giovedì 19 maggio 2011

Sergio Rodriguez Lascano: La classe politica e la guerra(Parte 1/2)


Scambio Epistolare su Etica e Politica

La classe politica e la guerra

Sergio Rodríguez Lascano

Nella lettera che il Subcomandante Insurgente Marcos scrive a don Luis Villoro, dal titolo "Appunti sulla guerra", si illustra in maniera molto dettagliata il bilancio utilizzato da Felipe Calderón per portare a termine la sua guerra contro la popolazione messicana, seguendo gli obiettivi del vicino mandante del Nord. Questo è molto importante perché, a parte tutto, una guerra deve essere analizzata nei suoi costi. Quello che mi piacerebbe sottolineare, partendo da questo punto relativo ai costi per poi passare ad altri argomenti, è il ruolo che l'insieme della classe politica messicana ha svolto in questa guerra.

Racconta chi c'era, che quando Lenin lesse su un giornale svizzero che la socialdemocrazia di Germania e Francia aveva votato i crediti di guerra che autorizzavano entrambi i governi ad avviare quella follia che si chiamava Prima Guerra Mondiale, pensò che si trattasse di un'edizione falsa di quel giornale. Da allora, è molto importante sapere come si comportano i diversi partiti politici presenti nei parlamenti quando si vota sui soldi per fare una guerra. Sebbene in Messico il presidente ogni anno elabori una proposta di bilancio, chi ne decide l'importo e le destinazioni sono i deputati e i senatori di ogni partito politico.

In Messico, negli ultimi quattro anni - e si potrebbe dire anche negli ultimi dieci anni - i bilanci sono stati votati praticamente all'unanimità, con l'eccezione di alcuni deputati la cui obiezione non riguarda il bilancio di guerra. Con questo possiamo dire che la guerra che ha deciso di lanciare Calderón ha contato sull'avallo e l'appoggio di tutta la classe politica messicana. L'unica critica che gli muove il dissidente contumace, López Obrador, si incentra unicamente sul fatto che Calderón ha sollevato un bel vespaio, e così - volente o no - cade nella logica che il governo ha tentato di imporre: che ci troviamo di fronte ad una guerra contro il crimine organizzato, in particolare, contro il narcotraffico.

Nello stesso modo in cui Felipe Calderón utilizza questa guerra come suo unico elemento di legittimazione, la screditata classe politica messicana si aggrappa a questa guerra e giura e spergiura che, accada quel che accada nel 2012, questa politica non cambierà.

Recentemente, la dichiarazione di un vecchio priista ha suscitato clamore. Sócrates Rizzo García, ex governatore di Nuevo León, ha detto: "Durante i regimi priisti, il presidente della Repubblica aveva il controllo sulle rotte del narcotraffico, cosa che impediva che ci fossero attacchi alla popolazione. In precedenza, i presidenti definivano le strade che doveva seguire il traffico di droga per non coinvolgere la società civile... In qualche modo, si era risolto il problema del transito della droga. Esisteva un controllo e c'era uno stato forte ed un presidente forte ed una Procura forte e c'era il ferreo controllo dell'esercito... Dicevano: 'Tu passi di qui; tu di qua; ma non toccare questi posti'... ". Subito, Enrique Peña Nieto ha dichiarato che se arriverà alla presidenza, continuerà la strada intrapresa da Calderón.

Marcelo Ebrard insistentemente ha dato il suo appoggio a Calderón in questa guerra, sostenendo che sarebbe stato meschino lesinare l'appoggio. Il consenso alla guerra comprende molti altri e molte altre istituzioni. Tutti i governatori degli stati e praticamente tutti i sindaci condividono questa strategia. Per questo, governatori e sindaci di varie regioni del paese hanno respinto le dichiarazioni di Felipe Calderón, nel senso che sfuggivano dalle loro responsabilità nella lotta al crimine organizzato, e gli hanno chiesto di "precisare meglio" le sue parole, perché sembra avere un panorama incompleto di quello che accade.

Felipe Calderón in un intervista ha dichiarato che in stati, municipi ed in altri ambiti del potere pubblico si elude la corresponsabilità prevista dalla Costituzione per affrontare in forma congiunta il crimine organizzato. Ha detto che quei livelli di governo credono che "sia facile passare la palla al governo della Repubblica". Mario Anguiano, mandatario di Colima, ha detto che in nessuna circostanza ha eluso "né sfuggiremo mai da questa responsabilità costituzionale e stiamo lavorando in funzione degli obiettivi che abbiamo definito e garantiremo la sicurezza alla popolazione". Al di là degli sfoghi isterici di Calderón, la realtà è che tutti sono coinvolti in questa politica.

Si potrebbe dire, ed è vero, che esiste una forte corruzione tra i governatori o i presidenti municipali, ma questo non è diverso da quello che accade nell'insieme delle istituzioni federali. Così, per esempio, il Revisore dei Conti Superiore della Federazione (ASF) ha riscontrato errori amministrativi ed omissioni in una fiduciaria della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena) che, nel 2009, ha gestito risorse per 1.640 milioni di pesos "per urgenze e spese per la sicurezza nazionale". Nella revisione delle risorse, l'ASF ha rilevato la mancanza di licitazioni negli acquisti e contratti milionari che fanno perdere risorse all'Esercito, tra altre anomalie. Per un contratto firmato con un'impresa russa per la riparazione di cinque elicotteri, la Sedena ha dovuto sborsare 10,5 milioni di pesos solo per la cancellazione dell'accordo, poiché le condizioni non erano convenienti per l'ente.

Ugualmente, si potrebbe dire che molti governatori o presidenti municipali o deputati fanno parte delle reti del crimine organizzato, ma la stessa cosa si può dire di una serie di agenti federali, membri delle forze armate o dello stesso potere esecutivo.

Mentre l'insieme della classe politica partecipa attivamente a questa guerra, i presunti obiettivi che si è posta per portarla a termine non solo sono lontani, ma lo sono più che mai. La violenza non è diminuita, ma è aumentata in maniera esponenziale. Ogni settimana si supera il record precedente di violenza. Ogni volta sono più morti, ogni volta più scomparsi, ogni volta più arrestati, ogni volta più bambini coinvolti nella guerra, da una parte e dall'altra. Per esempio, la Rete per i Diritti dell'Infanzia in Messico (Redim), formata da 67 organizzazioni civili, ha documentato che, nel 2009, la Segreteria della Difesa Nazionale ha arruolato dei minorenni nel servizio militare anticipato per lo sradicamento di coltivazioni di marijuana e papavero. Ha inoltre denunciato, sulla base di documenti ufficiali, che nella lotta dell'esercito contro il narcotraffico partecipano dei minorenni reclutati mediante il Servizio Militare Nazionale ed il Sistema Educativo Militare. Lo scorso 31 di gennaio, la Redim ha presentato il documento "Infanzia e conflitto armato in Messico", elaborato con informazioni della stessa Sedena, nella cui Terza Relazione dei Lavori 2009 consta che, dal 25 maggio al 1 agosto di quell'anno, 314 adolescenti hanno svolto questo compito in Michoacán. Secondo la Redim, è la prima volta che "si sa" con certezza che degli adolescenti sono coinvolti in azioni di "lotta contro il narcotraffico".

E se l'obiettivo di ridurre la violenza non si raggiunge, non lo è neppure quello di ridurre il consumo di droga. Mentre il consumo di marijuana nel paese aumenta, la distruzione di colture di questa droga ed i sequestri diminuiscono. Durante l'amministrazione del presidente Felipe Calderón, la media annuale della distruzione di coltivazioni documentata dall'esercito è inferiore a quella dei mandati di Ernesto Zedillo e Vicente Fox. Dal 1995 al 2000, secondo la relazione della Segreteria della Difesa Nazionale, ogni anno venivano distrutti 19.523 ettari di marijuana, in media; dal 2001 al 2006, la cifra è stato di 25.800; ma nell'attuale  amministrazione, dal 2007 al 2009, è crollata a 17.014 ettari l'anno.

