 267 luchadores sociales encarcelados desde el principio del régimen de Calderón (en el de Vicente Fox fueron 614).

Esta es la realidad que enfrenta la Comisión Civil Internacional por la Observación de los Derechos Humanos (CCIODH) en su sexta visita al país. Nacida en Europa poco después de la masacre de Acteal, esta organización lleva diez años luchando contra la impunidad y la violencia oficial. Está integrada por especialistas en diferentes disciplinas y se ha ganado a pulso un prestigio que el gobierno ya no se atreve a cuestionar.

"Una visita muy oportuna, explica el padre Miguel Concha, veterano defensor de lo derechos humanos. Una visita – sigue el también presidente del Centro de Derechos Humanos Fray Francisco de Vitoria - que se da en un momento crucial. El ejército patrulla las calles, los grupos paramilitares siguen activos en Chiapas y en otros lados. El gobierno fomenta la violencia intercomunitaria solapando conflictos agrarios. Tenemos en la puerta una reforma judicial que, si se aprueba, va a criminalizar todavía más la protesta social pues legaliza los allanamientos sin orden jurídico y conculca la libertad de expresión y asociación".

Sí México duele. "La violencia gubernamental es tan común que ya pasa desapercibida. La apatía y el mal gobierno son fórmulas mágicas para que todo siga igual", precisa el doctor Selvas. Ojalá y la visita de la CCIODH ayude a romper ese círculo vicioso.

 

México, DF, 30 de enero de 2008

 

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