Il consumo di droga in Messico è schizzato: il suo valore attuale sul mercato nazionale supera gli 8.780 milioni di dollari l'anno, secondo informazioni della Segreteria di Pubblica Sicurezza (SSP) federale. "In Messico è aumentata in maniera importante la dipendenza, e devo segnalare che è uno dei fattori più importanti che bisognerebbe denunciare e assistere", ha ammesso il suo titolare, Genaro García Luna durante la sua comparizione davanti ai legislatori. "La parte più importante nel consumo è occupata dalla marijuana, con una proporzione quadruplicata negli ultimi dodici anni".

Naturalmente, per realizzare un'analisi completa sull'argomento è impossibile non considerare che si tratta di un grande affare. Affare del quale fanno parte i grandi industriali del paese e del mondo. E fino a che questo sarà un grande affare, i capitali continueranno a fluire verso questo settore.

Come segnala il Subcomandante Insurgente Marcos nella lettera citata, in questo grande affare il capitale nordamericano guadagna su due fronti: vendendo armi alle forze incaricate della violenza dello Stato e vendendo le stesse armi ai capi della droga. Lo fa anche, ed ora si sa, dagli uffici stessi delle istituzioni incaricate di vigilare sulla vendita delle armi.

Ma l'affare non si ferma lì. Secondo Víctor Cardoso, del quotidiano La Jornada, nei quattro anni del governo di Felipe Calderón sono stati riciclati 25.991 milioni di dollari. Parlando solo di quello che si lava attraverso il sistema bancario, per non parlare della quantità di hotel, scuole, centri ricreativi, eccetera, che sono semplicemente la facciata che occulta il riciclaggio di denaro sporco.

Stando così le cose, possiamo dire che, dentro le finanze di questa guerra, è possibile incontrare il sistema bancario messicano, oggi prevalentemente in mani straniere, e dunque non si può negare che una buona parte della quantità di soldi che si trovano in questo settore viene dal narcotraffico.

Inoltre, sappiamo che ogni anno entrano in Messico 29 mila milioni di dollari dal narcotraffico. Questo spiega, in buona parte, perché il Messico nel 2009 non sia caduto in una crisi peggiore ed quello che sta dietro la ripresa tanto esaltata del 2010, in un momento in cui le esportazioni di petrolio sono minori così come l'entrata di valuta grazie alle rimesse degli emigrati. Questa cifra è superiore a tutto l'Investimento Straniero Diretto che solo l'anno scorso è stato di 16 mila milioni di dollari, e di questo affare beneficia una buona parte della classe politica messicana. Per questo, questa guerra non è realmente contro il narcotraffico, perché sarebbe come tagliare la mano che ti nutre.

Il potere corrompe dice la vecchia massima, ma il potere e il denaro corrompono due volte. Per questo il panorama nel Messico del 2011 è quello di funzionari dello Stato che scoprono le mille e una strada per accedere a quella fonte inesauribile di entrate. Nella loro opera Mil mesetas, Delleuze e Guattari dicevano: "Così come il capitale cresce in maniera costante e smisurata rispetto al capitale variabile, la guerra diventa sempre più una guerra di armamenti. La crescita della composizione organica di capitale si traduce così nella crescita della composizione organica di capitale militare".

Con questo si è aperta un'epoca di degrado ed umiliazione. Una guerra fatta con l'ordine di combattere il crimine organizzato cerca di contendere a quest'ultimo i guadagni. Si tratta dell'azione degradata del potere che utilizza una copertura ideologica per uno scopo inconfessabile. Ma vuole anche un'altra cosa: umiliare la società, facendole pagare i costi di sangue di questa guerra, cercando di distruggere l'ambito collettivo che trova sul suo passaggio; ogni ambito sociale che riesca a calpestare. Epoca di degrado e umiliazione che tutto annuncia proseguirà dopo il 2012 mentre si sta realizzando tutto quello che i candidati avevano presentato nel 2006; compreso quello che López Obrador aveva esposto nel suo libro Proyecto alternativo de nación, in cui segnalava che era giusto utilizzare l'esercito contro i narcos, poiché si trattava di un problema di sicurezza nazionale.

Oggi, in Messico, le elite politiche ed economiche che esercitano il potere, inteso non unicamente come l'esecutivo ma come l'insieme del potere, incarnano gli obiettivi più eccessivi tanto nell'accaparramento di denaro come di capacità di comando sulla società.

Tuttavia, questo slancio, questa volontà, questa apparente sicurezza svanisce quando il suo padrone alza la voce perché gli hanno ucciso un agente doganale, invece di chiedersi, là in alto, cosa ci faceva un agente doganale degli Stati Uniti a San Luis Potosí - forse la dogana non è più sul Río Bravo?- no, immediatamente, si scopre "l'assassino".

Gli esperti sui mezzi di comunicazione mettono in discussione la rapidità con la quale si è saputo nel vicino paese del nord dell'arma assassina e dove è stata venduta, e non mettono in discussione il fatto che, in due giorni, lo Stato messicano - lo stesso che non sa chi ha assassinato Maricela Escobedo, lo stesso incapace di trovare chi ha ucciso gli studenti dell'Istituto Tecnologico di Monterrey, lo stesso che ha quasi distrutto la famiglia Reyes - ora, in due giorni, trovi un ragazzo, si presume l'assassino del funzionario statunitense, conosciuto come el Piolín.

Il problema che sorge dall'inizio è il seguente: quale è il livello di credibilità del potere politico in Messico? Perché dovremmo credergli? Chi può dire che i 35 mila assassinati in questa guerra erano membri del crimine organizzato? Perché davanti alle telecamere appaiono con armi, pistole, granate, fucili? Lo Stato, storicamente, non si è mai premurato di mettere davanti alle telecamere qualche ragazzo, vivo o morto, circondato da un arsenale? Ci siamo già dimenticati degli anni della guerra sporca contro le organizzazioni rivoluzionarie?

Queste domande sorgono, soprattutto, quando si conoscono bene le velleità cinematografiche del genio della menzogna, García Luna, che monta operativi a beneficio dei mezzi di comunicazione.

Per questo ha ragione Julio Scherer quando, nel suo libro Historias de muerte y corrupción, dice: "Dietro ogni vittima c'è un nome, un cognome, una storia, ma arriverà il giorno della resa dei conti da parte di chi si è visto coinvolto in questa tragedia che non cessa".

..... segue


Sergio Rodriguez Lascano: La classe politica e la guerra(Parte 2/2)


Tutto questo in piena democrazia rappresentativa

Già nel numero precedente avevamo parlato del carattere di Stato d'emergenza che sta acquisendo lo Stato messicano, che lo sta trasformando in uno Stato penale di controllo che ha perso ogni prospettiva di legittimità sociale, a partire dalla mancanza di consenso. Il dominio è diventato crudo, privo di qualsiasi copertura sociale. Per questo, per il potere tutto è guerra.

Ma la cosa peculiare è che tutto questo si svolge nella cornice del sistema di democrazia rappresentativa, con un potere legislativo e giudiziario apparentemente separati dall'esecutivo.

Dalla prospettiva di detta democrazia rappresentativa, nessuno sta presentando un progetto di nazione diversa, non diciamo socialista - che sarebbe chiedere troppo - ma semplicemente alternativo alla politica della terra bruciata che si sta portando avanti contro la società e il paese.

In ultima istanza, se qualcuno vuole un'ulteriore dimostrazione dei limiti di questo sistema rappresentativo, oggi la può trovare in quello che sta accadendo in Messico.

Hanno diviso il paese in amici e nemici. I primi si trovano nel potere politico ed economico, e i secondi sono ogni cittadino al quale si vogliono togliere tutti i diritti, ad eccezione di quello di votare per i suoi carnefici.

Questo sistema consente solo una cittadinanza sotto controllo; per questo il cumulo di leggi che vogliono criminalizzare, non diciamo la protesta sociale, ma chiunque voglia esercitare i propri diritti più elementari come quello del libero transito o quello di fare una festa con gli amici, o uscire di scuola e camminare per le strade, o essere un vero difensore dei diritti umani, o dipingere graffiti, o chiamarsi Reyes, o vivere ad Apatzingán o a Ciudad Mier o a Ciudad Juárez, o quello di non andare negli Stati Uniti, o andare ad una festa, o, perfino consumare uno stupefacente.

Gli unici che hanno diritti sono i membri della classe politica e quelli che appaiono nell'elenco della rivista Forbes.

La democrazia rappresentativa, si presume, ha come base il fatto che il potere è il risultato di un'autorizzazione concessa da tutti e da ognuno degli individui. Questo, ora è chiaro, non è così. Il potere esiste nonostante lo stato di malessere che regna nella società, ed ora governa per i mezzi di comunicazione e per sé stesso.

Prima, il potere rappresentativo esisteva in funzione dell'esistenza dei diritti dell'essere umano. Oggi, questo potere rappresentativo si è trasformato in una brutta caricatura da quando i messicani sono stati espropriati dei propri diritti.

L'obiettivo non è più semplicemente garantire la vendita della forza lavoro, ma il controllo della vita stessa (il biopotere) dei cittadini in quanto tali: di quello che fanno, con chi passeggiano, con chi vanno alle feste, con chi giocano, con chi convivono, con chi si rapportano, con chi fanno l'amore.

In questo senso, si vuole generare l'idea di unanimità, di omogeneità. Non sorprende la campagna a favore del film Presunto colpevole, prodotta e diretta dagli avvocati degli assassini di Acteal. Tutti nella classe politica si sono lanciati nella difesa della libertà di espressione, come se questa fosse in pericolo, quando è completamente inesistente per la stragrande maggioranza della società, e si perseguita un ragazzo che aveva osato presentare un ricorso, mentre non è stato interpellato sull'utilizzo della sua immagine in un documentario che non è vero che semplicemente rifletteva quello che era successo in tribunale, ma rivelava quello che il direttore e l'editore volevano.

E' stato patetico sentire commentatori "progressisti" parlare di qualcuno che strumentalizzava quel ragazzo, perché non poteva essere che uno così ignorante, che aveva fatto solo le elementari potesse presentare un ricorso.

Con un'azione di potere sono stati eliminati i diritti civili di un giovane povero, mentre gli avvocati dei criminali vivevano i loro 15 minuti di gloria. Queste sono le cause di tutta la classe politica. Ed i morti di Acteal? Qui è meglio voltare pagina e non importunare le buone coscienze che controllano i mezzi di comunicazione. Qui abbiamo un buon esempio di quello che in altri paesi è noto come "governanza". Si crea l'immagine che, dalla società civile, esiste un movimento per frenare gli "eccessi" dello Stato e tutti i mezzi di comunicazione si muovono in quella direzione. Lo Stato felice crea un movimento di distrazione. Alla fine, si autorizza l'esibizione del documentario che mostra che la società civile ha vinto, la libertà di espressione è garantita. Nel frattempo, la guerra rade al suolo il paese.

Si può dire lo stesso dei partiti politici, concentrati come sono nel 2012. Tutti sono fuochi artificiali: alleanze sì o no, l'arrivo di Moreira al PRI, la crisi terminale del PRD, le campagne di AMLO ed Ebrard, eccetera.

Nessuno si occupa né si preoccupa dei 35 mila morti, del fatto che il mandante del Nord inonda con armi il territorio nazionale. L'unica cosa che a loro interessa è quello che succede nella propria bottega. Mai prima nella loro storia, la classe politica e le istituzioni statali sono state così inutili come oggi.

"Se prendo uno Zeta lo uccido. Perché interrogarlo?"

Così ha dichiarato il titolare della Sicurezza della città di Torréon, il generale Carlos Viviano Villa Castro. Questa è la filosofia dei militari in questa guerra. Il problema è che con questa dichiarazione è evidente che viviamo in stato di emergenza. Il fermato non richiede un processo, neanche un interrogatorio; la sola cosa da fare è ucciderlo.

A questo si aggiunge che il generale dice che bisogna "avere le palle". E' comprensibile quando si ha il cervello nei genitale, e così, aggiunge: "Io diffido dei poliziotti federali perché non uccidono, arrestano soltanto". Ma, più ancora, basta e avanza che il generale creda che si tratti di uno Zeta per ucciderlo. E questo riguarda i testimoni sotto protezione, le voci, il non fermarsi ad un posto di blocco, ecc. Ed il generale dice che tutto questo fa parte del "codice d' onore".

Stato penale di controllo man mano che si riduce lo Stato sociale: non si tratta più di prevenire o di aiutare, si tratta di infliggere punizioni. Tutti siamo suscettibili di punizione, di morte. La punizione come metodo pedagogico. Come insegnare? Con le pallottole.

Naturalmente, dietro c'è l'obiettiva centrale di questa guerra che come abbiamo già visto non è sconfiggere il narcotraffico, ma distruggere il tessuto sociale. Paralizzare con la paura. Governare attraverso questi strumenti.

Per i mezzi di comunicazione, questi sono i nuovi eroi nazionali, per lo meno li presentano come qualcosa di spiritoso, folcloristico. Dietro, la realtà è che questa è la nuova filosofia del potere. E qui è indispensabile ripeterlo: non è un solo uomo il portatore di questa filosofia, ma l'insieme della classe politica, per azione o per omissione, è comproprietaria di questa struttura politica che si chiama Stato penale di controllo.

L'alternativa può venire solo dal basso

Se, come abbiamo detto e dimostrato, a nessuno là in alto importa niente di questo problema, ma sono la causa dello stesso; la sola alternativa reale, più reale che mai, verrà dal basso.

Seguendo le orme dei ragazzi che a Ciudad Juárez hanno deciso di controllare la loro paura ed uscire per strada a mostrare il corpo, comprendendo qualcosa che in prima istanza è complicato capire: che è lo Stato a causare il terrore; che questo è responsabile di aver messo la società civile nella situazione in cui si trova; che non è possibile parlare di due bande, mentre uno, lo Stato, è l'unico responsabile, in teoria, nel garantire la sicurezza dei cittadini.

Seguendo le orme di coloro che, tra i popoli originari, lottano per non permettere che i propri territori si trasformino in zone militarizzate e si perdano tutti i segni d'identità delle comunità.

E, soprattutto, seguendo le orme delle comunità zapatiste che hanno dimostrato, nel momento più terribile del paese, quando sembra che tutto sia ormai terra bruciata, che si può costruire un'altra cosa: una dove i militari non hanno potuto introdurre la loro filosofia di morte; dove lo Stato e la classe politica non sono riuscite ad imporre la loro agenda. Un'altra cosa dove la violenza è esiliata e si impone solo quando i paramilitari del PRI, del PRD o del Partito Verde attaccano su ordine del governatore più popolare del quotidiano La Jornada.

Lì dove non entra la droga, lì dove ciò che avanza è l'educazione, la salute, i progetti agroecologici. Lì, dove si sta costruendo il nuovo che ci permette di avere un punto di riferimento e propaganda in tutto il paese e nel mondo.

Come è stato possibile arrivare a questo?

Una parte della società civile è stata abbagliata dai giochi elettorali. Dice si sia costituito un governo legittimo, ma sembra che a questo governo i problemi reali della società facciano un baffo, e la sola cosa che ripete, in un interminabile e noioso monologo, è che è necessario prepararsi per il 2012. E, mentre si arriva a quell'appuntamento, se ci saranno altri 16 mila morti, anche questi saranno danni collaterali per raggiungere il grande obiettivo (che, d'altra parte, è sempre più remoto).

Mentre in alto si fa questo, in basso, non senza difficoltà, si sono costruite nuove organizzazioni che, indipendentemente dalla loro dimensione, fanno quello che devono fare; ancora una volta possiamo riprendere l'esempio di Ciudad Juárez.

Il malessere di fronte all'epoca in cui viviamo, epoca di morti, desaparecidos e imprigionati; epoca piena di soldati per le strade sempre con le armi spianate; epoca di canaglie che dagli scranni parlamentari si vantano della propria inettitudine e malvagità; epoca in cui, dalle corti, inclusa quella suprema, si dà copertura legale all'estremamente illegale; questa epoca richiede che avanzino le organizzazioni sociali per frenare la mano visibile del crimine che lo Stato sta compiendo. Nuove organizzazioni che guardino le comunità zapatiste e dicano "sì, si può". Organizzazioni sociali che impediscano che questo paese sia raso al suolo dalla politica che dall'alto ha decretato che "tutti sono miei nemici".

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)

 

Intervento di Sergio Rodríguez Lascano in castigliano: http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/11rodriguez.pdf


giovedì 12 maggio 2011

Intervento di Gustavo Esteva su Etica e Politica - Parte1/2

 

Scambio Epistolare su Etica e Politica

 

Questione di interezza

Gustavo Esteva

 

Marzo 2011:

Don Gustavo: Saludos. Abbiamo letto uno dei suoi ultimi scritti editi e crediamo di trovarci sulla stessa barca. Per questo vogliamo invitarla a scrivere su questo dimenticato e disdegnato (da chi sta in alto) tema dell'Etica e Politica. Un abbraccio. SupMarcos.

 

Interezza. a. Integrità | b. Rettitudine | c. Forza, costanza, fermezza d'animo.

 

Mi azzardo ad entrare in conversazione. Non voglio interferire. Ma nemmeno posso non farlo: tanto le circostanze come la lettera impongono esigenze etiche. E mi accingo a partecipare sostenuto dalle stampelle prestate da qualche amico - qualcuno vicino e immediato ed altri con la vicinanza data dai libri e dalle incarnazioni delle loro idee.

 

Pensare con la propria testa

Domandando provocatoriamente se pensiamo e perché ci rifiutiamo di farlo, Pietro Ameglio poco tempo fa ha mostrato il modo in cui il rumore a cui siamo continuamente sottoposti ostacola i pensieri e porta ad accettare infantilmente quello che viene affermato con autorità. Evoca Fromm quando segnala che, per ottenere questo risultato, si procede col distruggere ogni immagine strutturata del mondo, riducendola a piccoli pezzettini, ognuno separato dall'altro e sprovvisto di qualunque senso di totalità. I notiziari televisivi, mescolando notizie di massacri o ingiustizie sociali con cronache rosa o sport, illustrerebbero questo dispositivo che ci conduce ad ubbidire all'autorità, a piegarci ai suoi ordini. Per questo Pietro ci chiede di pensare, come condizione per essere liberi. E cita Canetti: "L'uomo libero è quello che ha imparato a liberare gli ordini" e non quello che, come un soldato, "è costantemente in attesa di essi". 1

Arrivo all'argomento, anche prima di mettere le carte in tavola. Mi chiedo, con allarme e preoccupazione, perché milioni di messicani sono in attesa dell'ordine che indicherà loro cosa segnare sulla scheda elettorale l'anno prossimo… Mi domando come potremmo riflettere criticamente su quello che è davvero importante, senza cortine di fumo né fuochi d'artificio.

 

Pensare criticamente

Nella lettera, il sup segue don Luis per mostrare come la filosofia può prendere il posto della religione al fine di giustificare la dominazione e la barbarie, conferendo loro un fine accettabile, e come i mezzi di comunicazione di massa prendono ora il posto della filosofia in questa funzione.  

Riflettendo sulla fine dell'era attuale, in una conversazione con David Cayley, Illich fa riferimento agli annunci pubblicitari che ci inondano di istruzioni e consigli che non sono più trasmessi con delle frasi, ma con icone. Le immagini sono impiegate come argomenti. "Un'icona è una cornice, scelta non da me, ma da un altro per me. Non è il caso di una frase: mediante quella libertà singolarmente bella e inerente al linguaggio che impone al mio interlocutore di aspettare pazientemente che mediti quelle parole nella mia bocca, le mie frasi possono sempre rompere la cornice che tu vuoi imporre loro. L'icona, invece, fissa subito ciò che evoca, producendo una paralisi visiva che immediatamente viene interiorizzata… La rappresentazione visiva, iconica, determina la parola al punto che non si può più pronunciare una senza evocare l'altra". Per Illich, "la guerra del Golfo, quella guerra informatizzata che ha mostrato agli uomini la sua perfetta impotenza e contemporaneamente la sua grande assiduità dagli schermi sui quali la videro" illustra bene la condizione a cui siamo arrivati.

Illich in quell'occasione ricordava che uno dei suoi amici, il linguista tedesco Uwe Pörksen, chiamava quelle icone visiotipi, che sono forme elementari di interazione sociale che, al contrario delle parole, non permettono di formulare una frase. Nascono quando già si sono generalizzati gli "spazi virtuali" che sono apparsi negli anni settanta. "Ogni volta che vediamo un visiotipo lasciamo che la virtualità di cui è portatore ci contamini".

Faccio questo giro perché pensare alla libertà richiede oggi di difenderci attivamente dai visiotipi che ci catturano col loro bombardamento programmato dagli specialisti e formano percezioni generali. Questo sarà sempre più difficile. Siamo in una nuova fase di programmazione. Siccome la guerra ha creato "più gente spaventata che gente insicura", ora si cercherà di far sì che i media "modulino con rigore e intelligenza l'informazione". Così Héctor Aguilar Camín ha spiegato il nuovo decalogo che uniformerà i criteri editoriali dei principali mezzi di comunicazione del paese. Alle 10 del mattino del 24 marzo, i 10 comandamenti dell'Accordo per la Copertura Informativa della Violenza furono presentati su una "catena nazionale volontaria" alla presenza di alti "rappresentanti" della società - lo stesso rettore della UNAM che i dirigenti del Consiglio Messicano degli Industriali, l'Unione Nazionale dei Genitori o il Comitato Centrale della Comunità Ebraica… Felipe Calderón celebrò immediatamente l'Accordo, preso per "non ignorare la violenza che quotidianamente accompagna i messicani in tutti gli ambiti della vita". Gli sembrò "cruciale per consolidare la politica dello Stato in materia di sicurezza". Avrebbe permesso "la gestione dell'informazione legata alla violenza".

Cittadini allarmati, coscienti della nuova minaccia, reagirono immediatamente su twitter contro questa "gestione": "uniformare invece di informare"; "nasce un nuovo cartello della disinformazione"; "meglio che la censura, l'autocensura"; "perché non si senta parlare di massacri prima delle elezioni"… Qualcuno decise di "spegnere la televisione e la radio". Va bene, ma non basta scollegarsi. Per pensare con la nostra testa bisogna arrivare alla riflessione critica. "L'etica critica inizia", scrisse Villoro, come cita il sup, "quando l'individuo si allontana dalle forme di moralità esistenti e si pone domande sulla validità delle sue regole e comportamenti. Può comprendere che la moralità sociale non rispetta le virtù che proclama". Gli zapatisti ci convocano oggi a praticare questa etica critica.

In un momento come questo, dice Jean Robert, una dimensione etica addizionale permette di raggiungere "una nuova comprensione del nostro posto nel mondo e nella storia". Esplorando il suo significato, Jean ricorda cosa diceva Hugo, l'amico di Illich nel secolo XII: "attraverso quello che si dice di fare, si vuole dire qualcosa che si deve fare". Di questo si tratta, in effetti. La guerra zapatista "è una guerra per smettere di essere quello che ora siamo e così essere quello che dobbiamo essere", sottolinea il sup, perché "vuole annullare il terreno della sua realizzazione e le possibilità dei contendenti" (zapatisti compresi), e si riconosce in altri "che anelano un mondo senza eserciti". Se ci arrendiamo, ci fanno essere quello che non siamo. Invece di farci essere, senza senso critico, dobbiamo passare alla condizione in cui quello che facciamo è anche quello che dobbiamo fare.

 

La via armata

"La guerra è pace", "La libertà è schiavitù", "L'ignoranza è forza". Queste erano le parole d'ordine del Partito Interno nel racconto allucinante di Orwell.

Tutti i giorni si ripete che la violenza di ogni tipo scatenata contro di noi non ha altro scopo che "portare tranquillità e sicurezza ai messicani". Così ha detto Felipe Calderón celebrando l'accordo sull'uniformità, la censura e la disinformazione, che sarebbe "pieno rispetto della libertà di espressione e della libertà editoriale".

Sì, ha detto questo.

Orwell ricorse alla sua immaginazione letteraria per avvertirci della strada che seguivano gli Stati del suo tempo - strada che sembrava invisibile benché fosse sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo trasferire il suo avvertimento nella nostra attuale situazione.

Andrés Manuel López Obrador ripete continuamente che le uniche opzioni per accedere al potere politico sono la via armata e l'esercizio elettorale. Siccome la prima sembra essere condannata dalla storia dalla maggioranza dei messicani, secondo lui non ci resta altra scelta che le elezioni. Per questo, contro ogni esperienza, dobbiamo concentrare la nostra energia su quelle del 2012; ora sì, afferma, potremo sconfiggere la mafia politica che si è impadronita del paese.

È vero che la maggioranza dei messicani respinge la violenza. Ma nella sua rappresentazione orwelliana AMLO dissimula che queste opzioni politiche sono diventate una. Felipe Calderón ha adottato la via armata. Incapace di governare con un potere politico che non ha mai avuto - come ha constatato perfino l'ambasciatore statunitense - è ricorso ad esercito e polizia per dimostrare che governava, immagine che i media si sono affrettati a rafforzare. Le elezioni fanno parte del dispositivo. Cambiare killer non modifica la caratteristica dell'arma né la sua funzione.

"Perché - rileva la lettera a don Luis - perché la presunta grande organizzazione nazionale che si prepara affinché nelle prossime elezioni federali vinca un progetto alternativo di nazione, non fa qualcosa adesso? Se pensano di poter mobilitare milioni di messicani a votare per qualcuno, perché non mobilitarli per fermare la guerra e far sì che il paese sopravviva?".

Non cadiamo nella trappola di valutare l'entità e la qualità di questa "organizzazione nazionale", ancora rinchiusa nelle sue beghe di cortile, che si spegneranno solo nel circo mediatico della campagna elettorale. Speculare sulle sue possibilità non sarebbe pensare liberamente. Implicherebbe attenersi agli ordini del Ministero della Verità e del Partito Interno, rifiutarsi di pensare.

Dobbiamo rendere evidente, come dice don Luis, che la moralità attuale non ha le virtù che proclama. Il paese cade a pezzi. "Si sta distruggendo il tessuto sociale su quasi tutto il territorio nazionale". Dalla guerra attuale "non solo ne verranno migliaia di morti.... e lauti  guadagni economici. Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione distrutta, spopolata, irrimediabilmente spezzata". È questo quello che ci sta accadendo. Dobbiamo guardarlo con chiarezza per agire di conseguenza. Queste proposte, invece, sostenendo in maniera equivoca, che non c'è altra strada che le elezioni, ci condannano alla paralisi. Vogliono alimentare illusioni statistiche per inciampare di nuovo nella stessa pietra. Ostacolano la nostra attuale lotta.

È necessario riconoscere fortemente, senza vacillare, senza paura, la condizione in cui siamo. Al margine di qualsiasi discussione teorica e storica sul valore e sul significato della democrazia rappresentativa, le elezioni oggi in Messico non costituiscono un'autentica alternativa politica. Non importa chi vincerà. Sono solo un'altra forma della via armata che prevale nel paese, quella che tiene la quinta parte dei messicani negli Stati Uniti ed esclude gli altri, abbassa le loro condizioni di vita, distrugge i loro ambienti naturali e cancella passo dopo passo le loro libertà.

Le elezioni di 2012 non farebbero largo al cambiamento per ricostruire in pace quello che rimane del paese. Esposte come unica opzione, presuntamente pacifica, non sono altro che un ingrediente in più della guerra scatenata contro di noi. Contribuiscono ad estenderla ed approfondirla. Alzano un muro, nella percezione di milioni di persone, che impedisce loro di costruire un'alternativa reale.  

Alcuni, diceva Foucault, vogliono cambiare l'ideologia senza modificare le istituzioni: sostituire solamente le teste. Altri vogliono riformare le istituzioni senza cambiare l'ideologia. Quella che manca è l'incontro simultaneo tra ideologie e istituzioni. Per questo dobbiamo chiederci in che misura si impone, oggi e qui, quello che esprime con eloquenza Ali Abu Awwad, un giovane palestinese che guida un nuovo movimento nei territori occupati da Israele: "La pace stessa è la strada per la pace…e non c'è pace senza libertà".


.... segue


Intervento di Gustavo Esteva su Etica e Politica - Parte2/2


Il Messico non è Gaza

No, no lo è. Ma potrebbe esserlo. Esistono analogie scandalose che meritano considerazione. Non sarebbe utile riflettere su alcuni somiglianze raccapriccianti, come quella che sembra esistere tra i palestinesi in Israele ed i messicani in Arizona? O la sproporzione tra la forza militare/fisica di Israele e quella della Palestina e quella che esiste tra i corpi militari, polizia, paramilitari e parapolizie degli Stati Uniti e del Messico, da una parte, e la gente, dall'altra? E c'è qualcosa di più grave di queste analogie. La cosa più grave, là e qui, è il silenzio, l'abitudine: abituarsi a vedere con naturalezza l'insopportabile.

Molte voci esprimono, dentro lsraele, crescente preoccupazione per gli atteggiamenti che osservano nella loro società. Neppure riescono a risvegliarla gli orrori del recente libro che riporta le testimonianze dei saldati israeliani che hanno partecipato negli ultimi 10 anni all'occupazione della Palestina. "Quello che passa come normalità sotto l'occupazione", segnala David Shulman, "è anche peggiore che negli anni di combattimento per il giogo incessante, quotidiano, disumanizzante. Chiunque leggerà questo libro vedrà il modo in cui l'occupazione si è trasformata in un sistema degradante di controllo… Ho constatato gli effetti devastanti della droga dell'abitudine… Ho visto come il male, inserito in un sistema ramificato e spesso impersonale, può scomporsi in piccole azioni quotidiane che, per molto ripugnanti che siano al principio, presto diventano routine" . 2

Non voglio mettere l'analogia al servizio del mio argomento. Forse, dopo l'Accordo, dagli schermi scompariranno gli spettacoli di violenza che sono andati aumentando. Si ridurrà la dose di droga. Forse, come hanno commentato flemmaticamente alcuni giornalisti dopo aver ascoltato il decalogo dei criteri editoriali, cambierà il linguaggio. Ora si dirà: "Due decapitati con poca violenza". Oppure: "Gli asociali hanno smembrato gli arti della vittima che non ha sofferto"… Mi preoccupa che in qualche misura ci siamo abituati a quelle immagini di violenza. Ma mi preoccupa molto più che si sia fatta l'abitudine alla criminalizzazione dei movimenti sociali. I media si accanirono in alcuni aspetti della violenza ad Atenco o Oaxaca. Ma eludono od omettono sempre di più quella che si impiega quotidianamente in tutto il paese contro i più diversi movimenti sociali, ed in particolare quella che si è impiegata per anni in tutti i territori indigeni e contro le comunità zapatiste e che si è recentemente intensificata.

Mi preoccupa che questo silenzio non copra solamente i media ma abbracci già ampi settori sociali - perfino quelli che teoricamente difendono le cause popolari. Gli stessi che denunciano con risalto ogni gesto di Calderón o dei suoi rivali politici. Quelli che proclamano il loro impegno per la giustizia sociale o per il bene del paese e promettono di riportare quello che i neoliberali ci hanno tolto e portare molte altre benedizioni. Quelli che tracciano la loro linea rispetto alla repressione. Perché restano in silenzio davanti agli oltraggi costanti contro la gente ed i movimenti che dicono di difendere? Perché non denunciano, con lo stesso risalto, le repressioni e le aggressioni in cui incorrono i loro stessi colleghi e soci di partito e di governo? Perché ormai al potere adottano gli stessi comportamenti, incorrono nella stessa corruzione, proteggono la stessa impunità? Alla luce dell'esperienza, con quale autorità morale pretendono ora che si cancelli tutto e non si prenda in considerazione quello che è successo e continua a succedere in nome di una nuova illusione, di una semplice promessa?

Di questo passo, se invece di iniziative degne e conseguenti seguitiamo a intrattenerci con questi passatempi, non ci sarà nazione nella quale possa materializzarsi il sogno di un vago "progetto alternativo" che si continua ad alimentare.

"Vi auguro l'Egitto", ha scritto alcuni giorni fa il palestinese Omar Barghouti. "Vi auguro la capacità di resistere, di lottare per la giustizia sociale ed economica e di ottenere la vostra vera libertà.  

"Vi auguro la volontà e la capacità di uscire dalla vostra prigione camuffata con tanta cura. Nella nostra parte del mondo i muri delle prigioni sono troppo ovvi, dominanti, asfissianti. Per questo siamo ancora ribelli, preparandoci al giorno della nostra libertà. Quando raccoglieremo potere popolare sufficiente, romperemo le catene ossidate che hanno imprigionato per tutta la vita menti e corpi. Le celle della vostra prigione sono differenti. I muri sono ben nascosti, non sia mai che evochino la volontà di resistere. Non ci sono porte nelle celle della vostra prigione: potete spostarvi 'liberamente' senza riconoscere mai la prigione più grande nella quale siete confinati….

"Vi auguro l'Egitto per decolonizzare le vostre menti e fare a pezzi la scheda con la domanda: 'che cosa volete?', perché tutte le risposte che date sono sbagliate. Lì la vostra unica opzione sembra essere tra il male e il male minore.  

"Vi auguro l'Egitto affinché, come i tunisini, gli egiziani, i libici, i bahreinesi, gli yemeniti, e certamente i palestinesi, possiate gridare: "No! non vogliamo scegliere la risposta meno brutta. Vogliamo un'altra opzione che non c'è nella vostra maledetta lista". "Vi auguro l'Egitto affinché possiate collettivamente, democratica e responsabilmente ricostruire le vostre società, per restaurare le leggi affinché siano al servizio del popolo, non del capitale selvaggio e del suo esercito di banche; per farla finita col razzismo ed ogni tipo di discriminazione; per preservare ed essere in armonia con l'ambiente; per tagliare guerre e crimini di guerra e non posti di lavoro, prestazioni sociali e servizi pubblici; per abbattere il governo tiranno ed oppressore delle multinazionali, e per cacciare l'inferno dall'Afghanistan, dall'Iraq e da tutti i luoghi in cui, col pretesto di "diffondere la democrazia", i vostri moralmente superiori crociati hanno sparso la disintegrazione sociale e culturale, la povertà abietta e la disperazione assoluta…

"La nostra oppressione e la vostra sono profondamente correlate e intrecciate… La nostra battaglia collettiva per diritti e libertà non è uno slogan, ma una lotta per la vera emancipazione e l'autodeterminazione, un'idea il cui momento è arrivato. Dopo l'Egitto toccherà a noi. È l'ora della liberazione e della giustizia per la Palestina. È ora che tutti i popoli di questo mondo, in particolare i più sfruttati ed oppressi, riaffermiamo la nostra comune umanità e recuperiamo il controllo sul nostro destino comune".

 

Rese e resistenze

La lettera a don Luis descrive con precisione la situazione attuale in Messico e le prospettive. Voglio aggiungere un altro aspetto che permette di illustrare le risposte.

Felipe Calderón non ha saputo governare, ma può ancora distruggere e prosegue nell'azione che ha orientato le politiche ufficiali degli ultimi 30 anni: mettere il paese nelle mani del mercato, del capitale. Non c'è altra soluzione, sosteneva Salinas, che salire sulla locomotiva statunitense, anche se come camerieri. Per facilitare l'aggancio aprì al mercato la terra ejidale e comunale, e nella sua febbre privatizzatrice smantellò buona parte del settore pubblico.

Aggrappato a questa tradizione, Calderón ha messo in vendita quanto ha potuto ed ora deve consegnare la merce. Per esempio: ha ceduto in concessione quasi la decima parte del paese per 50 anni, e queste concessioni prevedono l'obbligo da parte del governo messicano di disfarsi della gente che abiti nei territori dati in concessione. Un altro affare sta nel demandarle se questo non avviene nei termini previsti. Ed i termini non si rispettano perché la gente resiste.

La resistenza incomincia di solito come lotta localizzata di un piccolo gruppo che cerca di proteggere le proprie terre e acque, ma presto incontra legami orizzontali e s'incatena a lotte simili in altre parti fino a formare ampie alleanze che si estendono in tutto il paese. Questa lotta racchiude una mutazione politica di grande trascendenza: rappresenta il passaggio dalla lotta per la terra alla difesa del territorio. Chi è riuscito ad ottenere un pezzo di terra che assicuri la sua sussistenza e mantenere il tessuto sociale comunitario, affronta in maniera organizzata la nuova sfida. Non difende più, o non solo, quel pezzo di terra. Esercita una forma di sovranità popolare in cui la difesa del suo territorio è anche la difesa della sovranità nazionale. Abbondano esempi di queste lotte specifiche che si collegano anche con alte simili, come quelle contro le dighe e contro molti megaprogetti. In tutti i casi è evidente il significato e le conseguenze della guerra descritti nella lettera a don Luis. La distruzione, a prima vista insensata, irrazionale, senza ragione, una distruzione che colpisce la natura ma ancor di più la gente che si occupa di essa e vive dei suoi frutti, acquisisce il suo senso ultimo nella ricostruzione - quando sono spariti il tessuto sociale e la sussistenza autonoma, e gli individui, uno alla volta, separati, restano esposti alla volontà del mercato, del capitale, alla schiavitù che questi impongono. "Che facciano i giardinieri in Texas o mettano su un negozietto", diceva Fox quando gli domandavano che cosa avrebbero fatto quelli che il suo governo sgomberava. Anche quelli di Calderón se ne vanno dal paese, sono già sotto terra o sono "antisociali" - l'etichetta che le forze pubbliche appiccicano indistintamente a delinquenti e ribelli.

Oggi abbiamo bisogno della spinta che ci augura il palestinese Barghouti, quella che 17 anni fa ci permise di fermare la guerra di sterminio di Salinas ed oggi può fermare quella di Calderón e liberarci di lui. Ma non basterebbe disfarci delle classi politiche… per poi ricominciare di nuovo con la pratica elettorale, fosse anche con facce nuove. Cerchiamo un'altra trasformazione, una molto altra, più vicino e più lontano: vogliamo smantellare gli apparati politici ed economici della dominazione, invece di tentare di conquistarli con l'illusione di utilizzarli in maniera diversa; e vogliamo mantenere nelle nostre mani la transizione, per assicurare che sia l'inizio della nostra ricostruzione, non più della stessa cosa. E per quello che bisogna fare, adesso e dopo, abbiamo bisogno dell'etica critica.

 

Perché don Luis?

È utile domandarci perché gli zapatisti hanno deciso una corrispondenza pubblica col filosofo Luis Villoro richiamando nuovamente la nostra attenzione. Non si tratta più di estendere l'omaggio che gli resero a San Cristóbal. È che don Luis incarna, come molte poche persone, i temi che gli zapatisti considerano urgente esaminare. Esprime in pieno il rapporto tra etica e politica.

Negli anni '90 scrisse El poder y el valor: Fundamentos de una ética política, un libro che segue e culmina la sua opera. Aveva vissuto, come filosofo, nel seno della ragione sul cui dominio ha confidato l'Occidente negli ultimi due secoli - quella che concepì "il progetto storico di rompere con la dominazione e la miseria e di raggiungere, finalmente, una società liberata e razionale, degna dell'uomo". Invece di arrendersi al fallimento di quella ragione e la sua sequela di conformità e delusione, don Luis tentò una riflessione innovativa. "È ancora possibile - si domandò - un comportamento politico che proponga di contrastare il male? Si potrebbe rinnovare, davanti alla delusione, una riflessione etica?... È inevitabile l'opposizione tra la volontà di potere e la realizzazione del bene? Come si può articolare il potere col valore?". Il libro risponde radicalmente a queste domande: "È un progetto di riforma del pensiero politico moderno, con la speranza di contribuire, in questa triste epoca, a scoprire i 'mostri della ragione' che hanno devastato il nostro secolo".

Don Luis ha sofferto e goduto, come tanti di noi, la scossa del 1994 - quella che mosse il mondo intero, come riconoscono oggi tutti i movimenti antisistema. Da allora ha accompagnato gli zapatisti, vicino o lontano a seconda delle circostanze. Fu loro consulente nei negoziati col governo, nel 1996, e fu uno dei tre che si sedettero al tavolo principale in cui si giunse ai principali accordi. Soffrì come pochi la conclusione - che non dobbiamo dimenticare. Siamo nel 10º anniversario della Marcia del Colore della Terra, alle cui riunioni parteciparono circa 40 milioni di messicani. Migliaia di organizzazioni, a nome di milioni di persone, appoggiarono l'iniziativa di riforma costituzionale concordata con la commissione del Congresso, la Cocopa. Non ci fu una sola organizzazione, una sola, che si oppose. Ma il Congresso produsse una controriforma infame e la Corte Suprema, ovviamente, se ne lavò le mani.

Il culmine dell'opera di don Luis, in quel libro ed in altri testi, riflette la sua stessa trasformazione. Trovò ispirazione negli zapatisti e nelle comunità indios e lì scoprì l'alternativa che stava cercando. Trasformandosi, don Luis ci trasforma: la sua lucida riflessione apporta elementi centrali a quello che oggi manca. L'utopia si è fatta realtà nel presente, ci dice dal 2009; ha già posto in questo mondo, nelle comunità zapatiste. La democrazia non può stare in un luogo diverso da quello in cui sta il popolo, affermò, ed osservò "un'inversione dei rapporti di potere esistenti" e "l'abolizione di ogni dominazione dall'alto" nell'azione comunitaria che riorganizza la società dal basso, nella propria geografia, nel proprio calendario…

"Il desiderio di autenticità", insiste don Luis, "è l'impulso a liberarsi dell'oppressione della farsa". Della farsa, dice; la farsa. La ragione che risponde a quel desiderio scopre i veri valori, e così "assumono primato quelli che integrano la dignità insostituibile della persona: libertà, autenticità, responsabilità, uguaglianza". E non dimentichiamo le ultime parole di quel libro eccezionale: si tratta di "compiere il proposito dell'amore: realizzare sé stesso per l'affermazione dell'altro". Oltre ogni farsa.

Tra interminabili risse e circhi mediatici, aggrappati alle loro poltrone, le classi politiche continuano a lacerare il tessuto sociale e distruggere la natura fino a minare le basi stesse della sopravvivenza. E' una strada senza uscita. È inutile, profondamente immorale continuare a percorrerla. Dobbiamo uscirne. E questo esige, innanzitutto, impegnarci seriamente nella riflessione, nella critica, nell'etica. Con integrità. Seguendo le orme di don Luis e la nuova convocazione degli zapatisti.

San Pablo Etla,

marzo 2011

 

Note:

1 Tomo della rivista Conspiratio, 2, nov.-dic. 2009, citazioni di Pietro Ameglio, Iván Illich e Jean Robert.

2 David Shulman, "Israel & Palestine: Breaking the Silence", The New York Review of Books, LVIII-3, February 24-March 9, 2011, p.43

 

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)

Versione in castigliano http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/10esteva.pdf


Parole e Audio del messaggio del'EZLN alla Manifestazioneper la Giustizia

 

PAROLE DELL'EZLN ALLA MANIFESTAZIONE DI APPOGGIO ALLA MARCIA NAZIONALEPER LA PACE

 

 

Madri, padri, familiari ed amici delle vittime della guerra in Messico:

 

Compagne e compagni basi di appoggio zapatiste delle differenti zone, regioni, villaggi e municipi autonomi ribelli zapatisti:

 

Compagne e compagni dell'Altra Campagna ed aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona in Messico e nel mondo:

 

Compagne e compagni della Zezta Internazionale:

 

Sorelle e fratelli delle differenti organizzazioni sociali:

 

Sorelle e fratelli delle organizzazioni non governative e che difendono i diritti umani:

 

Popolo del Messico e popoli del mondo:

 

Sorelle e fratelli:

 

Compagne e compagni:

 

Oggi siamo qui in migliaia di uomini, donne, bambini ed anziani dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per dire la nostra piccola parola.

 

Oggi siamo qui perché persone dal cuore nobile e dignità ferma ci hanno convocati a manifestare per fermare la guerra che ha riempito di tristezza, dolore e indignazione i suoli del Messico.

 

Perché ci siamo sentiti chiamati dal reclamo di giustizia di madri e padri di bambini e bambine che sono stati assassinati dalla pallottola e dall'arroganza e scempiaggine dei malgoverni.

 

Perché ci sentiamo chiamati dalla degna rabbia delle madri e dei padri dei giovani assassinati dalle bande criminali e dal cinismo governativo.

 

Perché ci sentiamo convocati dai familiari di morti, feriti, mutilati, scomparsi, rapiti e imprigionati senza avere colpa o reato alcuno.

 

E questo è quello che ci dicono le loro parole ed i loro silenzi:

 

Che la storia del Messico è tornata a macchiarsi di sangue innocente.

 

Che decine di migliaia di persone sono morte in questa guerra assurda che non porta da nessuna parte.

 

Che la pace e la giustizia non trovano più posto in nessun angolo del nostro paese.

 

Che l'unica colpa di queste vittime è essere nate o vivere in un paese mal governato da gruppi legali e illegali assetati di guerra, di morte e di distruzione.

 

Che questa guerra ha avuto come principale bersaglio militare esseri umani innocenti, di tutte le classi sociali, che non hanno niente a che cosa vedere né col narcotraffico né con le forze governative.

 

Che i malgoverni, tutti, federale, statali e municipali, hanno trasformato le strade in zone di guerra senza che chi le percorre e lavora fosse d'accordo e ci fosse modi di proteggersi.

 

Che i malgoverni hanno trasformato in zone di guerra le scuole e le università pubbliche e private, ed i bambini ed i giovani non vanno a lezione ma in imboscate di una o dell'altra banda.

 

Che i luoghi di incontro e divertimento ora sono obiettivi militari.

 

Che andando al lavoro si cammina con l'angoscia di non sapere che cosa succederà, di non sapere se una pallottola, dei delinquenti o del governo, verserà il sangue proprio o quello di un familiare o di un amico.

 

Che i malgoverni hanno creato il problema e non solo non l'hanno risolto, ma l'hanno esteso e diffuso in tutto il Messico.

 

Che c'è molto dolore e pena per tante morti insensate.

 

Stop alla guerra.

 

Non più sangue.

 

Ne abbiamo abbastanza.

 

Ora basta.

 

Le parole ed i silenzi di queste belle persone non rappresentano i malgoverni.

 

Non rappresentano i criminali che rubano, saccheggiano, sequestrano ed assassinano.

 

Non rappresentano nemmeno chi, nella classe politica, vuole guadagnarci da questa disgrazia nazionale.

 

I silenzi e le parole di queste persone sono quelle di gente semplice, lavoratrice, onesta.

 

Queste persone non vogliono un beneficio personale.

 

Vogliono solo giustizia e che il dolore che hanno provato e provano non arrivi al cuore di altre madri, altri padri, altri familiari, altri amici, di bambini, bambine, giovani, adulti e anziani che non fanno altro che tentare di vivere, di apprendere, di lavorare e di andare avanti con dignità.

 

Le parole, i silenzi e le azioni di queste belle persone chiedono qualcosa di molto semplice: una vita con pace, giustizia e dignità.

 

E che cosa risponde loro il governo?

 

I padri e le madri di alcuni bambini e bambine molto piccoli che sono morti e sono rimasti feriti in un incendio per colpa dei malgoverni, chiedono che si faccia giustizia, cioè che si puniscano i colpevoli, anche se sono vicini o amici del governo, e che quel crimine non si ripeta, affinché altri padri e madri non muoiano un po' anche loro con la morte delle proprie figlie e dei propri figli. 

 

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia. 

 

I familiari e gli amici di alcuni studenti che sono stati assassinati all'interno di un'università privata chiedono che si conosca che cosa è successo e si faccia giustizia e non si ripeta il crimine di trasformare i centri di studio in campi di battaglia affinché altri familiari, amici, maestri e compagni di studio non muoiano un po' anche loro con la morte degli studenti. 

 

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia.

 

Gli abitanti di una comunità onesta e lavoratrice, creata secondo il proprio pensiero, si organizzano per costruire e difendere la pace di cui necessitano, per combattere il crimine che il governo protegge. Per questo uno dei suoi abitanti è stato sequestrato ed assassinato. I suoi familiari e compagni chiedono giustizia e che non si ripeta il crimine di uccidere il lavoro e l'onestà, affinché altri familiari e compagni non muoiano un po' anche loro con la morte di chi lotta per la collettività.

 

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia.

 

Alcuni ragazzi, buoni studenti e buoni sportivi, si incontrano per divertirsi o escono a passeggio o per una sana conversazione, un gruppo criminale arriva sul posto e li uccide. Ed il governo li uccide un'altra volta dichiarando che quei ragazzi erano criminali aggrediti da altri criminali. Le madri ed i padri chiedono giustizia e che non si ripetano i reati di non proteggere i ragazzi ed accusarli ingiustamente di essere delinquenti, affinché altre madri e padri non muoiano un po' anche loro nel vedere morire due volte il sangue fatto nascere per essere vivo.

 

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia.

 

Compagni e compagne:

 

fratelli e sorelle:

 

Qualche giorno fa è iniziato in silenzio il passo di un padre che è un poeta, di alcune madri, di alcuni padri, di alcuni parenti, di alcuni fratelli, di alcuni amici, di alcuni conoscenti, di esseri umani.

 

Ieri erano le loro degne parole, oggi è il loro silenzio degno.

 

Le loro parole ed i loro silenzi dicono lo stesso: vogliamo pace e giustizia, cioè una vita degna.

 

Queste persone oneste chiedono, esigendo dal governo un piano che abbia come principali obiettivi la vita, la libertà, la giustizia e la pace.

 

Ed il governo risponde loro che proseguirà col suo piano che ha come principale obiettivo la morte e l'impunità.

 

Queste persone non vogliono essere governo, ma vogliono che il governo provveda e si preoccupi della vita, la libertà, la giustizia e la pace dei governati.

 

La loro lotta non nasce dall'interesse personale.

 

Nasce dal dolore di perdere qualcuno che si ama come si ama la vita.

 

I governi ed i suoi politici dicono che criticare o non essere d'accordo con quello che stanno facendo vuol dire essere d'accordo e favorire i criminali.

 

I governi dicono che l'unica strategia buona è quella che insanguina le strade ed i campi del Messico, e distrugge famiglie, comunità, il paese intero.

 

Ma, chi sostiene di avere dalla propria parte la legge e la forza, lo fa solo per imporre la sua ragione individuale appoggiandosi su quelle forze e quelle leggi.

 

E non è la ragione propria, di individuo o di gruppo, quella che deve imporsi, ma la ragione collettiva di tutta la società.

 

E la ragione di una società si costruisce con legittimità, con argomenti, con ragionamenti, con capacità di convocazione, con accordi.

 

Perché chi impone la sua ragione, solo divide e confronta. Ed è così incapace di ragione collettiva da doversi rifugiare nella legge e la forza.

 

Una legge che serve solo a garantire impunità a parenti e amici.

 

Una forza che da tempo è corrotta.

 

Legge e forza che servono per spogliare da un lavoro degno, per coprire inettitudini, calunniare, perseguire, imprigionare ed ammazzare chi critica e si oppone a quella ragione, a quella legge e quella forza.

 

Avere paura della parola della gente e vedere in ogni critica, dubbio, domanda o richiamo un tentativo di rovesciamento, è proprio di dittatori e tiranni.

 

Vedere in ogni dignitoso dolore una minaccia, è da malati di potere e avarizia.

 

E male fa il comandante che dice ai suoi soldati e poliziotti che ascoltare la gente nobile e buona è un fallimento.

 

Che fermare un massacro è una sconfitta

 

Che correggere un errore è arrendersi.

 

Che pensare e cercare strade migliori per servire meglio la gente è abbandonare con vergogna una lotta.

 

Perché saper ascoltare con umiltà e attenzione quello che dice la gente è la virtù di un buon governo.

 

Perché sapere ascoltare e soddisfare quello che la gente tace è la virtù delle persone sagge e oneste.

 

Compagni e compagne:

 

fratelli e sorelle:

 

Oggi non siamo qui per parlare dei nostri dolori, delle nostre lotte, dei nostri sogni, delle nostre vite e morti.

 

Oggi non siamo qui per indicare strade, né per dire che cosa fare, né per rispondere alla domanda su che cosa succederà.

 

Oggi siamo qui per rappresentare decine di migliaia di indigeni zapatisti, molti più di quelli che oggi si vedono, per dire a questo dignitoso passo silenzioso:

 

Che nella sua domanda di giustizia…

 

Che nella sua lotta per la vita…

 

Che nel suo anelito di pace…

 

Che nella sua esigenza di libertà…

 

Noi, le zapatiste, gli zapatisti, li comprendiamo e li appoggiamo.

 

Oggi siamo qui per rispondere all'appello di chi lotta per la vita.

 

Al quale il malgoverno risponde con la morte.

 

Perché di questo si tratta, compagne e compagni.

 

Di una lotta per la vita e contro la morte.

 

Non si tratta di vedere chi vince tra cattolici, evangelici, mormoni, presbiteriani o di qualunque religione o non credenti.

 

Non si tratta di vedere chi è indigeno e chi no.

 

Non si tratta di vedere chi è più ricco o più povero.

 

Non si tratta di chi è di sinistra, di centro o di destra.

 

Non si tratta se sono migliori i panisti o i priisti o i perredisti o come si chiamino o se sono tutti ugualmente cattivi.

 

Non si tratta di chi è zapatista o non lo è.

 

Non si tratta di stare col crimine organizzato o col crimine disorganizzato che è il malgoverno.

 

No.

 

Si tratta che per essere quello che ognuno sceglie di essere, per credere o non credere, per scegliere un'ideologica, politica o religiosa, per discutere, concordare o essere in disaccordo, sono necessarie la pace, la libertà, la giustizia e la vita.

 

Compagni e compagne:

 

fratelli e sorelle:

 

Queste nobili persone non ci stanno chiamando o convincendo ad abbracciare una religione, un'idea, un pensiero politico o una posizione sociale.

 

Non ci stanno chiamando a cacciare un governo per metterne un altro.

 

Non ci stanno dicendo che bisogna votare per uno o per un altro.

 

Queste persone ci stanno convocando a lottare per la vita.

 

E può esserci vita solo se ci sono libertà, giustizia e pace.

 

Per questo questa è una lotta tra chi vuole la vita e chi vuole la morte.

 

E noi, le zapatiste, gli zapatisti, scegliamo di lottare per la vita, cioè, per la giustizia, la libertà e la pace.

 

Per questo…

 

Oggi siamo qui per dire semplicemente a queste belle persone che camminano in silenzio, che non sono soli.

 

Che sentiamo il dolore del loro silenzio, come prima la degna rabbia delle loro parole.

 

Che nel loro stop alla guerra….

 

Che nel loro non più sangue…

 

Che nel loro ne abbiamo abbastanza…

 

Non sono soli!

 

Compagni e compagne:

 

fratelli e sorelle:

 

Viva la vita, la libertà, la giustizia e la pace!

 

Muoia la morte!

 

Per tutti tutto, per noi niente!

 

Democrazia!

Libertà!

Giustizia!

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno. Comandancia Generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Marcos

Mesico, 7 maggio 2011

 

 

Audio del messaggio letto dal Comandante David http://desinformemonos.org/2011/05/audio-del-mensaje-del-ezln-en-voz-del-comandante-david/

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/05/07/palabras-del-ezln-en-la-movilizacion-de-apoyo-a-la-marcha-nacional-por-la-paz/

 

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)

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